Cap. 3

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Che mal di testa.
Joe maledisse silenziosamente ogni goccia d’alcol ingerita la sera prima, mentre sorseggiava controvoglia l’acqua tiepida con l’aspirina che Seth gli aveva piazzato davanti con fin troppa solerzia. L’amico lo fissava senza scomporsi, seduto dall’altro lato del tavolo della cucina, con quell’espressione da finto innocente che a Joe dava sui nervi.
Aveva persino l’ardire di mostrarsi in faccia, come se nulla fosse, dopo averlo incastrato in quella serata disastrosa — e per giunta col solito sorriso strafottente che sembrava scolpito apposta per ricevere uno schiaffo.
«Allora, Joe...» Esordì Seth con tono serafico, mentre si portava la tazza di caffè alle labbra. «Com'è andata la tua notte di passione? Sei rientrato un'ora fa con l'aria di uno appena tornato da un funerale.»
Joe gli lanciò un’occhiata carica di veleno.
«Mi stupisce non averti ancora messo le mani addosso, Seth. Se non fossi ancora mezzo morto per la sbornia, ti avrei steso appena varcata la soglia.» Ringhiò, la voce impastata e minacciosa.

L’altro non sembrò affatto intimorito. Continuò a sorseggiare il caffè con nonchalance, come se fosse una mattina qualunque e non una dopo-apocalisse.
«Vuoi dirmi che l’incontro con la splendida topa che ti ho organizzato... non è andato come previsto?» domandò, inarcando un sopracciglio con malizia.
Joe avvertì una fitta d’irritazione al sentire l'appellativo “topa”, ma decise di non darci troppo peso. Si limitò a sbuffare, torcendo le labbra.
«Non credo siano affari tuoi.» Tagliò corto, con tono secco.
Seth batté la tazza sul tavolo con finta esasperazione.
«Ma certo che lo sono! Dai, Joe, quanto ancora pensi di tenermi sulle spine? Dimmi tutto! Posso finalmente dire addio al mio amico vergine o devo continuare a versare lacrime per la tua castità?» esclamò, gli occhi brillanti di entusiasmo come se gli avesse annunciato di aver vinto alla lotteria.
Joe sospirò pesantemente. Un silenzio denso cadde fra i due. Alla fine, il moro roteò gli occhi e grugnì:
«Sì. Puoi salutarlo.»
Seth balzò dalla sedia con l’euforia di un bambino al luna park.
«Cazzo, era ora! Finalmente hai mosso il culo!»

«E allora? Com'è stata? Com’era lei? Cosa avete fatto? Non risparmiare i dettagli succosi, fratello, me li merito tutti!» aggiunse, quasi saltellando.
Joe ci pensò su. Rivedeva la scena nitidamente nella mente: il risveglio nel letto ormai vuoto, il bigliettino elegante con il bacio rosso stampato e due righe gentili di commiato da parte di Rose. Gli aveva persino chiamato un taxi, assicurandosi che tornasse a casa sano e salvo. Un gesto semplice, sì, si potrebbe dire anche molto professionale. Eppure, più passava il tempo, più il suo pensiero tornava sempre lì — a lei. A quelle curve morbide, allo sguardo magnetico, a quel corpo che pareva modellato per incatenare i sensi.
E in mezzo ai postumi della sbornia, la sola cosa che pareva ancora vivida nella sua mente era la sensazione della pelle di Rose sulla sua.
Non avrebbe mai pensato che il sesso potesse essere così... travolgente. Così pieno. Come respirare il profumo di un fiore appena sbocciato, inebriante e inatteso. Ma, sapeva, non era amore. Era un copione già scritto, una volgare recita, una parentesi destinata a chiudersi. Un ricordo destinato a dissolversi come fumo nell’aria.

«Ehi, ci sei? Sto ancora parlando con Joseph Pervertito Williams?» lo richiamò Seth, agitando una mano davanti ai suoi occhi.
Joe scosse la testa, tentando di tornare sulla terra.
«Non mi va di raccontarti i dettagli della mia vita privata.» Disse, abbassando lo sguardo con un certo imbarazzo.
Seth lo squadrò con un sorriso malizioso.
«Oooh, capito! L’hai fatta grossa, eh? Sapevo che sotto quella facciata da santarellino si nascondeva un pervertito coi fiocchi!»
Joe arrossì di colpo, poi lo fulminò con lo sguardo.
«Sei tu a farmi venire il mal di testa, altro che l’alcol.»

Seth alzò le mani con fare teatrale.
«Ehi, sono solo sorpreso che la mia idea abbia funzionato. Pensavo avresti trovato un modo per svignartela prima ancora di varcare quel corridoio.»
«Era quello che volevo fare...» Joe si interruppe.
«Ma?»
«Quella donna, Rose... mi ha fregato. Pensavo di essere saldo, di avere principi, certezze. Ma il solo toccarla ha risvegliato qualcosa dentro di me che non sapevo nemmeno di avere.»
Seth sorrise ancora, con quell’aria da maestro zen in scarpe da ginnastica.
«È il potere del sesso, fratello. Neanche un monaco tibetano resisterebbe. È scritto nel nostro DNA.»
Joe fece una smorfia, ma si trovò suo malgrado a riflettere. Fino a poco tempo prima, era convinto di non poter piacere a nessuna, di essere fuori luogo, inadatto. Non si era mai permesso di guardare davvero una donna — per desiderarla. Ma forse, aveva solo paura. E quell’attrazione travolgente, fisica, istintiva, era la prova che il problema non era l’essere "diverso", ma l’essersi chiuso al mondo.
Eppure, per quanto cercasse di convincersi che fosse solo un impulso momentaneo, l’immagine di Rose — le sue labbra, la sua voce, il calore del suo corpo — non lo abbandonava.

Quel Sapore Di RosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora