Kathy si svegliò confusa, inforcò gli occhiali per leggere l'orario: erano le 22:00 passate. Si udiva l'eco di un canale di notizie al piano di sotto. Sulla scrivania c'era la cena in un contenitore termico: probabilmente sua madre non si era sentita di svegliarla. Esaminò il cibo che le aveva portato, ma il senso di nausea perdurava nella sua gola. Si tolse il cerotto e rimase a guardare la puntura. La vena al di sotto pulsava e un piccolo livido viola si stava facendo largo nel braccio: l'infermiera non era stata molto delicata. Poi la sua attenzione venne attirata dalle luci blu che provenivano dalla via sottostante. Si avvicinò alla finestra: riusciva a vedere una volante delle forze dell'ordine. Credette di scorgere una figura femminile vicino all'entrata del palazzo, percepì il motore dell'ascensore azionarsi e la televisione che veniva spenta in salotto. Seguì il corridoio fino al margine del soppalco e si accucciò in un angolo coperto dalla penombra. Riconobbe la voce tesa e puntigliosa della preside del suo istituto.
«Salve, mi dispiace disturbarvi a quest'ora, Kathy è in casa?» chiese dopo aver stretto loro le mani.
«È di sopra che riposa, era molto stanca oggi.»
«Sono mortificata, ma la NET Genomics dovrebbe ripetere il prelievo a vostra figlia. Temo ci sia stato uno scambio di vetrini a scuola, un disguido senz'altro, ma capirà che io sono obbligata per legge» spiegò la donna. Se Mrs. Sullivan era riuscita a sostituire il sangue, perché erano lì?
«Posso portare mia figlia in qualsiasi laboratorio ci indicherete, domani mattina, non ci sono problemi» propose il padre, tentando di farli ragionare.
«Mi dispiace, l'esame va ripetuto questa sera stessa» disse severa la donna.
Dentro la sua mente, la ragazza udiva l'eco delle parole di Mrs. Sullivan: rifare l'esame non era un'opzione percorribile; la professoressa era stata chiara. Corse in camera sua, incerta sul da farsi. Doveva scappare? Dove? Come? Spalancò il vetro. Per fortuna, l'allarme non era ancora stato inserito; l'aria frizzante le causò un fremito. Recuperò la sua giacca dall'attaccapanni e la indossò velocemente. Colse voci alterate e passi affrettati; sua madre stava protestando. Non aveva più senso aspettare. Scavalcò la finestra e salì sul balconcino in ferro battuto. Allora si rese conto di aver lasciato indietro lo smartphone: tentennò incerta, ma le voci erano più vicine. Guardò giù nel vicolo: c'era un solo agente in piedi a lato dell'auto. Stava parlando alla radio piegato all'interno del velivolo, pareva distratto. Il camioncino della NET Genomics era poco più indietro a fari spenti e sembrava deserto.
Ansimò per un attimo, poi iniziò a scendere le scale di sicurezza del palazzo stando bassa per non farsi vedere dagli inquilini degli altri piani. La ringhiera era umida, scivolava sotto le mani. Un perno sporgente e arrugginito le graffiò il ginocchio strappandole la tuta, ma non si fermò. Quando giunse sull'ultimo dislivello, spinse con tutta la forza che aveva la rampa metallica. La struttura si mosse lentamente sui rulli procurando un orribile cigolio, quindi scomparve. Si issò su di essa e, scalino dopo scalino, si avvicinò a terra. I rulli stridevano a ogni suo passo; arrivò fino all'ultimo prima di accorgersi che mancava più di un metro al marciapiede. Non aveva tempo di pensarci troppo: saltò atterrando come le avevano insegnato a fare sul campo da gioco; quindi, digitò il codice per entrare nel deposito delle biciclette e tentò di slegare la sua mountain bike più velocemente possibile. Montò in sella e iniziò a pedalare guardando dritta davanti a sé. Aveva percorso solo pochi metri quando udì una voce.
«Ragazzina, dove pensi di andare?» le urlò l'ufficiale.
Non degnò l'agente di uno sguardo, si lanciò lungo la via deserta. Il poliziotto cominciò a protestare, le rincorse appena, poi alzò la pistola e sparò un colpo in aria. Il cuore le mancò un battito. Nella sua mente c'era un unico imperativo categorico: "scappa e non ti fermare". Non aveva fatto niente, era solo un esame del DNA! Erano tutti impazziti? E se Mrs. Sullivan si fosse sbagliata o il programma che aveva usato? Eppure, le era sembrata così spaventata. Era impossibile che le avesse mentito. Perché allora rischiare a mettere il suo sangue in prima persona? Era come se la volesse proteggere. Ma da cosa? O da chi? Chi faceva sparire i ragazzi LWF nella lista?
Si voltò indietro nervosa e la due ruote si piegò pericolosamente slittando. Si costrinse a guardare davanti a lei e diede qualche pedalata per accelerare. Le sirene, in lontananza, sovrastavano il ronzio del cambio automatico della sua bici. Si diresse in direzione della scuola, guidata dalla forza dell'abitudine. Aveva iniziato a piovere e la strada rifletteva la luce dei lampioni come uno specchio. La bicicletta scivolava via nell'aria pungente e la sua giacca aperta svolazzava lanciando rumori metallici. Sentì le volanti avvicinarsi: l'unico posto dove non potevano inseguirla, almeno non con le auto, era Central Park. Imboccò un vialetto di ingresso al parco senza pensare oltre: la ghiaia bagnata era molto instabile e la sua bici gemeva e slittava. Sfrecciò dietro il Tennis Center e procedette scegliendo le vie con la pendenza più facile da seguire. Il suo cuore batteva, fremendo sotto la maglietta, tagliandole il fiato, al limite dello sforzo. Non udiva quel fischio alla fine dei suoi respiri da quando era piccola. Le gambe erano ancora in fiamme e doloranti: il dopo partita non la stava aiutando. Le sembrava così lontana la loro vittoria, come se il suo sogno di una vita avesse improvvisamente perso di significato. Quell'esame poteva davvero cancellare le sue più profonde speranze?
Riconobbe nell'oscurità la piana del campo da baseball; si lanciò lungo il vialetto. I rami degli alberi disegnavano cupe figure che sembravano ululare al suo passaggio. Sfrecciò a fianco della piscina vuota, macchiata a chiazze da piccole pozzanghere sul fondo sconnesso. Imboccò East drive lanciandosi nel viale alberato. La strada procedeva sinuosa avvolta nell'oscurità più assoluta, rotta solo dalla luce tenue e bluastra diffusa da alcuni lampioni. Le forze dell'ordine erano schierate agli svincoli di uscita del parco: ormai non aveva più via di scampo.
Frenò, ma perse il controllo. La bicicletta si ribaltò e cadde malamente a terra scivolando sull'asfalto viscido. Smarrì gli occhiali: tastò in giro spaventata per cercarli, ma senza successo. Avvertiva il sapore viscido del sangue in gola, un taglio sulla fronte, un dolore persistente al fianco. Infine, trovò la montatura a tentoni nel buio. Una lente era scheggiata, l'altra sembrava intatta, eppure vedeva offuscato. Era la pioggia, il trauma cranico o le lacrime? Non era più certa: era nel panico più totale. I poliziotti le intimarono di alzarsi e mettere le mani sulla testa. Le loro urla e le sirene si mischiavano nel buio. Avevano estratto le pistole, la minacciavano, la stavano circondando. Non sapeva più dove poter fuggire ancora. Che ne sarebbe stato di lei? Cosa le avrebbero fatto ora?
Un rombo attirò la sua attenzione: due frecce infuocate di led verde procedevano appaiate nel buio in mezzo alla pioggia. La Kawasaki frenò e il motociclista iniziò a sparare verso la polizia. La giovane si tappò le orecchie. Il mezzo si intromise tra lei e le auto: una figura col casco verde e la tuta di pelle nera, scese dalla moto, la prese per un braccio e la costrinse ad alzarsi. La obbligò a salire e a tenersi a lei. Senza dire una sola parola sparò un altro paio di colpi e poi partì nella direzione da cui la ragazza era venuta. L'aria fredda le faceva piangere gli occhi. Forse aveva sbagliato a scappare e a salire con quello sconosciuto. Doveva tornare indietro e spiegare tutto; di sicuro i suoi genitori erano morti di paura.
«Voglio scendere.»
«Non ora, non con la polizia alle calcagna» le rispose una voce dura e femminile, roca con una leggera inflessione latina.
«Devo tornare a casa dai miei genitori!»
«Kathy, so benissimo cosa provi e ti prometto che se ci sbagliamo, noi e la tua professoressa di scienze, ti riporterò subito a casa. Devo solo farti un piccolo esame e poi è tutto finito, promesso!» Lasciarono il parco inoltrandosi nella notte. Come sapeva di Mrs. Sullivan o del suo nome? Sentiva la testa girarle; l'aria fredda le toglieva il fiato.
«Fidati, ti prego. Ti giuro che non te ne pentirai!» insistette la donna.
La moto abbassò l'assetto e le due ruote si appaiarono prendendo velocità e schizzando sull'asfalto bagnato. Nel buio, Kathy riconobbe il fiume Hudson increspato a causa del vento; rifletteva le luci della città come frammenti di stelle: in altra circostanza si sarebbe fermata a osservare quel panorama meraviglioso, ma in quel momento cercò solo di far sparire il volto dietro le spalle della sconosciuta per ripararsi dal vento. Le sembrava che quella notte stesse risucchiando tutta la sua vita e non osava chiedersi cosa sarebbe stato di lei quando le luci dell'alba avessero toccato l'orizzonte. Avrebbe potuto gettarsi, ma la moto andava troppo veloce, si sarebbe rotta l'osso del collo e allora sì che la sua vita sarebbe cambiata. Non aveva scelta finché la moto procedeva a così folle velocità. La motociclista imboccò il Lincoln Tunnel zigzagando nel traffico. Le luci della galleria scorrevano veloci attorno a loro. Lasciarono il tunnel inoltrandosi nei quartieri industriali di Newark.

STAI LEGGENDO
The Lotus Academy
Ficção Científica#WATTYS 2021 WINNER - Fantascienza# CIO' CHE NEGHI TI SOTTOMETTE, CIO' CHE ACCETTI TI TRASFORMA Marzo 2015, Kathy si appresta ad effettuare l'esame genetico obbligatorio per tutti gli studenti americani al raggiungimento della maggiore età. I genito...