5. Non ce la faccio più

275 14 0
                                    

Il mio sedicesimo compleanno lo festeggiai, se si può usare questo termine, con mamma, Fuyumi, Natsuo e Shoto. Il mio ultimo compleanno 'in famiglia' e 'felice'.

Io e Shoto sembravamo delle mummie con tutte le bende e cercavamo di riderci su, un po' come tutti. Perché fingere di non vedere è più facile.

***

I primi giorni di marzo una parte di me, quella che provava incessantemente a resistere, morì definitivamente e non sarebbe più tornata.

Era sera e stavo tornando a casa dopo essere stato al supermercato quando vidi, in una stradina laterale, due persone, un uomo e una donna, sedute per terra, che tremavano dal freddo.

Mi avvicinai piano per evitare di spaventarli.

-Vi serve una mano?-

-Grazie ragazzo, ma non credo tu possa fare niente per noi- mi rispose l'uomo.

-Se volete chiamo la polizia, potrebbe riaccompagnarvi a casa- insistei; d'altronde volevo diventare un Hero.

-Sei molto gentile, ma non serve. Visto che però insisti, avresti qualcosa per scaldarci?- mi chiese cortesemente la donna.

Io ci pensai un secondo, indeciso sull'usare o meno il mio Quirk. Alla fine decisi che avrei fatto solo del bene, quindi lo proposi a voce alta: -Ho un Quirk di fuoco, quindi se volte potrei scaldarvi un po'-

-Oh che gentile, grazie mille!- esclamò la donna.

Io mi avvicinai un po' e, dopo essermi inginocchiato, produssi un piccola fiamma dal palmo della mano destra. Cercai di farla un po' più grande, per fare in modo che il calore raggiungesse i due. Dopo qualche secondo sul mio palmo danzava una palla di fuoco grande poco più della mia mano. Se la fiamma è poca e non la uso per ore consecutive non mi brucia.

Con la coda dell'occhio vidi il volto incredulo dell'uomo e quello sereno e curioso della donna, entrambi rivolti alla mia mano.

Produssi la stessa palla di fuoco anche sulla sinistra, dopo aver posato a terra il sacchetto della spesa.

I due mi ringraziarono almeno una decina di volte, nonostante avessi fatto solo ciò che era giusto.

Mi sedetti davanti a loro e l'uomo prese parola: -Io sono Katsumi* e questa è mia moglie Shiori**-

-Mi chiamo Touya-

-Touya... Non dimenticheremo questo nome- ci fu qualche secondo di silenzio, quando l'uomo riprese a parlare: -Posso chiederti, Touya, come mai ci stai aiutando?-

-Serve un motivo?- chiesi, sorpreso dell'inutilità della domanda -Serve un motivo per voler aiutare?-

Mi fissarono, ancora più sorpresi di quanto fossi io.

-Non serve un motivo per aiutare; piuttosto se non mi fossi fermato avrei avuto un motivo. Per fare delle buone azioni, come aiutare il prossimo, comprendere gli altri e perdonare le persone che se lo meritano, non servono motivi; serve un motivo per voler fare del male, per girarsi dall'altra parte e far finta di niente, anche solo semplicemente perché in quel momento non avevo tempo. Ma io sono felice di aiutare gli altri se ne ho la possibilità-

Rimasi sorpreso anch'io delle mie parole.

-Potresti diventare un ottimo Hero- mi disse dopo qualche minuto Shiori.

Feci un sorriso, un po' amareggiato, e risposi: -Vorrei diventare un Hero, ma non so se la mia famiglia me lo permetterebbe-

-E perché no? Sei un così bravo ragazzo e sembri molto generoso e sempre disponibile. Sono sicura che saresti perfetto-

-Ha ragione, Touya. Sono sicuro che i tuoi familiari sarebbero fieri di te. Dopotutto, ognuno di noi può esserlo. Anche tu puoi essere un Hero!***-

Quelle parole furono le più belle che qualcuno mi avesse rivolto negli ultimi anni. A causa delle loro parole, delle loro espressioni entusiaste e delle mie emozioni persi il controllo delle mie fiamme.

Immediatamente mi alzai in piedi e tutto ciò che ricordo sono le fiamme azzurre che distruggono tutto, i passanti che scappano e le loro voci che mi chiamano. Le voci di quelle persone che per dieci minuti mi hanno fatto sentire importante e apprezzato.

Non sono sicuro di ciò che ho sentito, se fosse reale o solo nella mia mente, ma mi è sembrato che dicessero 'Non è colpa tua! Puoi ancora diventare un Hero!', tuttavia non le ascoltai, troppo impegnato ad agitarmi e a cercare di placare il fuoco.

Ricordo i loro corpi cadere e bruciare pian piano. A quel punto sembrò come che le fiamme di speranza da loro accese, si tramutassero permanentemente in fiamme peccatrici, portatrici di dolore. Ed io riuscii inaspettatamente a domarle.

Corsi fuori dalla stradina e vidi dei corpi a terra. Terrorizzato scappai verso casa, l'unico luogo in cui, per mia sfortuna, potessi andare.

I telegiornali annunciarono che furono diciotto le vittime e sette i feriti.

Da quel giorno, parlai pochissime volte con i miei famigliari.

Smisi di insistere con gli allenamenti e Shoto fu accalappiato a tempo pieno da mio padre.

Ai miei fratelli non interessavo, forse perché erano terrorizzati, forse arrabbiati, forse pensavano che volessi stare da solo, forse credevano che stessi bene o forse, la più probabile, si preoccupavano di Shoto e non di me. D'altronde io ero il maggiore, Shoto era il minore e il capolavoro, non potevano sprecare tempo con un fallimentare assassino come me.

Il mese dopo sentii mia madre mentre parlava al telefono con la nonna: le diceva che aveva paura di me, del mio Quirk. Diceva che assomigliavo sempre più a mio padre.

Quello dopo ancora, Shoto fu ustionato da nostra madre, forse per lo stesso motivo, e lei fu messa in un ospedale psichiatrico.

E, sempre in quel periodo, presi la decisione che sconvolse la mia vita.

"Ho deciso: scappo di casa. Anzi, questa non è più casa mia, qui non c'è più nessuno che mi vuole bene, nessuno a cui importi qualcosa di me. Ed io non ce la faccio più a stare qui; ho sopportato tanto, troppo."

E così feci.

Circa un mese dopo appiccai un incendio e mi finsi morto.

Non mi importava di cosa avrebbero detto e di cosa avrebbero provato: loro in quell'ultimo mese non c'erano mai stati e mi avevano sempre ignorato.

"Che piangano, se sono tristi; che gioiscano, se sono felici; che tirino un sospiro di sollievo, se ne sono rassicurati. Non mi interessa e ora non è più un mio problema"

E quel giorno dimenticai le fiamme di speranza che quelle due persone avevano acceso, dimenticai le loro parole, e dimenticai i loro nomi. Mi ricordai solamente delle fiamme peccaminose che ardevano e dei corpi bruciati sulla strada alle mie spalle.

E i corpi aumentarono, ed io ricordo tutti i loro volti ancora oggi. Di tutte le persone che per colpa mia, in un modo o nell'altro, sono morte.

Ho scoperto che le mie fiamme blu sono più facili da controllare se usate a scopi nocivi.

E ho smesso di preoccuparmi degli altri, perché sia la notte dell'incendio sia quella della fuga, nessuno mi ha aiutato: né Heroes, né persone normali.

Quindi perché io dovevo preoccuparmi? D'altronde non sono affari miei.

*Katsumi = dotato di autocontrollo

**Shiori = poesia, intreccio

*** ho ripreso la citazione di All Might

[parole: 1145]

Non si nasce Villain, si diventa |Touya Todoroki - Dabi|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora