15) DELIRIO

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L'indomani si risvegliò. O forse erano passati giorni interi  senza che se ne rendesse conto. Non lo sapeva. Era confuso, tutto era confuso.

La droga che gli avevano dato da bere era talmente potente che rimase intontito e incapace di focalizzare esattamente quello che lo circondava per ore e ore. Vedeva immagini e sentiva suoni, però con un che di lontano, indistinto, attutito e ovattato. Per tutto quel tempo ebbe l'impressione di librarsi nell'aria leggero, insensibile a qualunque emozione.

Nella stanza avvertì sempre la presenza di qualcuno e anche se un po' a fatica la collegò con i due giovani. Per quanto intontito, si rese conto di non essere rimasto solo che per pochi secondi fino a sera. Eppure anche allora, quando l'effetto della droga iniziò a svanire del tutto, accanto al suo letto vi era uno di loro. Dopo un poco lo vide, era il più giovane, quello taciturno. Gli fece un cenno con la testa e gli disse qualcosa che non comprese. Aldaberon gli sorrise. Sebbene non conoscesse di lui nient'altro che la voce, gli fece piacere trovarlo al suo fianco.

Ma il massimo del piacere arrivò alla sera, quando il più grande portò del cibo caldo e profumato. Carne e verdure, morbide e dolci. La sola vista del cibo lo fece stare meglio e approfittò della generosità di quella gente.

Mangiò con immenso piacere, sebbene lo stomaco, il corpo e perfino la bocca gli fecero comprendere che non era il caso di insistere. Incredibili crampi allo stomaco lo fecero contorcere dal dolore nel letto fino a quando non riuscì a vomitare tutto quello che aveva ingerito, imbrattando il letto e se stesso. Il giovane taciturno si avvicinò e ripulì tutto. Lo aiutò a spostarsi, lo pulì, sostituì le lenzuola e lo fece stendere ancora.

Spossato si addormentò.

Quando si risvegliò non vide la luce del giorno, nella stanza vi era un lume acceso e accanto a sé sentì il russare lieve di uno dei due giovani. Non s'era accorto del suo risveglio e lui non se la sentì di svegliarlo per così poco.

Lo stomaco ancora gli doleva e in bocca un sapore acido gli ricordò di aver vomitato. La testa gli girava. La debolezza e la droga lo facevano sentire senza forze. Accanto al letto c'era ancora la ciotola con il cibo avanzato, ma ormai era freddo e non sembrava più invitante come prima. Al solo vederlo provò disgusto e si rimise giù, coprendosi gli occhi con un braccio.

Ma nel farlo qualcosa attrasse la sua attenzione, spaventandolo a morte. La mano che vedeva era troppo scarna, troppo vuota e magra per essere la sua. Con un senso d'angoscia crescente la guardò meglio, la girò, la rigirò, la girò ancora per cercare una realtà diversa da quella che vedeva, però pareva proprio non essere cambiata: una magrezza incredibile aveva ridotto la sua mano a poco più che ossa ricoperte di pelle.

Così sembrava essere anche per il braccio, che aveva perso quasi tutta la massa e la forza. Non più muscoli tesi, tondi e gonfi, al posto vedeva pelle vuota e flaccida. Si liberò delle coperte che lo ricoprivano e guardò il resto del corpo. Per poco non si mise a urlare. Non aveva vestiti addosso, nulla che potesse mascherare la realtà. Quello che vedeva non era più il corpo sodo che ricordava di aver avuto, era poco più di uno scheletro! Senza forza e consistenza.

Ora capiva perché lo stomaco s'era rifiutato d'accettare il cibo, non ne era più capace. Il ragazzo della foresta gli aveva detto che temevano che non si riprendesse, ora ne comprendeva la ragione. Per tutto quel tempo la febbre, la ferita che ora vedeva cicatrizzata sul petto e le sue condizioni gli avevano impedito di cibarsi. Da quello che vide comprese di essersi ripreso appena in tempo. Ancora pochi giorni e forse non sarebbe più stato in grado nemmeno di muoversi. Non ebbe il coraggio di toccarsi il volto. Non sopportando oltre lo scempio della malattia, si ricoprì. Si abbandonò stremato sul giaciglio. Nelle condizioni in cui si trovava, non si stupiva di avere così poca resistenza.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora