7) VANDEA

330 120 285
                                    

Come Neko aveva sperato, da quel giorno tutto fu più facile.

Aldaberon riprese a mangiare con maggiore desiderio e anche il suo sonno divenne più tranquillo. L'inverno scorreva lento tra una nevicata e l'altra e dal villaggio non giungevano che rari e sporadici rumori attutiti dalla spessa coltre che ricopriva tutto. Il lungo freddo Varego era iniziato.

Eppure, nonostante questo, all'esterno della loro capanna mai mancarono legna da ardere e cibo per sfamarsi, proprio come aveva detto Alfons.

Neko li trovava al mattino fuori della soglia, accuratamente messi al riparo dalle intemperie. Qualche mano gentile, incurante del gelo,  affrontava in silenzio il disagio e il freddo per raggiungere la casa del Sanzara e mai mancava di ringraziare lo sconosciuto benefattore.

Al contrario di lui, invece il ragazzo sembrava insensibile a queste gentilezze. Era troppo occupato a detestare tutto e tutti. Il suo cervello ribolliva di cattivi pensieri e indegni propositi. Le sue giornate scorrevano giurando vendetta contro tutto il villaggio, poi si rendeva conto dell'impossibilità a realizzarla e si abbatteva.

 Eppure un po' alla volta il tempo vinse, passò e diluì il dolore. Aldaberon passò dalla rabbia cieca a una muta rassegnazione che sapeva di sconfitta.

Mai chiese a Neko se avesse notizie del padre o dei suoi amici, della madre o del villaggio, sembrava averli cancellati dalla sua mente. Solo ogni tanto si accarezzava il braccio destro, appena sotto l'ascella dove portava l'anello della madre, ma erano sempre gesti furtivi, fatti quando credeva che il maestro non potesse vederlo.

Giorno dopo giorno si avvicinò sempre più volentieri alla cassetta della sabbia, passando ore e ore accanto al suo maestro.

Poco alla volta apprese non meno di dieci alfabeti diversi da quello dei Vareghi, padroneggiandone per ognuno pronuncia e varianti. Per ognuno di essi Neko gli raccontò aneddoti e storie, lo rese partecipe dei suoi viaggi e delle terre lontane che visitò.

Ogni volta era uno sgranare gli occhi nel sentire cose incredibili e tanto diverse da quello a cui un giovane Varego era abituato.

Lì, chiuso in una baracca di legno, durante un inverno desolato, imparò a volare con la fantasia.

Quando affrontavano una lingua nuova, la prima cosa che chiedeva al suo maestro era di fargli scrivere il proprio nome, ricevendone ogni volta un gran piacere.

Tutti i segni e i simboli tracciati sulle quattro pareti della scatola gli diventarono poco alla volta famigliari; uno a uno li tracciava e li ritracciava fino a quando non gli parevano giusti, pronto a correggersi se Neko gli faceva notare errori o inesattezze.

Furono giorni quasi  lieti, divisi tra un allievo volenteroso e un insegnante solerte.

Anche se quei primi mesi furono spesso fonte di grandi confusioni ed erronei giudizi, quello che più importò fu che l'arrivo della primavera li colse pronti per affrontare di nuovo il villaggio e la gente che vi abitava.

La neve si sciolse lenta, intervallando qualche tardiva nevicata a insistenti piogge che trasformarono il villaggio in un pantano pesante e scivoloso, prima che finalmente comparissero le prime, tiepide, giornate asciutte.

Per tutto quel tempo il ragazzo non chiese mai esplicitamente di uscire all'aperto.

Sembrava essersi adattato alla perfezione a quel suo piccolo, nuovo, isolato mondo, separato da tutto e da tutti. Sebbene non lo dicesse chiaramente, aveva timore a incontrare ancora la sua gente. Neko lo capiva. Rispettava il suo timore e lo comprendeva, però sapeva che avrebbero dovuto uscire, prima o poi.

Sperava che fosse il suo allievo a volerlo, ma al momento non poteva che aspettare e avere fiducia che la sua giovane natura avesse la meglio sui cattivi propositi.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora