11) LA REGINA DELLE NEVI

225 88 267
                                    

Camminarono insieme per una settimana, andando sempre verso Sud.

In quei giorni Neko trovò il momento adatto per dirgli che anche lui era stato un Sanzara a suo tempo e che era tornato vivo dal suo Rammarico.

"Se ce l'ho fatta io, può farlo chiunque" gli disse sorridendogli tranquillo. Dopo tanti anni passati insieme, quel vecchio riusciva ancora a stupirlo.

Quando si salutarono, lo fecero in fretta. Un rapido abbraccio, niente di più. Era un arrivederci, non un addio.

Neko disse che sarebbe finalmente tornato a casa. Aldaberon invece avrebbe continuato verso Sud, da solo. Quando si separarono, Aldaberon ebbe un momento di smarrimento, vedendolo scomparire lento e sereno nella foresta.

"Ora sì, che sono veramente solo" si disse. Lo sarebbe stato per molto tempo, da quel momento in poi.

Era a quello che stava pensando due lune dopo, mentre, fischiettando un motivo delle sue terre, scostava con le mani un gruppo di felci particolarmente alte e dense.

Da quando aveva lasciato Neko, non aveva incontrato nessuno che non fosse alato, peloso o strisciante; segni di altri come lui non ne aveva visti da tanto di quel tempo che ormai non ci faceva nemmeno più caso. Ad accompagnarlo c'erano i rumori e i suoni della foresta. A chi sapeva riconoscerli non facevano paura, ma compagnia. Eppure, nonostante questo, pur non comprendendo in cosa quella zona fosse diversa da quelle che aveva incontrato fino a allora, da un po' di tempo si sentiva nervoso e agitato.

Canticchiava e fischiettava per dirsi che tutto era normale, che niente era diverso, che non c'era motivo per pensare che dovesse cambiare qualcosa, eppure non riusciva a sentirsi tranquillo. Forse era per il cupo più profondo del tratto di foresta che stava attraversando dalla mattina; forse il fatto che man mano avanzava aveva l'impressione che i giganteschi tronchi fossero ancora più giganteschi e soffocanti; forse perché nemmeno gli animali sembravano amare quella zona visto che dal levar del sole aveva sentito solo poche e sporadiche grida, fischi e trilli.

Comunque fosse, le piante dei suoi piedi gli dicevano che quella zona nascondeva qualche pericolo. Poi, anche quelle felci benedette, proprio in quel punto dovevano decidere d'essere tanto alte e folte da impedirgli di vedere chiaramente attorno a sé?

Avesse voluto dar ragione all'istinto avrebbe sfoderato lo spadone di Alfons che portava sulla schiena. Perlomeno avrebbe armato l'arco o sistemato meglio la faretra, invece s'accontentò d'impugnare per un attimo il manico del pugnale tanto per sentirlo rassicurante tra le dita. Sapeva che tra quelle felci le altre armi sarebbero state inutili, troppo pesanti e lente da usare. In caso di necessità solo su quello avrebbe potuto fare affidamento. Sistemò lo scudo perché gli proteggesse meglio la schiena e proseguì con cautela, muovendosi circospetto.

"Prima o poi anche queste felci dovranno finire, no?" si diceva tra una strofa e l'altra cantata in sordina "Tutto finisce, accidenti. Anche queste maledette felci!". Poi giù a cantare un altro verso, non tanto forte da farsi sentire, ma nemmeno tanto piano da dover ammettere di aver paura. Come gli aveva detto Neko molte volte, un Sanzara doveva essere sempre pronto. Nolente o volente doveva recuperare a uno sbaglio fatto molto tempo prima, altrimenti avrebbe destinato un suo discendente a farlo al posto suo. Dalla nascita aveva questo marchio addosso e soltanto se incontrerà nuovamente l'Inevitabile e saprà evitarlo, potrà finalmente tornare tra la sua gente, a casa. Davanti alla sua riuscita tutto il suo popolo l'avrebbe onorato e rispettato come Gopanda-Leta, Colui che ha deciso per il destino.

Ma prima di allora avrebbe dovuto viaggiare e viaggiare, incontrare gente e luoghi nuovi e diversi, senza fermarsi mai davanti a nulla che non ricordasse in qualche modo ciò che gli disse sua madre.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora