Canto di verità

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8. CANTO DI VERITA’
 
Noi siamo all’inferno, e la sola scelta che abbiamo è tra essere dannati che vengono tormentati o i diavoli addetti al loro supplizio.”
(Albert Caraco)
 
Quando Ariadne capì che si trovavano lungo il canale, era troppo tardi per tornare indietro. Era buio e faceva fresco, e soprattutto quella zona era isolata. Tommy camminava davanti a lei e ogni tanto si guardava intorno per assicurarsi che nessuno li seguisse. Era visibilmente agitato, le labbra serrate e la mascella tesa.
“Tom, posso sapere dove andiamo?”
“Cammina.”
Ariadne lo seguì senza fare altre domande, sapeva che non avrebbe ricevuto alcuna risposta soddisfacente. Proseguirono fino al punto attracco dove era ormeggiata barca di Charlie Strong, lo zio degli Shelby.
“Sali.” Disse Tommy in tono autoritario.
La ragazza salì a bordo ed entrò nella cabina che fungeva da riparo. Tommy tornò fuori per staccare l’ormeggio e mettere in moto la barca, e per fortuna che lo zio da bambino lo aveva obbligato a qualche lezione. Ariadne fu sbalzata in avanti quando il mezzo pian piano ondeggiò in acqua, allontanandosi dal canale.
“Tom? Tommy?”
Tommy la raggiunse nella cabina e richiuse la porticina, tanto la barca avrebbe mantenuto la linea retta ancora per qualche chilometro prima che fosse necessario l’intervento al timone. Si tolse la giacca, poi il panciotto e la cravatta, e infine si sollevò le maniche della camicia ai gomiti.
“Dobbiamo parlare. Siediti.”
Ariadne si sedette su una specie di brandina improvvisata, le molle cigolavano sotto il suo peso e la coperta di lana le pizzicava le mani.
È morto qualcuno? Mick ha fatto qualcosa?”
Tommy si accese una sigaretta e ne fumò la metà prima di parlare, era troppo teso per affrontare un discorso senza nicotina.
“Ho fatto due chiacchiere con tua madre e non è stato piacevole.”
“Certo, conosco la sensazione. Che ti ha detto?”
“Tua madre vuole farti sposare con Mick King.”
Ariadne mollò la presa sulla coperta, tutto il suo corpo si era paralizzato. Pensò che Tommy scherzasse, ma la sua espressione dura era la conferma di quelle parole.
“Io … ahm … non …”
“E’ una situazione del cazzo.” Commentò Tommy.
Se prima era arrabbiato, ora che guardava Ariadne provò un forte senso di protezione nei suoi riguardi. Gli occhi ambrati della ragazza erano lucidi e le sue labbra tremavano, indice che stava trattenendo a stento le lacrime. Vederla in quelle condizioni gli provocò una fitta dolorosa al petto.
“Mi dispiace, Ariadne.”
Ariadne si limitò ad annuire, incapace di articolare una frase sensata. Era sconvolta. Arrabbiata. E soprattutto disperata.
“Perché?” mormorò con la voce roca.
“Perché questo matrimonio cancella ogni debito che tuo fratello ha con gli Scuttlers. Inoltre, in questo modo Mick King non farà guerra ai Blue Lions.”
Ariadne scoppiò a piangere. Il fatto che la sua famiglia l’avesse ceduta a Mick per appianare i debiti era un colpo troppo duro da incassare. Più si asciugava le lacrime e più il pianto aumentava, non riusciva a smettere.
“Basta.” Disse Tommy.
“Scusami.”
E intanto continuava a lacrimare, la gola era un nodo che le impediva di parlare. Tommy prese posto accanto a lei e le mise un braccio intorno alle spalle.
“Ariadne, basta. Quei bastardi non meritano le tue lacrime.”
A Tommy si strinse il cuore, vederla così vulnerabile fra le sue braccia era una vista atroce.
“Troveremo una soluzione. Adesso, però, cerca di calmarti.”
Ariadne si accasciò contro il suo petto e pianse ancora, bagnandogli la camicia bianca. Tommy la strinse di più a sé, quasi la stava cullando.
“Shh, dai. Basta.”
La ragazza si costrinse a fare dei respiri profondi per riprendere il controllo, del resto piangersi addosso non avrebbe modificato il corso delle sue sventure. Si asciugò gli occhi meglio che poté e tossì per addolcire la gola secca.
“Hai dell’acqua?” domandò timidamente.
“Qualcosa di meglio.”
Tommy smanettò con la maniglia di un vecchio baule ed estrasse una bottiglia sigillata di rum. La stappò e ne bevve un sorso, esprimendo il suo apprezzamento con un mezzo sorriso.
“Non è acqua.” Mormorò Ariadne ridendo.
È buono. Prova.”
Tommy sghignazzò quando Ariadne, dopo aver bevuto, si contrasse in uno spasmo di disgusto. Si sventolò una mano sulla lingua per placare il bruciore causato dall’alcol.
È orribile! Davvero orribile!”
“Donna dai gusti complicati.” Disse Tommy.
“E’ la prima volta che mi appelli come donna e non come una ragazzina o una bambina.”
Tommy bevve un altro sorso di rum, un altro e poi un altro, fino a quando non arrivò a metà bottiglia.
“E’ quello che sei, una donna.”
Ariadne fece un piccolo sorriso, finalmente lui la stava trattando come una sua pari.
“Ti ritroverai nei guai per avermi portata via. Mia madre e Mick non sono noti per essere persone clementi.”
“Non me ne frega un cazzo di loro. È con te devo sbrigarmela.”
“In che senso?”
Tommy nel frattempo si era scolato la bottiglia intera, eppure non si sentiva neanche brillo. Anni e anni passati a ubriacarsi avevano generato in lui una certa resistenza all’ubriachezza.
“Nel senso che io faccio affari solo con te.”
Ariadne si tolse le scarpe e si accucciò sulla brandina, una delle molle le pungolava il polpaccio.
“Affari, eh? Si tratta sempre e solo di questo.”
“E’ l’unica cosa che ci resta.” Replicò Tommy.
“Non ho nulla da offrirti. Non ho soldi, non ho conoscenze e non ho neanche più la libertà. Che cosa posso darti, Tom?”
“Una storia.”
“Una storia?”
“Sì.”
Tommy si appoggiò al baule che conteneva vecchie bottiglie di alcol, incrociò le caviglie e fumò un’altra sigaretta; ben presto l’angusto spazio si impregnò di odore di tabacco.
“Quale?” volle sapere Ariadne.
“Perché tua madre ti odia tanto?”
L’espressione di Ariadne si tramutò in una maschera di tristezza e angoscia, ora dimostrava più anni della sua età.
“Perché le ho spezzato il cuore. Questa storia non ha il lieto fine.”
“Nessuna storia ce l’ha.” Replicò lui, cacciando il fumo in una spirale bianca.
“Se te lo dico … poi non si torna più indietro. Mi sto fidando ciecamente di te, Thomas.”
Un brivido corse lungo la schiena di Tommy, era curioso e nervoso al tempo stesso.
“Puoi fidarti.”
“Beh, è andata più o meno così. Otto anni fa …”
 
Otto anni prima, Birmingham
Ariadne mangiucchiava un cioccolatino mentre Julian le raccontava, a detta sua, ‘una cosa meravigliosa’. Leccò via il cioccolato dalle dita per evitare che sua madre se ne accorgesse e che per questo la rimproverasse, o che la mettesse in punizione. Sua madre era rigida sugli orari della cena, dopo le venti non era permesso mangiare ancora.
“E quindi, Jules? Cos’è meraviglioso?”
Il fratello minore, un tredicenne troppo alto e troppo magro, con una zazzera di riccioli castani sulla fronte, sorrise con le guance arrossate.
“Ho baciato un ragazzo.”
Ariadne aggrottò la fronte a quella confessione. Non capiva cosa ci fosse di meraviglioso in un bacio.
“Non ci vedo nulla di straordinario.”
Julian sbarrò gli occhi e poi ridacchiò, l’aria imprigionata nei polmoni fu buttata fuori con una breve risata.
“Ho baciato un maschio! Capisci? Un maschio!”
Solo allora Ariadne comprese la meraviglia tanto decantata dal fratello. Un uomo doveva baciare una donna, o almeno così le avevano insegnato i suoi genitori. Ma perché porre limiti all’amore? Perché due persone dello stesso sesso non potevano amarsi come gli altri?
“Oh …. Oh! Oh, Jules! Ti ha visto qualcuno? Chi è? Com’è stato?”
Julian rise per la raffica di curiosità della sorella, era la quindicenne più strana che conoscesse.
“E’ il figlio del giardiniere. No, non ci ha visti nessuno. E sì, è stato bellissimo.”
Ariadne non aveva mai baciato nessuno e quindi non poteva cogliere appieno la gioia del fratello, ma vederlo così contento rendeva contenta anche lei.
I due ragazzini sobbalzarono quando la porta della cucina si spalancò con il solito stridore. Marianne Evans stava sulla soglia, la sua figura era nera contro la luce del corridoio.
“Julian, vieni con me. Tuo padre ti vuole parlare.”
“Vengo anche io.” disse Ariadne, stringendo la mano del fratello.
“No. Viene soltanto Julian. Tu torna a dormire, oppure ti metterò in punizione a vita.”
Marianne afferrò Julian per il braccio e lo strattonò verso lo studio del padre, mentre Ariadne rimase ferma in cucina per qualche altro secondo. Anziché andare in camera sua come le era stato ordinato, decise di origliare la conversazione e si appostò dietro la porta decorata a intarsi dello studio.
“Julian, la domestica mi ha detto una cosa.” Incominciò il padre.
“Cosa?”
“Mi ha detto che ti ha visto baciare il figlio del giardiniere nel capanno degli attrezzi. È vero?”
Julian stava sudando freddo, i riccioli gli si erano appiccicati sulla nuca. Il padre, con le grosse mani a impugnare una penna, lo guardavano con estrema cattiveria.
“Non è vero. È una bugia!”
“E perché stai frignando come una ragazzina? Un vero uomo non si comporta così!”
Marianne sospirò bruscamente, odiava quando il marito era tanto scontroso con i suoi figli.
“Caro, sta calmo. Sono certa che Julian ci spiegherà tutto.”
“Non c’è un cazzo da spiegare! Ho visto come questa checca guarda il figlio del giardiniere con la bava alla bocca!”
Julian saltò sulla sedia per la paura quando il padre gli andò incontro con i denti digrignati, un orco pronto a sbranare la sua povera vittima. Scattò in piedi e indietreggiò, però il padre si avvicinò con poche falcate.
“Philip, basta così. È solo un bambino.” Disse Marianne, anche lei spaventata.
“E’ una bambina! È una fottuta bambinella del cazzo a cui piacciono i maschi!” sputò il marito.
Julian tentò di agguantare la maniglia per scappare via, ma il padre lo afferrò per il colletto del pigiama e lo scaraventò sul pavimento.
“Padre, no! Vi prego! Non lo faccio più! Non lo faccio più!” strillava Julian fra le lacrime.
Il padre, però, non lo stava più a sentire. Aveva raccattato l’attizzatoio e lo puntava verso il ragazzino.
“Ti meriti una lezione, frocio di merda! Ti darò talmente tante botte che ti aggiusterò!”
“No!” gridò Marianne.
Si parò davanti al figlio per difenderlo ma venne gettata di lato dalla mano possente del marito.
“Levati di mezzo, donna!”
Ora il padre aveva alzato il braccio e incombeva su Julian, che si era portato le braccia alle ginocchia e piangeva forte. Lanciò un grido quando la punta dell’attizzatoio lo colpì sulla spalla.
Poi accadde qualcosa che avrebbe segnato il destino della famiglia.
“Sta lontano da lui!”
Ariadne aveva fatto irruzione nello studio, i lunghi capelli rossi si agitavano attorno a lei come serpentelli; somigliava a Medusa, peccato che non potesse pietrificare con lo sguardo.
“Vuoi essere picchiata anche tu, ragazzina? Levati dai coglioni!”
Julian strisciò fino ai piedi della sorella e si aggrappò alla sua gamba in cerca di riparo.
“Aria! Aria, aiutami!”
“Jules, va via!”
Ariadne guardò il fratellino correre in camera sua per nascondersi e poi tornò a guardare il padre, comprendendo bene cosa fare. Si gettò addosso al padre facendolo cadere per terra, si rimise dritta e raccolse l’attizzatoio. Puntò l’arma improvvisata contro il viso del padre.
“Non ti muovere o ti uccido!”
“Ariadne, non farlo!” l’ammonì la madre, nascosta dietro lo scrittoio.
Il padre, invece, rideva di gusto. Rideva come se stesse assistendo ad uno spettacolo circense di grande divertimento. Rideva sempre così prima di alzare le mani sulla moglie e sui figli, picchiandoli fino a lasciare i lividi.
“Fallo! Andiamo, ammazzami! Coraggio, stupida ragazzina!”
La rabbia di Ariadne diventò furia incontrollabile.
“Non mi sfidare, padre!”
“Sei solo una bambinella insulsa che un giorno servirà a pulire il culo del marito!”
Bastarono quelle parole per incendiare l’anima di Ariadne. Sollevò entrambe le braccia e caricò un colpo contro l’uomo. L’attimo dopo l’attizzatoio si conficcò nel cranio del padre, tramortendolo sul pavimento. Il pregiato tappeto persiano era un bagno di sangue.
“Scappa! Va via! Va via!” urlò Marianne in preda al dolore.
E così Ariadne aveva ucciso suo padre a soli quindici anni.
 
“… poche ore dopo sono salita su un treno per Londra di sola andata. Ho frequentato il collegio fino alla maggiore età e sono andata a vivere con una mia zia vedova, ma poco dopo me la sono svignata per vivere da sola. Ho trovato lavoro alla tavola calda e sono finita ad abitare a Camden Town. Mia madre disse a tutti che mio padre aveva sorpreso un ladro in casa. Disse anche che ero stata mandata via durante la notte perché la sua morte mi aveva scossa troppo.”
Per tutto il racconto Tommy era rimasto ad ascoltarla senza nessuna particolare emozione sul volto; aveva ascoltato ogni dettaglio senza lasciar trasparire i suoi pensieri. Aveva consumato la sigaretta, aveva buttato la cicca fuori dall’oblò, e poi era tornato ad ascoltare con le braccia incrociate al petto.
“Suppongo che la tua opinione su di me sia peggiorata.” Disse Ariadne.
Ora si torturava le pellicine del pollice in preda all’ansia.
“Credi che io abbia una brutta opinione su di te?”
“Forse ora ce l’avrai.”
Tommy non disse nulla, abbandonò il rum per terra e risalì in superficie. Ariadne, temendo che lui fosse rimasto schifato dal suo racconto, lo seguì e scoprì che Tommy stava pilotando la barca verso un piccolo porto.
“Vieni qui.” la invitò Tommy.
Ariadne si avvicinò con passi incerti, qualcosa in lei le suggeriva che dopo aver raccontato la sua storia le cose non sarebbero state mai più le stesse.
“Tom, perché non dici niente?”
“E cosa dovrei dire? Anche io ho ucciso, lo sai.”
Tommy non la guardava, si concentrava sul timone per non dover affrontare gli occhioni lucidi della ragazza.
“Ma io ho ucciso mio padre! Mio padre, sangue del mio sangue!”
“Anche io avrei ucciso mio padre se ne avessi avuto l’occasione.”
Ariadne si mise le mani fra i capelli, quella conversazione aveva del surreale. Lei confessava un omicidio e lui non si scomponeva.
“Thomas Shelby, sei un cazzone! Io ti dico che ho ucciso una persona e a te sembra tutto normale!”
Tommy allora la guardò dritto negli occhi, sebbene avesse il terrore di annegare in quel mare di ambra.
“Ti ha mai picchiata?”
“Una volta, perché non gli ho preso un bicchiere dalla credenza.” Rispose Ariadne.
“Ha anche picchiato Eric e Julian e tua madre, per me sono ragioni sufficienti per ammazzare quel bastardo. Era uno stronzo, meritava di morire. Non hai nessuna colpa.”
Ariadne abbassò il mento, stanca di essere scavata dentro dallo sguardo azzurro di Tommy.
“Il disegno che ho realizzato per la mostra e che tu hai comprato … beh, rappresenta quel momento.”
Tommy ricordava bene quel disegno, aveva passato notti intere ad ammirarlo per imprimere nella mente ogni linea. Ora tutto si faceva chiaro: le due figure erano Ariadne e suo padre, colte nel momento dell’assassinio.
“Il tuo inferno personale.”
“Esatto.” confermò Ariadne.
“Non è colpa tua, Ariadne.” Ribadì Tommy, risoluto.
La ragazza annuì, dopodiché trovò un posto dove sistemarsi e si perse ad osservare l’acqua che si increspava sotto la barca.
 
“Ci fermiamo qui per la notte.” Annunciò Tommy.
Scese dalla barca il tempo necessario per l’attracco, poi risalì a bordo per non essere visto dagli abitanti del piccolo borgo cui apparteneva il porticciolo. Un uomo ben vestito e una giovane ragazza avrebbero di certo attirato attenzione indesiderata. Scesero nella cabina per ripararsi dalla brezza notturna, ormai era passata la mezzanotte.
“Hai un piano, Tom?”
Ariadne si gettò a peso morto sulla brandina, la solita molla a solleticarle il polpaccio, mentre Tommy apriva vari stipetti alla ricerca di chissà cosa.
“Più o meno. Dipende dalla tua collaborazione.”
“Sono la pedina fastidiosa da posizionare.” Commentò lei, acida.
“Che sei fastidiosa è vero.”
“Tom …”
Tommy sospirò pesantemente perché ogni volta che lei pronunciava il suo nome con quel tono ripieno di innocenza i battiti del cuore acceleravo d’istinto.
“Che c’è?”
“Mi dispiace per tutto questo … casino. Non sarei mai dovuta tornare a Birmingham.”
“Non è colpa tua. Smettila di condannarti da sola. È colpa di tua madre e di tuo fratello che hanno deciso di mettersi dalla parte di Mick King.”
“Valgo quanto un sacco di patate.”
Quando Tommy si voltò, trovò Ariadne rannicchiata in un angolo con le braccia intorno alle gambe e la testa sulle ginocchia. Non era spaventata, piuttosto sembrava aver perso le speranze. Desiderava scolarsi decine di bottiglie di whiskey per mettere a tacere quella vocina dentro di lui che gli gridava di abbracciare forte la ragazza e consolarla.
“Le cose sono più complicate di così. C’è una montagna di merda in ballo: la sparatoria nel bosco, il patto saltato, nuovi accordi, tua madre che si mette a fare il boss. Siamo braccati su ogni fottuto lato.”
Ariadne picchiettò il palmo della mano sul materasso per fare segno a Tommy di sedersi, e lui obbedì senza remore. L’odore di bergamotto si mescolava al tabacco tanto era la vicinanza.
“Stasera sono venuta al Garrison per riferirti una cosa: ho visto Lucius e Mick che si incontravano in un palazzo sopra l’orafo, a pochi isolati da Small Heath.”
“E’ lì che avranno stipulato il contratto matrimoniale.” Disse Tommy.
“E se invece fossero complici da prima? Abbiamo ipotizzato che Mick abbia organizzato la sparatoria nel bosco per far saltare l’accordo con i Peaky Blinders e con i Blue Lions.”
Tommy si morse l’interno della guancia, sbigottito dalla piega che stava prendendo quel ragionamento.
“Pensi che Lucius e Mick fossero d’accordo per la sparatoria?”
“Può darsi. Riflettiamo: dopo la sparatoria Lucius sparisce per due giorni e poi sbuca dal nulla del tutto illeso, conosce Barry e pochi giorni dopo viene trovato il suo cadavere, e infine lo becco mentre incontra Mick. Non ti sembrano troppe coincidenze?”
Tommy rimuginò sulle parole di Ariadne, ogni pezzo del puzzle sembrava aver trovato la sua giusta collocazione.
“Lucius compra il fucile da Barry e lo lascia in vita perché sono amici, ma Mick decide di uccidere Barry per impedire che dica la verità. A quel punto Lucius non avrebbe potuto fare più nulla, il suo amico era morto e lui poteva solo assecondare Mick.”
“E’ quello che penso anche io.” disse Ariadne.
“Perché diamine Lucius farebbe affari segreti con gli Scuttlers? Eric per lui è come un fratello!”
“Non è ovvio? Lucius sa che Eric sta per morire e sperava di ereditare la carica di capo, però Eric ha scelto me.”
“E’ una fottuta vendetta.” Bisbigliò Tommy, illuminato.
“E mia madre si è resa una complice a sua insaputa.”
“Con il matrimonio tu sei fuori dai giochi e presto l’infezione ucciderà Eric, perciò Lucius avrà il terreno spianato per prendersi i Blue Lions.”
Ariadne ripensò a Eric, al suo sorriso gentile e ai suoi abbracci caldi, e provò una fitta di dolore che le tolse il respiro.
“Mio fratello sta per morire e il suo migliore amico lo ha tradito.”
“Anche mio fratello John è morto, solo che è stata colpa mia per davvero. Ero talmente accecato dal potere che ho perso il controllo della situazione.”
Ariadne si morse le labbra per non emettere un suono di stupore poiché per la prima volta Tommy le rivelava qualcosa della sua vita spontaneamente.
“Che facciamo, Tom?”
“Mi serve tempo per pensarci. All’alba ripartiremo e sul canale ci aspetterà un amico di famiglia che ti ospiterà fino a quando non troverò un modo per risolvere le cose.”
“E’ la seconda volta oggi che pretendi la mia fiducia.”
Tommy fece un mezzo sorriso e si spostò per poterla guardare in faccia. Tese una mano in avanti.
“Ti fidi?”
Ariadne gli strinse la mano senza indugio.
“Mi fido.”
Si contemplarono a vicenda per qualche minuto, in silenzio, le mani ancora legate in una muta promessa. Ariadne deglutì e cercò di ritrarre la mano perché quella stretta era fin troppo calda. Dal canto suo, Tommy rafforzò la presa su di lei e l’attirò a sé. Quel bacio fu inevitabile.
Ariadne era rigida e non stava ricambiando il bacio, così Tommy si bloccò e alzò le mani.
“Non possiamo! Tom, non pos-“
Tommy si scostò il giusto per lanciarle uno dei suoi sguardi ammaliatori.
“Quello che succede su questa barca resta su questa barca.”
Ariadne aveva il fiatone come se avesse corso per ore. Si portò le mani sul cuore e fece dei respiri profondi nel tentativo di calmarsi. Gli occhi di Tommy erano così vicini e così azzurri che lei ormai non stava ragionando, ogni logica sembrava averla abbandonata da un pezzo.
“Magari fosse facile dimenticare certe cose, certe persone.” Sussurrò lei.
Tommy le spostò un riccio ramato dalla guancia con una delicatezza disarmante, in netto contrasto con i suoi consueti modi burberi.
“La vita è fatta di scelte. Fai la tua scelta, Ariadne.”
Ariadne fece la sua scelta. Scelse di lasciarsi andare, per una volta scelse di non rispettare le regole e di godersi qualcosa che voleva senza ripensamenti. Dunque mise una mano sulla nuca di Tommy e lo baciò, dapprima piano e poi con maggiore intensità. La bocca di Tommy reagì subito, ricambiando il bacio con altrettanta passione. La fece stendere sotto di sé, entrambi incuranti della brandina che cigolava ad ogni mossa.
Più in bacio si approfondiva e più i loro corpi si incollavano stretti in un abbraccio caldo. Ariadne rabbrividì quando Tommy si premette ancora contro di lei, poteva sentire i seni schiacciarti sul suo petto. Si separarono solo per riprendere fiato.
“Che cosa ti fa ridere?” domandò Tommy.
La ragazza smise di ridacchiare e fece spallucce.
“Rido perché ci conosciamo da pochi mesi e abbiamo combinato già una marea di guai.”
“Ordinaria amministrazione per me.”
Ariadne rise di nuovo, questa volta si unì a lei anche Tommy.
“Signor Shelby, voi siete un vero fuorilegge!”
Tommy si accorse in quel momento che gli piaceva la risata di Ariadne, era squillante ma era molto piacevole da ascoltare. Scrollò la testa come a voler sradicare quell’assurda riflessione.
“Faccio del mio meglio per essere il peggiore.”
Inspirò a fondo quando Ariadne gli accarezzò la nuca con le unghie, era un gesto intimo che non condivideva con nessuno da tempo ormai. Chiuse gli occhi per godersi quelle carezze.
“Non sei tanto male quando non fai lo stronzo.”
“Quando mai non faccio lo stronzo?”
“Effettivamente hai ragione.” Convenne lei, ridendo.
Tommy d’istinto la baciò mentre rideva, era stato un impulso che non era riuscito a reprimere. Ariadne gli regalò un sorriso dolce prima di baciarlo ancora. Questo fu un bacio lento, un invitante gioco di lingue, e si presero tutto il tempo per dare sfogo al desiderio. Tommy fece scivolare le mani verso il basso per poi lasciarle vagare sotto la camicetta di Ariadne, che trasalì avvertendo le dita fredde e callose sulla pelle. La cabina era semibuia, il silenzio era spezzato solo dai loro ansimi. Tommy dovette fermarsi quando notò un cambiamento nella ragazza, ora si era irrigidita e sembrava triste.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“Oh, no, non sei tu. Stavo pensando a Mick e al matrimonio. Quel viscido non vede l’ora di mettermi le mani addosso. E la mia famiglia glielo concederà senza opporsi.”
“Ariadne, guardami.”
Quando lei sollevò lo sguardo, Tommy quasi ebbe il terrore di affondare in quegli occhi sconsolati. Rotolò giù da lei per disporsi al suo fianco e poggiò la mano sulla sua pancia, i bottoni della camicetta gli pizzicavano il palmo.
“Non permetteremo a Mick di sposarti. Dammi un paio di giorni e ti prometto che usciremo da questo fottuto casino.”
“Lo spero.”
Ariadne si accoccolò contro di lui, la punta del naso che gli sfiorava il collo. Tommy avvolse le braccia intorno a lei e le baciò la testa, spinto da un senso di affetto inaspettato. Non poteva vederli nessuno, pertanto per una notte potevano fingere di essere ancora insieme a Londra.
“Andrà tutto bene.”
 
Poche ore dopo Ariadne si svegliò da sola nella brandina. Dall’oblò sopra di lei spuntavano timidi raggi di luce opaca, doveva essere appena sorta l’alba. Sorrise tra sé al ricordo di aver dormito fra le braccia di Tommy, il suo odore di tabacco e colonia misto al calore emanato dal suo corpo le avevano regalato un sonno sereno. Lasciò il piccolo ambiente per uscire a cercare Tommy, che stava fumando con la testa reclinata a guardare il cielo. Sembrava un uomo qualunque.
“Non pensavo fossi il tipo che guarda il cielo.”
Tommy lentamente posò gli occhi su di lei, ancora assonnata e con i ricci spettinati, e si grattò il mento.
“Fa freddo, copriti.”
Maggio stava volgendo al termine, eppure in acque aperte e all’alba il venticello era freddo e penetrava nei vestiti.
“Mi puoi riscaldare tu.”
 Ariadne, che voleva avere la possibilità di scegliere ancora per un po’, abbracciò Tommy da dietro e gli baciò lo spazio fra le scapole attraverso la stoffa della camicia. Lui rabbrividì, gli venne la pelle d’oca visibile sulle braccia.
“Certo.”
Tommy pochi secondi dopo si rilassò nell’abbraccio, le spalle si ammorbidirono e così anche le sue labbra si piegarono in un sorriso accennato.
“Tra venti minuti saremo a Birmingham. Mi prometti che non farai capricci?”
Ariadne rise contro la sua schiena, facendogli sentire il riverbero lungo la colonna vertebrale.
“Solo se adesso torni con me in cabina. Abbiamo ancora venti minuti da trascorrere insieme.”
Tommy sapeva di essere in trappola, lui si allontanava e lei riusciva a catturarlo sempre. Non sapeva come arrestare quel circolo vizioso. Ariadne lo guardava, gli parlava, lo toccava e lui non ci capiva più niente.
“Andiamo.”
 
Ad un certo punto Ariadne si era ritrovata premuta contro il materasso con Tommy che le baciava il collo. Era in reggiseno, la camicetta giaceva sul sudicio pavimento. Fremette quando Tommy le abbassò una corda per baciarle la spalla, il fiato caldo che si scontrava sulla sua pelle.
“Tom …”
Ariadne avvertiva l’adrenalina scorrere veloce nelle vene.
“Che c’è?”
Tommy aveva le labbra rosse per i baci e le pupille dilatate, e lei pensò che fosse l’uomo più bello che avesse mai visto.
“Queste sono le campane della cattedrale. Siamo arrivati.”
Era vero, le campane suonavano annunciando alla città che erano le sei del mattino. Tommy si alzò e allungò una mano per aiutarla, al che Ariadne accettò con un sorriso. Iniziarono a vestirsi in silenzio, presto sarebbero stati in compagnia.
“Torno di sopra per l’attracco. Tu recupera la tua roba.”
Lei annuì mentre si sistemava i capelli meglio che poteva. Recuperò il cardigan e la valigia, dopodiché raggiunse Tommy.
 
Ariadne in lontananza intravide due uomini che parlavano fra loro nei pressi dei cippi di attracco del canale. Uno era più anziano, lunghi capelli grigi coperti da un cappello nero e una pistola ben visibile sul fianco; l’altro era un giovane ragazzo, molto alto e muscoloso, con i capelli castani e ben pettinati.
“Quello è Aberama Gold e quello è suo figlio Bonnie. Ti ospiteranno a casa loro, un luogo sicuro fuori dalla città. Nessuno sarà in grado di trovarti.” Spiegò Tommy.
“E tu che farai? Mio fratello e Mick ti staranno cercando.”
“Non sono i primi e non saranno gli ultimi a dare la caccia a Tommy Shelby. Tu non ti preoccupare, ci penso io. So come muovermi.”
Ariadne si limitò ad annuire, sebbene qualcosa dentro di lei le diceva che la pace non sarebbe durata a lungo.
Una decina di minuti dopo rimisero i piedi a terra, l’acqua del canale sotto di loro gorgogliava insieme al cinguettio degli uccelli. Sarebbe stata una bella giornata se soltanto non si trovasse accerchiata dalle gang di Birmingham.
“Tommy, è un piacere!” lo salutò Aberama.
“Aberama! Vi presento Ariadne Evans.”
La ragazza alzò la mano in un timido saluto, le gote lievemente arrossate. Il ragazzo alto le sorrise con fare gentile, poi le strinse la mano.
“Io sono Bonnie e questo è mio padre Aberama. Sarai al sicuro con noi.”
“Vi ringrazio per l’aiuto.”
Tommy e Aberama si scambiarono un’occhiata eloquente che mandava un solo messaggio: proteggere la ragazza ad ogni costo.
“Signorina, venite con noi. È meglio andare prima che qualcuno ci veda.” Disse Aberama.
Bonnie prese la sua valigia e avviò verso l’auto, avrebbe guidato lui per impedire che l’autista facesse troppe domande.
“Allora io vado.” Mormorò lei, insicura.
Tommy le diede una pacca sulla spalla, quasi si trattasse di sua sorella, e le fece un cenno con la testa.
“Vai.”
 
 
Salve a tutti! 🧡
Il rapporto fra Ariadne e Tommy è altalenante, ora si avvicinano e ora si allontanano.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

INFERNO || Tommy Shelby Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora