2 - You won't believe your eyes

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Aurora aveva aspettato per anni quel momento e finalmente era arrivato. Sentire il suono fastidioso della sveglia non era mai stato così emozionante e svegliarsi non era mai stato così semplice. Si era messa seduta sul letto in pochi secondi, come quando le persone nei film si svegliano emozionate per il loro compleanno o per il giorno di Natale, e corse immediatamente a prepararsi per il momento che aspettava da una vita: il suo primo giorno di lavoro.

Due ore dopo, in quella calma giornata di febbraio, troppo soleggiata per sembrare inverno, si ritrovò davanti all'edificio con largo anticipo. Il suo sguardo era rivolto verso l'alto, dove il logo della compagnia spiccava tra i palazzi intorno; ne era come attratta, come se abbassare lo sguardo fosse una mancanza di rispetto verso l'imponente azienda di cui, oramai, faceva parte. Le sue mani erano ricoperte dai guanti neri e le stringeva forte tra di loro mentre tremava sul posto, forse più per la paura che per il freddo.

Tutte le sue paure vennero a galla in quel momento, la paura di non essere abbastanza brava e di deludere il suo futuro capo o di sbagliare qualcosa il primo giorno. Infondo era passata da zero a cento nel giro di poco tempo.  Era una perfezionista, tutto doveva andare perfettamente, secondo i suoi piani altrimenti tutto sarebbe andato storto.
Prese un lungo respiro sistemandosi lo zaino in spalla, pieno del suo materiale, e nascondendo le sue paure dietro a un sorriso che ispirava nient'altro che tranquillità si diresse verso l'entrata principale dove degli omoni in giacca e cravatta bloccavano la porta e ciò la costrinse a rallentare il passo fino a trovarsi a pochi metri di distanza.

«Nome?» senza neanche guardarla negli occhi, uno dei due uomini le rivolse quella sola parola, stringendo forte tra le mani una cartellina, che lei immaginò essere una lista delle persone che potevano entrare nell'edificio.

«Ehm... Io-...» le prese il panico pensando che quel semplice controllo di routine potesse rovinare tutto come scoprire che il suo nome, in realtà, non era su quella lista. «Aurora... Aurora Robertson.» si ricompose in poco tempo mentre stringeva i due pugni nelle tasche del giaccone, maledicendosi internamente mentre osservava con molta attenzione il dito scorrere sulla lista, ma si tranquillizzò quando vide la guardia segnare una croce sul foglio e lasciarle il libero passaggio verso le porte d'entrata. Aurora lo ringraziò gentilmente, augurando una buona giornata con la solita premura e gentilezza che la contraddistingueva da sempre.

Era fatta, era dentro. Si guardava in giro, osservando ogni dettaglio dell'edificio, mentre accanto a lei decine di persone correvano da una parte all'altra. Sarebbe rimasta incantata in quel posto per ore, se solo non si fosse risvegliata dai suoi pensieri ricordandosi che anche lei era lì per lavorare: il sorriso a trentadue denti che aveva stampato sul viso si spense lentamente mentre realizzò che non aveva idea di dove andare. Provò a fermare gentilmente qualche persona chiedendo informazioni, ma tutto ciò che ricevette furono sguardi straniti e risposte frettolose, cosí decise di rimanere lì nell'entrata e chiedere aiuto all'unica persona che conosceva lì dentro. Tirò fuori il telefono dalla tasca, componendo velocemente il numero di Cheere, sperando che la portasse velocemente fuori da quella situazione imbarazzante, in cui lei era ferma da vari minuti nello stesso punto, guardandosi intorno senza avere una vaga idea di dove andare. Ma proprio mentre stava per schiacciare il pulsante d'avvio della chiamata, qualcuno che apparentemente aveva molta fretta, le andò addosso facendola scontrare contro uno dei numerosi cassoni che si trovavano lí dentro.

«Questo è un corridoio, non una sala d'attesa!» furono le uniche parole che uscirono dalla bocca dell'uomo che le venne addosso. Aurora ingoiò un groppo e avrebbe anche chiesto scusa se solo l'uomo non fosse corso via senza neanche guardarla in faccia.

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