Jackson lanciò il cellulare sul divano e osservò, sconsolato, la parete davanti a lui. Aveva perso, non c'era null'altro da asserire. La chiamata con Paige era stata rivelatoria, e non in positivo. Citare in giudizio la scuola non avrebbe portato a nulla, e loro erano fregati. Erano già passati tre giorni di sospensione, e Jackson non poteva fare nulla per aiutare Thomas. Una mano gli toccò la spalla, quindi si voltò e sorrise al giovane.
«Mi dispiace» disse, con filo di voce. Non sapeva come comportarsi, cosa fare, cosa pensare. Aveva esaurito tutte le carte in suo possesso, e si sentiva fottutamente in colpa per ciò che era accaduto.
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Te l'ho già chiarito, non è colpa tua. E hai fatto il possibile per me! Sopravvivrò anche senza squadra» lo tranquillizzò Thomas.
«Come farai ad andare a scuola ed essere guardato in quel modo da tutti? Sarà umiliante, non posso chiederti di farlo» ribatté il più grande.
«Non devi chiedermelo, lo farò e basta. Cosa vuoi che sia qualche sguardo?» acconsentì l'altro. Jackson scosse il capo, sorridendogli.
«Tu sei bravo e gentile, ma non conosci queste cose. Io sì. So cosa accade alle superiori quando cominciano a girare voci e le persone si comportano in un certo modo» rispose, ricordando le sue superiori e le voci sulla sua omosessualità.
«Jackson, la supereremo» sostenne Thomas, quando il campanello suonò. Fu proprio il più giovane a percorrere quei pochi metri che lo separavano dalla porta, quindi la aprì e rimase attonito un momento, salvo poi sorridere.
«Ciao Thomas. C'è Jackson?» domandò l'inconfondibile voce di Dylan. Thomas spalancò la porta e lo fece entrare.
«Io avevo proprio intenzione di fare due passi. Vi lascio soli, non combinate guai» si raccomandò il giovane, uscendo e chiudendosi l'uscio alle spalle. Jackson sbuffò sonoramente e osservò il nuovo arrivato. Indossava un pantaloncino dell'Adidas con le classiche righe bianche ai lati e una canottiera attillata grigia.
«Come sei... estivo» commentò quindi. Dylan sorrise, avanzando verso di lui.
«Oggi fa caldo. E mi piace mostrare tutti i miei muscoli» rispose il biondo, facendo alzare gli occhi all'altro.
«A cosa devo il piacere?» tentò di capire, sforzandosi di guardarlo negli occhi, deconcentrato dall'abbigliamento che aveva deciso di indossare.
«Volevo parlarti» confessò Dylan.
«Di cosa?» chiese poi Jackson. L'altro si avvicinò ancora, portandosi a pochi centimetri dal padrone di casa, e lo guardò dritto negli occhi. Respirò sul suo volto, facendogli venire i brividi. Aveva un'espressione sera ma non dura, sembrava gentile, dolce, come era stato da dopo il motel.
«Io mi sono dimesso da coach» disse infine. Jackson si prese qualche secondo per processare l'informazione, poi scosse il capo.
«Perché?» domandò solamente. Il biondo distolse lo sguardo.
«Ho perso. Ho detto al preside che se non avesse riammesso Thomas, me ne sarei andato, e ha vinto lui» spiegò.
«Non avresti dovuto farlo! Cazzo, era tutto quello che avevi!» esclamò il moro.
«Non importa. Non sarei riuscito a rimanere inerme, a osservare la squadra sgretolarsi. E non avrei potuto reggere il tuo sguardo se non l'avessi fatto...» ribatté. Jackson scosse ancora il capo, indicandolo.
«Non dovevi farlo per me o per Thomas. Dylan, nella vita ci sono momenti in cui è necessario essere egoista. Nessuno ti avrebbe biasimato se lo fossi stato» affermò. Dylan sorrise, allungando una mano e accarezzandogli il volto.
«Io mi sarei biasimato. Dopo quello che c'è stato, non avrei veramente potuto essere egoista. Non è nella mia natura» chiarì dolcemente. Jackson non poté non rispondere al suo sorriso, quindi si portò avanti e gli depositò un bacio gentile sulle labbra, scaldandosi il cuore e beandosi di quelle sensazioni positive che gli trasmetteva la sua vicinanza.
«Sei troppo per me, cazzo, veramente troppo» commentò quindi. Dylan gli diede un leggero schiaffo sulla guancia.
«Non dire stronzate» lo redarguì. Jackson sospirò, lasciandosi cadere sul divano.
«E ora? Che farai?» tentò di capire. L'altro alzò le spalle.
«Non lo so. Ci penserò dopo la partita. Ti ricordi vero? Domenica prossima, i Seahawks» gli ricordò. Il moro annuì. Come poteva dimenticare quell'invito? Anche se Seattle distava sette ore di auto, sarebbe stata un'emozione unica quella di vedere i Seahawks giocare.
«Certo» confermò. Avvertiva una strana sensazione. Era contento di aver trovato Dylan, e con lui stava bene. Ma qualcosa dentro di lui gli faceva frenare le emozioni positive, gli impediva di godere a pieno di quel groviglio di sensazioni che sicuramente percepiva, almeno in parte. Non era la prima volta che si sentiva così, e probabilmente la risposta a tutto era semplicemente riassumibile in tre lettere: Sam. Se era vero che lui aveva compreso di poter andare avanti, di dover superare il tutto, e fosse sulla buona strada per farlo, non era altrettanto vero il fatto che l'avesse già superata del tutto.
«Cosa ti cruccia in questo modo?» indagò il coach. L'altro serrò la mandibola e lo guardò.
«Ho bisogno di riflettere e di capire il da farsi. Io... credo che andrò a fare due passi» spiegò.
«Agli ordini. Io torno a scuola, devo liberare l'ufficio. Ci si vede domenica?» propose, Jackson annuì, quindi Dylan si voltò e uscì di casa, lasciando un silenzio enorme nell'appartamento.Jackson camminava da ormai due ore. Era totalmente senza meta, tant'è che quasi nemmeno ricordava il motivo per il quale era uscito. Aveva la testa talmente piena di pensieri che alcuni gli sfuggivano, eludendo il suo controllo e volando via, unendosi al vento che soffiava piacevolmente in quella giornata primaverile. Vedeva il volto di Sam impresso nella mente, e accanto a lui il sorriso di Dylan. Era solo un'immagine, ma poteva sentire la sua dolcezza, la sua premurosità e la sua gentilezza. Mentre Sam era sbiadito, quasi come se dopo solo pochi mesi, già si fosse dimenticato delle sue bellissime qualità, della sua capacità di metterlo sempre a suo agio, di aiutarlo, della sua cordialità e della sua intelligenza. Del suo amore, che ogni giorno gli dimostrava. Erano solo ricordi sbiaditi, lontani pensieri composti da parole che, però, sembravano così astratte da spaventarlo. Una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione, scaraventandolo fuori da quei pensieri.
«Fa caldo, qui» sentì dire. Corrugò la fronte, chiedendosi se si fosse immaginato di aver udito quella voce femminile, quindi si voltò e spalancò gli occhi.
«Io... sei veramente qui?» domandò, incredulo. Paige sorrise a trentadue denti e si avvicinò all'amico, allargando le braccia. Lui la strinse a sé, inspirando il suo profumo familiare e sentendo il cuore alleggerirsi notevolmente. Gli ricordava casa, gli portava alla memoria le sue esperienze, la sua vita.
«Ti ho visto per caso, perché stavo andando all'appartamento dove alloggi. Ho pensato di farti una sorpresa» spiegò, sciogliendo l'abbraccio e guardandolo negli occhi «Sei anche abbronzato. Sei proprio un figo!»
«Sono contento di vederti, Paige, non sai quanto avevo bisogno di questo» rispose, ignorando il complimento. Lei si passò una mano tra i capelli rossi e cercò di studiarlo per un momento.
«Beh, sarò qui per due settimane. Ho preso le ferie dal lavoro, volevo vedere come stavi. E conoscere il pezzo di gnocco» chiarì, facendo scoppiare a ridere Jackson.
«Non so cosa fare. Sono... dubbioso, pieno di pensieri. Io... non lo so» sbiascicò. Paige alzò le sopracciglia e lo guardò con un'espressione confusa.
«Allora, calmati e raccontami tutto» lo invitò.
«Ho capito che posso superare la cosa con Sam. Ma mi sembra tutto un po' troppo veloce, un po' repentino. Faccio fatica a ricordarmi cose di lui, e questo mi spaventa. Dall'altra parte, c'è Dylan. Lui è la mia seconda possibilità e, cazzo, sono stato l'uomo più fortunato del mondo nell'averla. Lui è fantastico: è gentile, dolce, Cristo, è perfetto. Ma nonostante ciò...» cercò di chiarire, fermandosi alla fine. Non sapeva come continuare, perché lui stesso non comprendeva appieno quale fosse il problema.
«Nonostante ciò, lui non è Sam» concluse, invece, Paige. Jackson sentì un tuffo al cuore nell'udire quelle parole. Era vero, quello era il motivo di tutto.
«Perché non riesco ad andare avanti?» le domandò. Lei sorrise, passandogli una mano sulla schiena.
«È normale. Stai dimenticando cose che lo riguardano, l'hai detto tu stesso. E questo ti spaventa, perché hai paura di perderlo completamente. Lui vive nel ricordo che hai di lui, se quel ricordo sparisse, lui morirebbe veramente, e questo ti terrorizza. Ma, allo stesso tempo, provi delle cose non indifferenti per Dylan, e questo ti confonde. Sai qual è la soluzione?» gli chiese. Lui sospirò, ragionando sulle sue parole. Era così saggia e si vedeva che lo conosceva bene, perché aveva individuato immediatamente la questione più rilevante, e gliel'aveva spiegata meglio rispetto a quanto non avrebbe potuto fare lui stesso.
«Ti prego, illuminami» disse, pendendo dalle sue labbra. Paige si sedette su una panchina e si guardò un attimo attorno, poi tornò a posare le pupille sull'amico.
«La vera soluzione è dentro di te. Io non posso dirtela, come non può farlo Dylan o nessun altro. Però, c'è un modo semplice per capirla: passa del tempo con lui. E intendo solo con lui, non con altre persone. Vivilo, sentilo al cento percento, renditi conto di quanto questo ragazzo ti fa provare qualcosa. Cerca di capire quanto senti lui e, invece, quanto senti Sam. Solo così capirai cosa dovrai fare. E fidati, lo capirai» suggerì.
«Domenica andremo a Seattle a vedere i Seahawks» confessò, quindi, Jackson. Lei si illuminò in volto.
«Perfetto! Quella è l'occasione migliore per fare proprio questo: conoscere i tuoi sentimenti. Sii naturale, sii sincero, sii te stesso. Non forzare, non limitarti, vivila come se fosse l'ultima uscita che fai con lui nella tua vita. E, al momento giusto, capirai» si raccomandò.
«Grazie,Paige. Sei... fantastica» rispose, sinceramente, Jackson, sorridendole. Lei avevaragione su ogni cosa. E il ragazzo si sentiva più libero, dopo aver parlato conl'amica. Finalmente, aveva un piano, aveva uno schema e tutto era più semplice.Anche se, un'improvvisa sensazione di ansia iniziò a stringergli la bocca dellostomaco. Comunque fosse andata, lui avrebbe perso qualcosa. Sarebbe stato ingrado, nel caso, di lasciare per sempre Dylan, di dire addio alla sua secondapossibilità, o se ne sarebbe pentito in futuro?
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Un Nuovo Inizio
Teen FictionSe avessero chiesto a Jackson Hunt come si sarebbe immaginato a 26 anni, non avrebbe certo risposto vedovo e tutore di un adolescente, Thomas Garrington, in una piccola e sperduta cittadina dell'Oregon. Eppure, a volte la vita riserva sorprese all'a...