Capitolo 2

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Erano le sei e quaranta del mattino, e Jackson era pronto davanti alla stazione. Si guardò allo specchietto laterale destro dell'auto e si sistemò i capelli, leggermente disordinati. Si ripeté mentalmente tutte le cose che aveva preparato, per essere sicuro che fosse tutto perfetto per l'arrivo di Thomas. Aveva contattato la scuola e si era assicurato che Thomas già dal giorno successivo potesse frequentare le lezioni, nonostante l'anno scolastico fosse già a metà. Aveva sistemato la sua stanza, rifatto il letto, comprato le cose per la colazione ed era lì, ad attenderlo. Gli sembrò di aver fatto tutti i passi necessari, non restava che aspettare che egli arrivasse. Cinque minuti più tardi, il treno frenò rumorosamente, aprendo le proprie porte alla stazione di Myrtle Point. La temperatura era tutt'altro che primaverile quella mattina: era sceso sulla cittadina un freddo quasi invernale, tant'è che Jackson aveva un giaccone a proteggerlo dal vento. Solo pochi istanti più tardi, un ragazzo dall'aria spaesata uscì dall'ingresso della stazione guardandosi attorno. Thomas indossava un paio di jeans chiari e una giacca dello stesso materiale e colore, e trainava un trolley all'apparenza molto pieno.
«Ciao» esordì Jackson, molto teso e nervoso. L'altro gli sorrise, e quel gesto bastò a sciogliere le preoccupazioni del più grande. Sembrava contento e sollevato di vederlo. Si avvicinò a lui e lasciò il trolley, poi gli diede un abbraccio. Jackson rimase imbambolato per qualche momento, quindi ricambiò il gesto. Non si aspettava di ricevere quell'affetto, anche perché lui per primo non avrebbe mai abbracciato un semi-sconosciuto che era diventato suo tutore legale solo in virtù del fatto che fosse il marito di suo fratello morto, col quale non andava propriamente d'accordo.
«Ciao. Non sai quanto sono felice di essere qui. Ti giuro, se fossi rimasto altri cinque minuti da zia Viola sarei finito in manicomio» commentò, allegro e vispo. Jackson ricambiò il sorriso, divincolandosi infine dall'abbraccio e afferrando il trolley. Aprì il bagagliaio della sua BMW F40 e lo ripose al suo interno.
«Mi spiace non essere riuscito a salvarti prima, ma tutte quelle faccende legali hanno richiesto più tempo di quanto sperassi» si scusò il più grande. L'altro lo guardò dritto negli occhi. Notò una certa felicità nelle sue pupille grigie: erano luminose, di una tonalità più accesa di quella dell'ultima volta che l'aveva visto, al funerale di Sam e Leyla. Quel colore, quell'alone di brillantezza, era così simile a quello che, spesso, risplendeva negli occhi di Sam. Gli venne un tuffo al cuore, ma cercò con tutte le sue forze di ignorarlo. Aveva già messo in conto la possibilità di essere spesso colto di sopraffatto dalla somiglianza tra i due fratelli, ma si era detto che si sarebbe messo di impegno per superare la cosa. Per Thomas, e per sé stesso.
«Ma figurati, anzi, grazie per tutto ciò. So che a ventisette anni non era certo la tua aspirazione quella di occuparti di un sedicenne» fece, comprensivo, Thomas. Jackson sorrise istintivamente.
«Ventisei» lo corresse. Ci teneva a non sentirsi vecchio, anche se sapeva benissimo di non esserlo e un anno non avrebbe cambiato certo le cose. L'altro arrossì leggermente.
«Oddio, scusa» disse, colpendosi la fronte con una mano. Jackson scoppiò a ridere e scosse il capo, salendo in auto.
«Dai, vieni, che starai gelando con quel giacchino addosso» lo invitò. Thomas si accomodò sul sedile del passeggero e osservò l'interno dell'auto, esibendo un'espressione di approvazione.
«Bell'astronave» commentò, facendo di nuovo ridere Jackson. Ecco una forte differenza tra i due fratelli: Sam aveva sempre odiato la sua BMW F40 bianca. A cosa serve spendere 35.000 dollari per un cristallo con quattro ruote, che al primo sguardo storto si rompe e costa altre migliaia e migliaia di dollari in riparazioni? Gli aveva chiesto quando Jackson aveva deciso di acquistare il suo gioiellino. Non aveva capito quanto per lui fosse importante avere una bella auto, qualcosa che faceva sbalordire le persone quando lo vedevano arrivare, che faceva dire a tutti "fermi, fermi, è arrivato Jackson Hunt". E, dal momento che non aveva i soldi per una Ferrari o una Lamborghini, si era dovuto "accontentare" della BMW F40. Il migliore acquisto della sua vita.
«Vuoi provarla? Hai la patente?» domandò. Thomas spalancò gli occhi, guardandolo di sbieco.
«Non dirai sul serio. No, non la ho, ma ho già guidato. La dovrei fare, penso possa servire. Soprattutto se mi permetterai di usare questa bellissima signora» rispose, entusiasta, Thomas. Jackson alzò le spalle.
«La faremo, così potrai utilizzarla. Ma sappi che al primo graffio ti segregherò in casa a vita» minacciò ironicamente il più grande. L'altro scoppiò a ridere.
«Onesto» decise, voltandosi e osservando il paesaggio fuori dal finestrino. Thomas sembrava veramente felice, come se avesse già archiviato la morte della madre e del fratello. Come diavolo era possibile? Jackson ancora sognava Sam, la sua voce, la sua presenza. Era ancora colto dalla tristezza ogni volta che qualcosa glielo ricordava, anche lontanamente. Eppure, quel ragazzino, che aveva perso più di quanto non avesse perso il più grande, sembrava aver già trovato il modo di superarla.
«Come stai?» gli chiese, cercando di indagare meglio. L'altro si voltò e gli sorrise ancora.
«Bene. Cioè, non è stato facile in questi mesi, ma ad un certo punto mi sono detto: "cazzo, Tom, vuoi continuare a soffrire, a sentirti solo, a disperarti per qualcosa che è accaduto e che non puoi cambiare, o vuoi impegnarti e voltare pagina?", così ti ho chiamato e ora... eccomi qua. E mi voglio godere tutto di questa nuova avventura, ripartendo veramente da zero e col sorriso. È quello che dovresti fare anche tu» spiegò. Jackson deglutì, voltandosi solo un momento per guardarlo. Era così giovane, eppure sembrava così maturo. Annuì, ricambiando il suo sorriso.
«Sei proprio come lui» gli scappò, poi spalancò gli occhi, rendendosi conto di averlo detto ad alta voce. Thomas gli mise una mano sulla spalla e la strinse.
«Non vorrebbe vederti così giù» cercò di aiutarlo. Jackson si fermò nei pressi del palazzo dove alloggiavano.
«Ce la sto mettendo tutta» confessò, parcheggiando il veicolo sulla strada.
«Ci aiuteremo a vicenda» propose il più giovane, tendendogli una mano. L'altro spense il motore, poi lo guardò ancora per un momento, apprezzando molto quello che stava facendo per aiutarlo. Gli strinse la mano, suggellando quell'accordo e promettendo, contestualmente, a sé stesso di prendere spunto da quel giovane saggio.

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