Capitolo 17

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CenturyLink Field, con una capienza di sessantasette mila posti, era lo stadio dei Seattle Seahawks. A Seattle, il football non era un semplice sport: era una religione, un credo che tutti professavano. E la maggior parte degli abitanti della grande città, non potevano che essere sfegatati tifosi dei Seahawks, squadra di casa dalla storia travagliata e poco vincente. Ci fu un anno, però, nel quale a Seattle si respirò un'aria diversa. Nel 2013, sotto la sapiente guida di coach Pete Carrol, i Seahawks conquistarono la vittoria del Super Bowl per la prima volta nella loro storia. Quella notte, tutti i bar di Seattle si riempirono di canti e di urla di gioia, e la città vide un boom nel proprio tasso demografico nove mesi dopo. Quello era lo storico e travagliato amore tra Seattle e il football, tra i tifosi dei Seahawks e lo sport più praticato e seguito in tutti gli Stati Uniti d'America. Per quello, essere a CenturyLink per Jackson era un onore. Quello stadio, quella passione, quel tifo, erano unici in tutta la nazione. Assistere al match tra Seahawks e i San Francisco 49ers, fu fantastico. Una partita combattuta, vinta all'ultimo dalla squadra di casa. Jackson e Dylan, tifosi rispettivamente di Jets e Giants, si trovarono catapultati in un mondo magnifico: urlarono, tifarono per i Seahawks come fossero fan sfegatati, perché quello stadio, quello sport, quella passione, erano in grado di fare qualsiasi cosa.
«A cosa pensi?» gli chiese Dylan, mentre gustavano un panino fuori dallo stadio. Jackson sorrise, dando un morso al proprio hamburger.
«Che sono veramente contento di essere venuto qui. E che ti devo ringraziare tanto, perché è stata un'esperienza superlativa» rispose. Il biondo annuì.
«Davvero. Mi avevano spesso parlato di questo clima, ma è la prima volta che vengo qui. E le sette ore di viaggio sono valse la pena» commentò. Erano partiti il giorno prima e avevano passato la notte in albergo. Sarebbero tornati alla volta di Myrtle Point quella stessa notte, guidando con il buio e quell'atmosfera spettrale che i viaggi notturni trasmettevano.
«Sei sicuro di voler viaggiare di notte? Te la senti?» chiese il moro. L'altro sorrise.
«Stai cercando una scusa per passare un'altra notte in albergo con me?» lo schernì. Jackson alzò gli occhi al cielo e sbuffò teatralmente, tornando ad addentare il suo panino. «Comunque sì. Un vero uomo guida sette ore di notte senza batter ciglio.»
«Un vero uomo non fa togliere le salse dal panino» ribatté Jackson, indicando col capo il suo hamburger senza ketchup.
«Non mi piace il ketchup. Problemi?» si mise sulla difensiva Dylan. Jackson rise.
«Come siamo permalosi» commentò, buttando la carta del panino e alzandosi dalla panchina sulla quale era seduto. Anche Dylan si tirò in piedi, sgranchendosi la schiena.
«Vuoi fare qualcosa prima di metterci in macchina?» cercò di capire.
«No. Ma ho visto che si può fare la panoramica, andando sulle montagne. Ci mettiamo un'ora in più, ma potrebbe valerne la pena» propose. Dylan si avvicinò a lui e gli sfiorò la mano.
«Per te questo ed altro» rispose, avanzando verso il veicolo. Quel semplice gesto, quel momento impercettibile agli occhi degli altri, l'aveva lasciato senza fiato. Era stato di una dolcezza devastante. Si riscosse, seguendolo verso l'auto. Non appena la raggiunsero, vi saltò su e lo guardò.
«Grazie» disse semplicemente. Dylan sorrise, afferrandogli la mano e stringendola con la sua.
«Grazie a te. Mi hai salvato da una vita di solitudine» confessò. Jackson sentì immediatamente un peso sul cuore. Tutto quel romanticismo, quella dolcezza, quella gentilezza che lui stesso cercava di favorire, produceva bellissime sensazioni, e non gli faceva pensare a Sam. Però, ancora avvertiva qualcosa che non riusciva a spiegare, un piccolo vuoto difficile da individuare ma comunque presente.
«Partiamo?» gli domandò semplicemente, cercando di ignorare quelle sensazioni contrastanti. Dylan corrugò la fronte ma non tornò sull'argomento, quindi mise in moto e si gettò in strada.
Le prime porzioni di viaggio furono molto trafficate, e i due non parlarono di altro che di football. Commentarono la partita, la stagione e si punzecchiarono sulla rivalità tra Jets e Giants. Dopo un'ora di viaggio, però, gli argomenti sembrarono essere esauriti, quindi si ritrovarono ad accendere la radio e ascoltare un po' di musica. Era tardo pomeriggio e il sole cominciava a essere meno luminoso. Jackson inizò a immergersi nei suoi pensieri, a ragionare sulle parole di Paige e cercare di capire il da farsi. Perché si continuava a tormentare con quelle immagini mentali? Come mai quella decisione era così importante? Tutto era avvenuto in fretta, ma in precedenza aveva deciso di buttarsi, di tentare. Come mai non poteva continuare a fare lo stesso? Cuore e cervello sembravano avere opinioni contrastanti, così il suo compito era quello di trovare la mediazione migliore per sopravvivere, e non esplodere per quel disaccordo che, dentro di lui, si sentiva forte e gli rovinava molte delle emozioni che avrebbe potuto provare. Preso dalle proprie riflessioni, chiuse gli occhi e, accompagnato dalla musica della radio e dal piacevole tremolio dell'auto, si addormentò, con il capo rivolto verso il finestrino e un'espressione corrucciata disegnata sul volto. Non seppe quante ore passarono prima che un rumore strano lo svegliò. Quando riaprì gli occhi, vide che il sole aveva lasciato posto alla luna, e che attorno a loro c'erano solamente alberi. Si stropicciò le palpebre, voltandosi e osservando la faccia arrabbiata di Dylan.
«Che succede?» chiese, con la voce assonnata. L'altro imprecò.
«Non ne ho idea, ma ci stiamo fermando» rispose, cercando di accostarsi mentre l'auto si rifiutava di riprendere la propria marcia. «E comunque, buongiorno.»
«Mi sono addormentato» fece notare. Dylan si voltò, sorridendogli. Era dolce anche quando era arrabbiato.
«L'ho visto. Non russi, c'era da aspettarselo. Tu non hai difetti» commentò. Jackson alzò le sopracciglia e lo guardò di sbieco.
«Io non ho difetti? Credo che tu mi scambi per qualcun altro» ribatté.
«Impossibile» negò il biondo, aprendo la portiera dell'auto. «Ora scopriamo che cazzo sta succedendo.»
«Dove siamo?» domandò poi Jackson, scendendo anche lui dal veicolo e raggiungendolo nei pressi del cofano appena aperto.
«Da qualche parte lungo la strada panoramica che volevi percorrere» spiegò Dylan, osservando l'interno del motore e cercando di capire dove fosse il problema.
«Cosa credi che sia? Cazzo, è tutto buio e fa anche parecchio freddo» domandò Jackson, accendendo la torcia del cellulare per illuminare il motore.
«Non ne ho veramente idea. Non sono un esperto, in realtà non ne so nulla di motori. Qui non fuma nulla» rispose, facendo ridere Jackson, che si avvicinò a lui e gettò uno sguardo al motore.
«Tienimi questo» ordinò, consegnandogli il cellulare, poi si chinò e raccolse un legnetto da terra. Lo utilizzò per spostare i cavi della batteria e verificarne il grado di corrosione, poi lo lasciò cadere dove l'aveva trovato e si tolse la felpa. Si circondò una mano con la stoffa e aprì il tappo del radiatore, per controllare il livello del liquido. Lo rimise a posto, e si concentrò nel verificare lo stato dell'olio, estraendo l'astina gialla e riponendola poi all'interno del relativo tubo. Diede uno sguardo all'astina di trasmissione, ma sapeva che non poteva controllare la situazione a motore spento, quindi si voltò verso il biondo. «Accendi l'auto, gentilmente.»
«Non ti facevo così esperto» commentò, lasciandogli il cellulare e sedendosi al posto di guida. Tentò di girare la chiave più volte, ma non accadde nulla. «È definitivamente morta.»
«Le auto non muoiono. E comunque, abbiamo capito il problema» annunciò, spegnendo la torcia e osservando la felpa sporca che aveva usato per proteggersi dal calore del motore.
«Illuminami, maestro» lo invitò Dylan. Jackson gli sorrise.
«È la cosa più stupida che potesse succedere, si è scaricata la batteria. Adesso, non ci resta che aspettare che passi qualcuno con i cavi per poterla riaccendere» spiegò. Dylan scosse il capo.
«Sì, sicuramente passerà qualcuno alle undici di sera in una strada panoramica che non prenderebbe un Cristo di nessuno. E quando si fermerà, non sarà un maniaco stupratore che utilizza la foresta per seppellire le proprie vittime. Abbiamo un'alternativa?» si informò.
«Due: chiamare un carro attrezzi o spingere» chiarì. Dylan estrasse il cellulare dalla tasca e imprecò.
«Ovviamente non c'è segnale. Siamo finiti in un film di Hitchcock?» Anche il moro tentò, notando anch'egli l'assenza di campo. Sbuffò.
«O spingiamo, o la lasciamo qui e procediamo a piedi finché non troviamo un punto con campo» propose. Il biondo ci ragionò su per qualche secondo, poi avanzò e chiuse il cofano, premendo poi il pulsantino sul telecomando per serrare le portiere.
«Andiamo a piedi, prima o poi troveremo campo. In due non ha senso spingere. E poi, siamo in salita!» decise. Jackson annuì, appoggiando la giacca sporca sul telaio dell'auto. Iniziò a incamminarsi, affiancato dall'altro, sul terriccio di montagna al buio della notte. Avevano alberi sia a sinistra che a destra, e davanti a loro non vedevano altro che quello: piante, terra, e il buio della notte.
«Se moriremo, sappi che sono stato contento di aver passato questa giornata con te» disse istintivamente il moro.
«Anche io. Sono stato contento di averti conosciuto e aver provato queste cose» aggiunse Dylan. Jackson si voltò a guardarlo. La luce della luna baciava il suo volto come se fosse fatto apposta per essere visto sotto quella particolare illuminazione.
«Anche io lo sono, anche se... a volte penso sia veramente troppo» rispose. Aveva deciso di essere sincero, in quel momento di pace nella notte. Avrebbe parlato a Dylan dei suoi timori, delle sue sensazioni e del suo dilemma.
«In che senso?» cercò di capire il coach.
«Sento qualcosa per te, ma ti conosco poco. Inoltre, il mio lutto è ancora presente, e condiziona le mie giornate. Vorrei poter vivere senza timori, senza vedere l'immagine di Sam nella mia mente, senza avere il cuore pesante o il cervello pieno di pensieri. Ma non ci sto riuscendo, e questo mi porta a domandarmi se tutto ciò sia giusto» confessò.
«Lo so che è dura, e so che forse stiamo correndo. Vista la tua situazione, saremmo dovuti andare ancora più lenti rispetto a quanto avremmo normalmente fatto, invece da quel bacio abbiamo accelerato tantissimo e questo è sbagliato. Però, cazzo, non posso dire di pentirmene. Riconosco l'errore, ma sono contento di averlo commesso. Tu, però, non devi forzarti. Se non sei pronto, se ti senti poco coinvolto, se questo peso ti opprime, ti prego: dimmelo. Non ti forzerò mai a fare nulla che tu non voglia fare» tentò di rassicurarlo. Jackson si morse l'interno di una guancia, mentre i due superavano altri alberi e si preparavano ad una curva. Dylan era così dolce che avrebbe voluto stringerlo a sé, chiudere gli occhi e liberare la testa da tutto. Però, sapeva che se l'avesse fatto, non avrebbe fatto altro che posticipare il problema.
«Non mi hai mai forzato e so che non lo faresti mai. Io... non lo so, veramente. Cazzo!» fece, disperato. Non sapeva come fare: sentiva che, in un modo o nell'altro, avrebbe sofferto. E quello lo rendeva incapace di prendere una decisione.
«Come posso aiutarti?» domandò il biondo, mentre i due svoltarono un angolo. Si immobilizzarono entrambi, spalancando gli occhi. Davanti a loro, si estendeva un panorama magnifico: diverse città illuminate artificialmente costellavano la vallata nel buio della notte. Attorno ad esse, montagne e alberi che, illuminati dalla luna, avevano un aspetto spettrale e fantastico. Jackson rimase totalmente senza parole, avvicinandosi al bordo in pietra della strada per godersi, con ogni fibra del corpo, quel panorama.
«È... mozzafiato» commentò a quel punto. Dylan lo raggiunse, circondandogli le spalle con un braccio.
«Credo che, per questo, sia valsa la pena anche del guasto dell'auto» asserì il biondo, estraendo il cellulare. «Per giunta, qui c'è campo!»
«Chiama il carro attrezzi, così forse non passeremo la notte qui» lo invitò il moro. L'altro fece la breve telefonata e poi sorrise a Jackson che, nel frattempo, continuava a guardare il panorama.
«Due ore e saranno qui» annunciò. Il moro annuì, voltandosi e osservando ancora una volta il suo compagno di avventure.
«Ho paura di starmi dimenticando di lui» disse poi, con un filo di voce. Dylan gli afferrò una mano e lo guardò negli occhi.
«Raccontami di lui. Come vi siete conosciuti?» chiese. L'altro sorrise, fissando gli occhi su un punto lontano per ricordarsi di ogni particolare.
«Eravamo nella stessa squadra di football alle superiori, ma non avevamo mai realmente parlato. Io lo consideravo superficiale, tutto muscoli e zero cervello. Lui, probabilmente, mi vedeva come una nullità. Una sera, dopo gli esami dell'ultimo anno di superiori, siamo usciti in barca con degli amici. Al termine della gita, lui mi ha raggiunto sul ponte e mi ha fatto un commento stupido sulle nuvole e la probabilità che ci saremmo beccati l'acqua. Io ho pensato che fosse pazzo, ma poi ha realmente iniziato a piovere. Lui aveva un sorriso a trentadue denti dipinto sul volto e un'espressione fiera. Guardandolo, ho subito sentito un movimento strano nello stomaco e ho capito che mi sarei innamorato di lui. Ho scoperto solo anni dopo che aveva controllato il meteo su internet e sapeva benissimo che sarebbe venuto a piovere» raccontò. Dylan sorrise, stringendogli forte la mano.
«Avrei voluto conoscerlo» commentò. Jackson avanzò verso di lui. Chiuse gli occhi e inspirò l'odore che emanava, poi si avvicinò al suo volto. Posò le proprie labbra su quelle del biondo, depositandogli un dolce bacio.
«Sei fantastico, Dylan. Dico sul serio, sei veramente speciale, e non devi dimenticarlo mai. Io... ho bisogno di un momento per me. Credo di aver capito come trovare le risposte che cerco» spiegò, stringendolo a sé in un abbraccio. L'altro ricambiò, posando la sua testa sulla spalla di Jackson.
«Qualsiasi cosa per te, Jackson Hunt» sussurrò Dylan. Ed entrambi si godettero quel contatto, quel semplice abbraccio, quell'unione di due corpi così semplice ma, allo stesso tempo, magica. Nel bel mezzo di una notte di primavera, baciati dalla luce della luna e dinnanzi ad uno spettacolo di illuminazioni artificiali, due ragazzi stavano condividendo qualcosa di talmente grande da mozzare il fiato a chiunque se ne sarebbe accorto.

Angolo Autore:
Ciao a tutti e buon 2021! Nella speranza che possa essere un anno migliore del precedente, vi lascio questo capitolo per iniziarlo col piede giusto ❤️

PS: siamo alla fine della storia, il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Cosa succederà tra Dylan e Jackson?

- L.D.

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