Passarono pochi giorni, troppi per la mia pazienza. Non vedevo l'ora di vederla, anche se molte persone lo consideravano sbagliato, come sempre. Sapevo che era ancora fidanzata ed avevo una paura tremenda di incontrare la sua ragazza per la città. E se si fossero baciate avanti ai miei occhi? Se lei non avesse più visto che io ero lì solo per lei?
Come al solito, mio padre mi accompagnò da lei. Ogni volta mi sento in colpa; deve affrontare un viaggio di un'ora e mezza con i problemi che ha al braccio.
"Quando sarò maggiorenne cercherò di andare da lei almeno due volte al mese, da sola.", mi dicevo. Ma in quel momento non lo sapevo più. Non sapevo più nulla: cosa ci facevo lì? Cosa stavo sperando per rivederla? Perché lo stavo facendo?
Niente, nessuna risposta. Neanche un accenno, nulla.
Arrivai a destinazione ed il mio stomaco cominciò ad aggrovigliarsi, effettivamente non sapevo nemmeno se fossi pronta. Scesi dalla macchina e caricai il mio borsone in spalla, diretta sorridente verso quella ragazza che nel giro di pochi giorni mi aveva devastata. I piedi camminavano da soli, lo sguardo era fisso nel suo ed ogni pensiero negativo si lasciava morire alle mie spalle.
Posai la borsa per terra, eravamo avanti al portone di casa sua.
«Ehi, Liz.» era bellissima.
«Passamelo, scema. Lo lasciamo a casa e poi usciamo. Sole io e te.»
Avrei giurato ci fossero i suoi amici, avrei giurato non volesse rimanere del tempo sola con me. Lei voleva stare solo con me ed io ero sempre più incredula.
Girammo nei soliti posti, la sua città mi è sempre piaciuta. Non è tanto grande ma lo è comunque molto di più della mia. Ogni volta che passavamo avanti all'Università, non potevo far altro che ammirarne la grandezza, il colore e lo stile architettonico; ci rivedevo il mio futuro. Di quella città amavo anche il verde ed il mare. Il parco giochi, le piazze, le fontane, il mare ed i suoi scogli. I grandi viali o le piccole stradine strette della vecchia città. I negozi ed i supermercati. Tutto. Se non Liz stessa. Arrivammo alla solita libreria, la Feltrinelli. Appena entrate, il profumo dei libri e della carta invase i miei polmoni: mi sentii scoppiare dalla felicità. Le presi la mano con una sicurezza che non avevo mai avuto e ci perdemmo tra gli scaffali. Mi soffermai poi a leggere la trama di un libro e Liz, più lontano, era intenta a fare lo stesso con un altro. Spostai lo sguardo su di lei, partii da sotto. Osservai a lungo quei jeans larghi e bianchi con dei piccoli strappi sulle cosce che davano fuoco alle mie più innate perversioni. Salii sul suo busto; le mani tenevano saldamente il libro, evidentemente le piaceva tanto. Quelle mani così pallide, con le dita lunghe ed affusolate ed ancora il mio anello al pollice. Quelle mani che sono capaci di farti arrivare ai piaceri più intensi, che sanno come prenderti e come sfinirti. Salii ancora con lo sguardo, incontrai quel collo che avrei potuto riempire di morsi, segni e baci in pochissimi secondi. Passai la lingua sulle labbra a quel pensiero e salii sul suo viso; si stava mordendo il labbro inferiore. Quelle labbra così carnose ed accese, che risaltavano su quel viso dalla carnagione chiara. Incontrai i suoi occhi e subito dopo loro fecero lo stesso con i miei: arrossii e il libro che tenevo fra le mani fu incondizionatamente attratto dalla forza di gravità e cadde, creando un tonfo non tanto anonimo in quello che era il silenzio dei lettori che ci circondavano.
Sbuffai e mi piegai per raccoglierlo, quando una volta sollevato il viso mi resi conto che Liz era al mio fianco. Schiusi le labbra mentre i miei occhi erano completamente persi ed incastrati nei suoi. Si avvicinò, socchiuse gli occhi e posando una mano sulla mia guancia inclinò il viso, posando le labbra sulle mie in un bacio abbastanza caldo.
Mi aggrappai inconsapevolmente alla sua giacca, non sapevo a cosa pensare, non ricordavo nemmeno se fossi riuscita a rimettere il libro al suo posto.
Si distaccò lentamente lasciandomi udire la disperazione delle mie labbra appena separate dalle sue. Boccheggiai senza sapere che dire ed abbassai lo sguardo rigirandomi verso lo scaffale e, percepito il mio imbarazzo mi propose di andarci a bere una birra insieme.
Accettai, la birra è sempre stata una dei miei amori.
Una volta aver preso la Birra ed un panino, ci dirigemmo sul Lungomare. Era il solito lungo viale che costeggiava la città, dalle luci che creavano un'atmosfera calda nonostante l'inverno e tante, tante macchine che creavano il traffico sulla strada. Ci era sempre piaciuto sederci su una di quelle panchine ed ammirare tutto il resto e così facemmo anche quella volta.
La nostra panchina era dal lato del porto; ho sempre amato quelle barche poste tutte in fila, cambiando fra di loro per altezza, grandezza, forma e colore.
Consideravamo nostra quella panchina per il semplice fatto che il giorno del nostro anniversario ci scrivemmo sopra con un pennarello che ci amavamo.
Una volta sedute, come sempre a cavalcioni, su di essa, osservai la scritta stringendo fra le mani la bottiglia verde e gelata. Subito dopo la portai alle labbra, prendendo grandi e lunghi sorsi ad occhi chiusi, quando il suo sguardo era concentrato sulla mia espressione.
Quando ritornai a guardarla mi leccai le labbra per assaporare ancora una volta il sapore della birra e sentii l'irrefrenabile voglia di baciarla. Non mi importò di niente, non diedi peso a nessuna parola nella mia mente, l'attirai a me e la baciai. Ci baciammo per troppo tempo, il sapore della birra sulle sue labbra era ancora più buono, se non sulla sua lingua. Poggiammo le birre sulla panchina, fra noi, e continuammo a baciarci ininterrottamente. Sentivo di stare lentamente morendo per tutta la voglia di lei che cercavo di seppellire, non riuscendoci. Ci baciammo come se fossimo state senza ossigeno per troppo tempo ed avessimo avuto improvvisamente un po' di aria.
Il suo telefono mi fece sussultare, data la suoneria. Ci distaccammo ed abbassai lo sguardo sulla mia birra, che ripresi poco dopo, continuando a bere nel mentre della telefonata.
«Era mio padre, dobbiamo tornare a casa.»
Annuii e mi alzai dalla panchina. Era già tutto finito? Il giorno dopo saremmo dovute tornare nella mia cittá e la magia della sua stava già svanendo, portandomi a restare un po' in silenzio durante il tragitto di ritorno a casa sua.
Una volta salite le scale e fatti i tre piani a piedi ero stanchissima, lei evidentemente abituata. Entrammo in casa e sorrisi, pronunciando il solito 'Buonasera' alla casa, abitudine della sua famiglia che avevo assimilato in pochissimo tempo, per quanto stavo bene con loro.
Dopo aver preso le mie robe, essermi chiusa in bagno per prepararmi alla notte, lei bussò alla porta dicendo che mi aspettava a letto e che dovevo fare veloce, dato che era stanca.
Quando tornai nella stanza sistemai le ultime cose nel borsone e spostai lo sguardo su di lei, che mi stava osservando persa nei suoi pensieri e stesa nel letto.
Dopo aver spento la luce, gattonai sul letto, sovrastandola per arrivare al mio solito lato del suo lettone matrimoniale. Mi misi sotto le coperte e mi strinsi nelle spalle per l'improvviso freddo ed automaticamente lei si girò verso di me, per avvolgermi con le braccia e stringermi a sè. Sorrisi, socchiudendo gli occhi e portando le mani sulla sua schiena le feci dei piccoli grattini. Portò una mano sul mio fianco sinistro e mi attirò al suo bacino, si impossessò del mio collo sul quale trascinò le labbra sospirando pesantemente. Deglutii, la sua stanchezza fu molto probabilmente spazzata via dalla voglia di avermi.
