Capitolo 6

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Ricordo benissimo quella festa.

Se dovessi descriverla con una parola credo che la definirei... disastrosa.

Non avrei mai immaginato che parecchi dei miei guai sarebbero iniziati proprio per colpa di quella serata.

Eravamo abituati ad andare in giro, combinare cazzate, rubare qualcosa, e robe varie. Ma da quella serata sarebbero poi iniziate tante di quelle cose che a soli undici anni nemmeno avrei mai immaginato.
Avevo parecchia fantasia, ma non abbastanza per arrivare a pensare a tutto ciò che da lì a poco avrei vissuto.

Non fu la festa in sé, anzi.
Furono le persone.

Jeremy, Nate e gli altri già li conoscevano, certi "elementi". Per me era ancora questione di tempo, ma non ci sarebbe voluto molto.

Ed è proprio da lì che... boom! Cominciarono a scoppiare i primi casini.

Da una parte mi sono sempre maledetto per essermi ficcato in certe situazioni, soprattutto essendo ancora così piccolo... solo un bambino. Ma dall'altra... forse mi rendo conto di non aver incontrato solo cattive persone, sulla mia strada.

Questo, però, avvenne solo più avanti.

~

Sono le 20.30. Ho appena finito di cenare e sono già pronto per prendere e raggiungere gli altri.

Ogni volta che mi tocca uscire alla sera è un'ansia con mamma e papà, ma soprattutto con papà.

Giustamente iniziano a riempirmi di domande: dove vai? Con chi sei? A che ora torni? Guarda che ti teniamo sotto controllo! Se torni un minuto in ritardo non vedi più la palla da basket per un mese!

Sì insomma, tutte queste cose.

Ok, ho solo undici anni ed effettivamente non posso tanto lamentarmi... mi lasciano anche abbastanza libertà. Ma me la sono dovuta guadagnare sudando.

Prima di conoscere Nate e Jeremy andavo veramente solo al campo da basket vicino a casa, per fare due tiri. Di giorno faceva troppo caldo, mentre la sera si riusciva a respirare un po' di più. Per fortuna mamma e papà mi lasciavano pure andare, ma all'inizio non era stato mica tanto facile. C'erano volte, le prime in particolare, in cui papà rimaneva tutta la sera seduto su una panchina a controllarmi.

Poi, a poco a poco, cominciando a capire che la mia fissa per il basket era reale, diciamo che iniziò a non rimanere più lì a fissarmi. Magari ogni tanto, con la scusa di andare a buttare la spazzatura, passava di lì. Così, giusto per controllare.

Ma nelle ultime settimane aveva smesso.
Volevo tenermi strette quelle uscite serali per fare un po' di tiri con gli amici, quindi tentavo sempre di rincasare anche alla giusta ora.
Non potevo permettere che mi rinchiudessero in casa.
Per fortuna così facendo riuscì a conquistarmi la fiducia piena di papà, che con il lavoro e il caldo insopportabile ormai aveva perso anche la voglia di passare a controllare.
Io uscivo, giocavo coi miei amici al campo e tornavo a casa.

Filava tutto così.

Tranne da quando stavo con Nate e gli altri.

Mamma e papà pensavano andassi sempre al campo, ma da un po' non era più così.

Certo, alle volte ci andavo ancora, ma con meno frequenza.

"Io vado!" Annuncio ormai sulla soglia di casa, con la palla in mano.
"Jace, mi raccomando-"
"Sì sì, non devo fare tardi, e non devo allontanarmi, lo so." Canticchio scocciato, roteando gli occhi.

Il mio Peggior Nemico Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora