Capitolo 11

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Ero proprio un cretino.

Non sapevo ancora del rischio che potevo correre in quegli incontri. Lo iniziai a capire solo più avanti, quando cominciai a fare quelli più duri.

Inizialmente Jeremy mi buttò in mezzo ad alcuni più semplici, per poi immischiarsi in altri giri sempre più loschi.

Tutto per fare un po' di soldi.

Ricordo bene il mio primissimo incontro: non vinsi, sia chiaro. Però arrivai in semifinale, a soli undici anni.
Non ero tanto male, dai.

È anche vero che era un circuito più tranquillo, dove a noi under quattordici tutelavano molto di più rispetto agli over.
L'arbitro bloccava in caso di colpi troppo violenti e il k.o. non c'era. Almeno per noi.

Si vinceva a punti: il primo che arrivava a fare sei punti puliti, diretti e forti, vinceva.
Si combatteva a mani nude, solo con delle fasce. Nate mi spiego più volte come legarle ai polsi e alle mani, e ricordo bene quanto ci litigavo ai primi tempi.
Davano un fastidio indescrivibile.

Uno volta gli chiesi se potevo togliermele, ma quella fu proprio la volta in cui me le strinse ancora più forti, quasi facevo fatica a chiudere bene i pugni.
Mi disse che dovevo assolutamente tenerle, per prevenire malattie a contatto col sangue.
Erano fondamentali.

Ed era così... niente protezioni, niente controllo (a meno che non fosse l'arbitro a bloccarci).

A furia di fare pugni le mie mani cominciavano a rovinarsi: le nocche si spaccavano, tanto che dovevo cambiare le bende anche più volte, le dita si lesionavano e cominciavano a crearsi le prime micro fratture.

Insomma, le mie mani da bambino, a poco a poco, cominciarono a diventare quelle di un uomo.

Ma ci vollero tanti, tantissimi incontri, prima di abituarmici.

~

Stringo il pugno talmente forte da sentirmi affondare le unghie nella carne. Con sicurezza sferro un gancio sul volto di Jeremy, che però para, bloccandomi un braccio.

"Ah, ah!" Urlo dal dolore causato dalla sua leva.
"Sei stato troppo lento, sei prevedibile!" Ride, lasciandomi ancora libero.

Mi tocco il polso con l'altra mano, guardandolo storto.

"Non mi devi staccare un braccio per forza, eh." Sbotto. "Potevi limitarti a parare."
"Se continuo a limitarmi a parare tu continuerai a limitarti a fare schifo."

Fra di noi cala il silenzio.

Ci sfidiamo con lo sguardo, così tanto che potremmo ammazzarci solo con gli occhi.

"Sai qual è il modo migliore per difendersi?" Mi domanda all'improvviso.

Rimango zitto a pensare. Quando sto per rispondere, però, mi anticipa lui.

"Attaccare." Dice, con sguardo pieno di cattiveria. "L'attacco, Jace. Attacca per primo, e sarai sempre sul pezzo, pronto. Hai capito?" Alza il tono di voce, sull'ultima domanda.
"Seh." Rispondo io, per poi richiudere i pugni per mettermi in guardia.

Ci fissiamo ancora, ma nessuno dei due si muove.
Sta aspettando che mi muova prima io? O sta decidendo se attaccare lui?

Neanche il tempo di ragionare alla mia domanda che mi sento afferrare per il collo della maglia, per poi essere buttato a terra.

"Ah!" Urlo, toccandomi la schiena sudata.

Sfregare sul cemento del campo da basket, sotto il sole cocente e il pavimento ardente non è per niente piacevole, cazzo.

Il mio Peggior Nemico Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora