2. The black hole

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Jordan si rigirò nelle coperte, nervosa. Faceva piuttosto fresco, eppure lei stava quasi sudando. Non riusciva a prendere sonno, probabilmente perché la sua mente era ancora sintonizzata su quello che era accaduto poco prima.
Si sollevò a sedere sul materasso, poi allungò la mano sul comodino e afferrò il bicchiere d'acqua. Lo svuotò in un sorso, ripensando alla figuraccia colossale che aveva fatto. Qualcosa non le tornava, forse la sicurezza di quel ragazzo, forse il modo in cui aveva gestito la conversazione. Non aveva mai avuto la sensazione più forte che ci fosse qualcosa di sbagliato.
Ci pensò per qualche minuto, poi accese di nuovo il suo Galaxy, ormai spento e abbandonato sul comodino. Aspettò che si attivasse e scorse la lista delle chiamate, probabilmente avrebbe dovuto farlo molto prima.

Chiamata inviata a: Chase <3
Alle: 00.09

Si era arrovellata il cervello per la seguente mezz'ora, cercando di capire in che modo avesse potuto sbagliare numero. Lo aveva digitato lei stessa, conoscendolo ormai a memoria, era possibile che avesse sbagliato una delle cifre, questa era l'unica risposta a cui era giunta. Ora, però, tutte le prove erano contro la sua ipotesi: aveva chiamato il contatto giusto e l'orario non mentiva.
Allora chi era... Michael?
Prese un profondo respiro e, ancora prima di potersi domandare cosa sarebbe successo, aveva già chiamato di nuovo. Ora cominciava a temere che fosse successo qualcosa a Chase, voleva delle risposte e se quel Michael le avesse avute, lei le avrebbe ottenute.

Michael si toccò la fronte distrattamente, constatando che era di nuovo bollente. Si sentiva distrutto e nemmeno il calore del plaid sul divano riusciva a far cessare i brividi. Probabilmente la febbre era salita di nuovo e, benché lui fosse sempre stato forte, quell'influenza lo stava lentamente consumando.
«Mike... come stai?» domandò Calum, notando la sua agitazione. Michael scosse le spalle, con apparente noncuranza. Era questo che faceva tanto preoccupare Calum, il fatto di averlo visto raramente così abbattuto.
«Credo che mi sia di nuovo salita la febbre... me ne vado a letto. Poi domani ditemi come finisce il film» spiegò, alzandosi e avvolgendosi completamente nel plaid prima di avviarsi verso le scale. Tremava un poco per il freddo e il dolore alle ossa certo non lo aiutava. Non si sentiva così male nemmeno dopo essersi preso una sbronza colossale in discoteca.
Era ormai sulle scale quando si ricordò del cellulare. Con un grande sforzo cambiò meta e, prima di rintanarsi in camera, passò a prendere lo smartphone ancora abbandonato sul tavolo della cucina: se Jordan avesse richiamato, avrebbe voluto essere lui a rispondere. Aveva delegato a Luke il fastidioso, per così dire, compito di provarci con lei, ma a gestire il piano doveva essere lui. Non sapeva esattamente il motivo per cui si stesse prendendo tanto a cuore quella missione, ma voleva essere certo che la ragazza li avrebbe aiutati e non poteva permettere che qualcun altro, benché fossero i suoi migliori amici, parlasse con lei e compromettesse il progetto contorto che aveva in mente.
Una volta in stanza si lasciò cadere stancamente sul letto e si arrotolò letteralmente tra le coperte. Prima di spegnere la luce appoggiò il Galaxy al comodino e prese l'aspirina che Calum, probabilmente, si era premurato di fargli avere. Si rigirò sul fianco e chiuse gli occhi. Si sarebbe addormentato nel giro di pochi minuti se non che, come aveva previsto, la vibrazione del cellulare ruppe il pacifico silenzio della sua stanza, facendolo sussultare. Se lo aspettava, certo, ma non credeva che la ragazzina avrebbe richiamato tanto presto. Fece appello a tutte le sue restanti energie, perché non poteva certo farsi fermare da una stupida influenza, così si mise a sedere sul materasso, accese la piccola luce sul comodino e accettò la chiamata. Era Jordan e, quella volta, nessuno avrebbe sentito, quella volta avrebbe tenuto la loro conversazione solo per lui.
«Ehi, Jordan» esordì, senza esitazioni. Jordan, all'altro capo del telefono, sobbalzò come se non si aspettasse una risposta. Quella voce, di nuovo la sua voce, quella così roca e profonda che Jordan l'avrebbe riconosciuta tra milioni... ecco cosa le aveva suggerito il sesto senso, ecco perché ancora il suo stomaco si stava contorcendo: c'era qualcosa che non andava e quel qualcosa era la voce di Michael, la voce di un perfetto sconosciuto. La voce che, lo sapeva, stava per cambiare le cose. Quella voce che la faceva rabbrividire perché le avrebbe portato solo guai.
«Senti... forse ultimamente sono un po' distratta, ma non sono stupida. Questo è il numero del mio ragazzo! È il numero di Chase, ma tu non sei Chase... sei Michael!» Il ragazzo strizzò gli occhi, che bruciavano per la febbre, e una specie di sorriso curvò le sue labbra.
«Come sai che non sono Chase?» domandò prontamente. La domanda la colse impreparata e, di nuovo come durante la prima conversazione, un secondo di silenzio gli suggerì che Jordan stesse trattenendo il respiro.
«Beh... perché... ecco... ho chiamato il numero di Chase, lo stesso che ho chiamato anche prima, ho controllato il registro. E a meno che Chase non sia con te, ma mi pare improbabile dato che non mi hai mai parlato di un certo Michael, ecco... deduco che sia di nuovo tu» spiegò, attorcigliando una ciocca di capelli intorno al dito. Lo faceva sempre quando era nervosa e, per qualche strano motivo, quel Michael le metteva agitazione.
«D'accordo, non sono Chase, ma qui ci sono altri tre ragazzi, comun-»
«Penso che non avrei difficoltà a riconoscere la tua voce» lo interruppe, lasciandosi scappare quelle parole dalle labbra con fin troppa facilità, senza pensare. Si tappò la bocca, come se lui potesse vederla. Ma Michael si limitò a ridere, divertito: si era ricordata il suo nome ed era anche sicura di poter riconoscere la sua voce... facevano passi da giganti, pensò.
«Davvero?» domandò, passandosi stancamente una mano tra i capelli disordinati. Avrebbe dovuto rifare la tinta, perché il viola che aveva fino a quel momento stava completamente vendendo via, lasciando posto al biondo della decolorazione, colore che non gli piaceva particolarmente. Tingere i capelli gli era sempre piaciuto, gli dava l'illusione di poter cambiare continuamente pur restando lo stesso di sempre.
«Sì, è.... profonda» spiegò Jordan, ormai immersa troppo a fondo in quella conversazione per poter mantenere un minimo di dignità. Se voleva scoprire chi fosse tanto valeva non lasciarsi intimidire, in fondo lui era solo dall'altra parte di un cellulare.
«Immagino sia per la febbre» confessò lui, sbadigliando sonoramente. Jordan si lasciò sfuggire un debole "Oh", espressione che nessuno dei due trovò convincente. Probabilmente non era solo la febbre, si disse, ma quello non era certo l'argomento che aveva pensato di trattare durante la loro conversazione.
«Senti... è la una di notte, domani è lunedì, tu sei malato e io sono stanca: dimmi chi sei e facciamola finita!» sbottò, ricadendo pesantemente sul suo letto, tanto che persino Michael, attraverso il cellulare, poté udire il tonfo. In risposta, però, si limitò a ridacchiare, elaborando quello che avrebbe dovuto dirle. Non aveva in testa un piano preciso, ma a lui era sempre piaciuto lavorare così, improvvisando. Il più delle volte il suo sesto senso e la sua abilità nell'ingannare le persone, lo avevano aiutato.
«D'accordo, per essere chiari, voglio che tu sappia tutto, ragazzina. Sono Michael Clifford, ho ventidue anni e sono al secondo anno alla South Carolina, in caso tu volessi cercarmi da qualche parte.» Jordan sobbalzò, stringendosi nelle spalle: University Of South Carolina, ovviamente la stessa che frequentava anche Chase. Allora probabilmente si conoscevano davvero.
«Oh, allora sei... un amico di Chase?» chiese, giusto per essere sicura. Michael rise di nuovo e quella risata la fece rabbrividire, non tanto perché fosse inquietante, piuttosto perché aveva qualcosa di strano, qualcosa che la metteva a disagio e che, al tempo stesso, le faceva venir voglia di ridere con lui. Eppure, sapeva che la stava solo prendendo in giro.
«No, cioè... lo conosco, ma non siamo amici.» Finora le aveva detto solo la verità, lui e Chase Carter, se mai, potevano definirsi nemici.
«E allora perché diavolo hai il suo fottuto cellulare?» quasi gridò, benché la sua posizione richiedesse silenzio: la porta della sua stanza era chiusa a chiave e lei, fino a prova contraria, stava dormendo da ormai due ore, nessuno avrebbe dovuto scoprire la sua telefonata, nemmeno la cameriera che dormiva nello stanzino accanto. Non l'avrebbe passata liscia, non solo perché stava facendo una chiamata alla una di notte, ma anche e soprattutto perché il suo interlocutore non era Chase e nemmeno un suo amico... in pratica un perfetto sconosciuto. Si morse il labbro e sbatté più volte le palpebre: in che razza di guaio si stava per cacciare? Proprio lei che non aveva mai fatto altro che comportarsi da ragazza posata e raffinata e pregare prima di ogni pasto e di ogni santa lezione. Un brivido le corse lungo la schiena, come se potesse fiutare il pericolo anche a distanza di chilometri, magari dove si trovava lui, attaccato al cellulare di Chase. E quel profumo di adrenalina, mistero e rischio, la stuzzicava in una maniera quasi innaturale. Michael Clifford la stuzzicava in maniera innaturale: chi era lui? Perché la stava chiamando? Cosa sarebbe successo dopo quella telefonata?
«L'hanno trovato i miei amici, Chase lo ha perso» rispose semplicemente il ragazzo, la voce calma e calda che ormai le era entrata nelle orecchie.
«D-Dove?» balbettò Jordan. Una parte di lei voleva maledettamente saperlo, l'altra, invece, le suggeriva di non fare troppe domande. La conoscenza uccide, lo aveva imparato a sue spese quando aveva scoperto suo padre durante una delle sue tante bische clandestine a poker. Scosse la testa e si concentrò solo sulla voce di lui.
Michael esitava, indeciso sul da farsi. Gli erano bastate due conversazioni con lei per capire che tipo fosse Jordan: era riservata, probabilmente, magari anche un po' impacciata. La immaginava seduta sul suo letto mentre si attorcigliava nervosamente i capelli, quelli ramati e mossi che aveva visto in foto, come facevano le ragazze quando erano agitate. Queste erano solo ipotesi, ma, sicuramente, era ingenua e su questo non aveva dubbi. Avrebbe dovuto dirle dove avevano recuperato il cellulare del suo ragazzo?
«Al Black Hole» disse infine, in un sussurro. Di nuovo quel silenzio, Jordan che tratteneva il respiro.
«N-No.... non è possibile» mormorò lei qualche secondo dopo, stringendo il lenzuolo. Prese un profondo respiro. Michael scosse la testa e sospirò. Avrebbe dovuto ridere di nuovo, ma non ne ebbe il coraggio. In fondo, per quanto non la conoscesse, cominciava a compatirla.
«Senti... ora vuoi cominciare con la storia che il tuo ragazzo è un santo e non frequenterebbe mai posti come il Black Hole? Bene, non farlo, non cominciare con queste stronzate perché io non sono un santo e il Black Hole lo frequento più di casa mia; perciò, credimi se ti dico che il tuo ragazzo non è da meno!» Quella volta fu Michael ad alzare la voce, perché, per quanto potesse capirla fino ad un certo punto, non credeva davvero che una ragazza potesse essere fidanzata con Chase Carter senza nemmeno domandarsi cosa facesse davvero.
«Non urlare con me, Michael!» sbottò la ragazza, già intenzionata a chiudergli la chiamata in faccia. Come si permetteva di parlarle così?
Quella volta Mike non riuscì a trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata, sperando che nessuno lo sentisse. Forse l'aveva sottovalutata, aveva un caratterino pungente. Pensando a Chase immaginò che dovesse essere una di quelle riccone schizzinose che pretendevano rispetto da qualsiasi cosa respirasse. Ma lui non era certo lì per servire e riverire la principessina di casa Carter.
«Ehi, tieni a bada il caratterino ragazzina! Con me non attacca, capito?» La ragazza quella volta sbuffò.
«Voglio solo sapere chi diavolo sei!» esclamò di nuovo, abbassando la voce. Si era accorto che non diceva mai parolacce e questo lo fece sorridere. Loro erano esattamente le due facce opposte di una medaglia.
«Ti ho già detto chi sono... ma forse tu non sai davvero chi è il tuo ragazzo!» continuò ad insistere, sistemandosi meglio sui cuscini. Sentì Jordan deglutire.
Il Black Hole... Jordan non lo aveva mai visto di persona, per lei quel locale era solo una leggenda metropolitana, non le era nemmeno permesso avvicinarsi a quel quartiere.
"Sei una ragazza per bene, Jordan, quei posti sono pericolosi." Ecco cosa le avevano sempre detto quando lei aveva cercato di uscire di sera. Le ragazze per bene non andavano a ballare. Ma lei era davvero una ragazza per bene?
Il Black Hole si trovava in periferia, in uno dei così detti sobborghi di Myrtle Beach e, per quanto ne sapesse, era frequentato solo ed esclusivamente da scapestrati e poco di buono. Le sue amiche del collegio, la sera, si divertivano a raccontare aneddoti raccapriccianti su quel posto, come se fossero storie dell'orrore. Le avevano detto che era tutto dipinto di nero, con finti scheletri che pendevano dal soffitto e lampade ad olio che creavano una luce soffusa. Le mani cominciarono a tremarle e il cuore a martellarle contro la cassa toracica: Chase frequentava davvero quel posto? Michael... frequentava davvero quel posto?
«P-Perché... perché Chase era al Black Hole?» domandò titubante. Gli occhi cominciarono a pizzicarle e Jordan si rannicchiò sotto il piumino come se potesse servirle per difendersi. Ora iniziava seriamente ad aver paura. Il suo istinto aveva avuto ragione sin dall'inizio, qualcosa stava per cambiare, Chase... l'aveva riempita di bugie fino a quel momento?
«Non lo so... io stasera non c'ero, te l'ho detto. Ho l'influenza e purtroppo mi sono perso una bella rissa, così mi han detto. Ma non so cosa ci facesse lì Chase» confessò Michael, toccandosi la fronte. Il mal di testa lo stava uccidendo, aveva solo bisogno di dormire, eppure non voleva mettere fine a quella conversazione.
«M-Michael... pensi che... pensi che Chase mi tradisca?» domandò lei, un sussurro a malapena udibile. Non sapeva perché lo stesse chiedendo a lui, ma quel pensiero si stava sempre più insinuando nell'intricata foresta di bugie che Michael le stava rivelando. E lui era l'unico che potesse darle una risposta.
Quella volta fu Mike a trattenere il respiro. Cosa avrebbe dovuto dirle? Deglutì, cercando di immaginare Jordan dall'altra parte del cellulare. Probabilmente stava piangendo. Non era quello che voleva... non avrebbe mai voluto rattristarla così. Era curioso che lo pensasse, dato che stava per metterla nei guai; tuttavia, non voleva essere la causa della fine della loro relazione. Magari Jordan ne era davvero innamorata.
Scosse la testa, liberandosi da quei pensieri da adolescente: non era così che doveva ragionare, non doveva lasciarsi distrarre da una viziata ragazzina innamorata. Pensò che le donne fossero tutte uguali: le aveva appena raccontato che il suo fidanzato frequentava un locale dove la gente si picchiava per sport e dove girava più droga che in un ghetto del Bronx e lei pensava solo a quello, si domandava solo se lui la stesse tradendo. Ecco, era su questo che doveva concentrarsi, su quanto sarebbe stato difficile trattare con una ragazzina del genere.
«È solo questo che ti preoccupa?» domandò, calmo. Jordan annuì, anche se lui non poteva vederla.
«Al momento sì.» Michael sospirò esasperato, massaggiandosi le tempie con la mano libera.
«Non lo so... dannazione... che domande del cazzo, ragazzina! Te l'ho detto che non conosco il tuo tipo. Come faccio a sapere se ti tradisce?» Jordan alzò le spalle, cercando di rilassarsi.
«Non so... mi sembra che tu sappia sempre tutto...» bisbigliò, strizzando gli occhi. Prese gli occhiali sul comodino e li indossò perché la sua vista cominciava a stancarsi. Li portava raramente, ma a volte ne aveva bisogno, come in quel momento. A dir la verità si sentiva tutta indolenzita e non ne capiva il motivo.
«Non so sempre tutto... so solo che il tuo ragazzo era al Black Hole e che ha delle informazioni di cui ho bisogno. E oltre a questo so che tu ti chiami Jordan, sei la sua fidanzata, hai i capelli ramati e tendenti al rosso, bellissimi occhi verdi e.... un sorriso da farti perdere il respiro, il che mi fa credere che se lui ti tradisse sarebbe un vero idiota. E poi so che tu sei l'unico ponte di collegamento che io e i ragazzi abbiamo con lui. In conclusione, so che tu mi servi, ragazzina. E so che collaborerai senza protestare.» Ora immaginava cosa sarebbe successo: Jordan avrebbe trattenuto il respiro per qualche secondo, per elaborare le sue parole. La sentì sospirare debolmente, poi deglutire, infine respirare profondamente.
«Hai visto? Sai troppe cose per i miei gusti... i-io... io non so nemmeno che faccia hai e tu invece...»
«Chase ha una tua foto come sfondo, è per questo che lo so!» la interruppe lui. Ecco che Jordan si soffermava di nuovo sugli aspetti meno importanti della cosa. Forse aveva esagerato con i complimenti, anche se Calum aveva ragione, era davvero una bella ragazza.
«Oh. D'accordo... allora come... come fai ad essere tanto sicuro che collaborerò?» domandò allora, il tono decisamente più stizzito di prima, la stessa vocina acuta che aveva sentito la prima volta. Michael sorrise compiaciuto, perché quella conversazione finalmente si stava facendo più interessante e si stava portando a suo favore.
«Lo so perché... sono convinto che tu voglia sapere almeno quanto me cosa nasconde il tuo ragazzo e solo lavorando insieme potremo scoprirlo. Allora... ci stai?» Jordan ci pensò per qualche secondo, confusa. Insomma, un perfetto sconosciuto le stava proponendo di lavorare con lui, per quale motivo avrebbe dovuto fidarsi? Se c'era qualcosa che le suore le avevano insegnato in tutti quegli anni, era proprio questo: prega e stai lontana dai guai.
Ma sei i guai le si presentavano al telefono con la voce roca e una nuvola di sensuale e perverso mistero... cosa doveva fare in quel caso? A volte, doveva ammettere, quella sensazione di prigionia soffocante la opprimeva. A volte voleva tanto scappare. A volte... sognava di vedere il Black Hole con i suoi occhi, non solo attraverso storie spaventose che, molto probabilmente, non avevano alcun fondo di verità.
«Non... non penso di potermi fidare di te» confessò, mentre una lacrima le rigava il viso. Non era tristezza, era solo tutta la tensione che aveva accumulato che scivolava via, liberandola in quel modo.
«Non puoi, infatti. E non devi. Io non sono esattamente il tipo di ragazzo di cui ci si può fidare... tanto meno se mi conosci solo per telefono, ma... la scelta sta a te. Ho il tuo numero e se vuoi posso fornirti le prove di quello che il tuo ragazzo fa nel tempo libero, perché tu capisca che non sto mentendo. Forse sono poco affidabile, ma in questo caso non sono io che ti sto riempiendo di palle, okay? Non so nulla di te e nemmeno mi interessa sapere chi sei, ma abbiamo in comune un ragazzo che ci serve, anche se per motivi del tutto diversi. Perciò... io ti propongo il mio aiuto in cambio del tuo.» Sapeva che sarebbe stato difficile, ma quella era la sua ultima spiaggia, la sua ultima possibilità.
«Vorrei... vorrei prima conoscerti.»
«Credimi, Jordan, questo non cambierebbe in alcun modo le cose, anzi... temo che le peggiorerebbe soltanto» rispose secco, eppure con quella calma che lo aveva caratterizzato per tutta la conversazione. Era molto intelligente e furbo, persino troppo per lei. La stava manipolando e lei, per qualche strana ragione, sentiva di doverlo lasciar fare.
«E per il cellulare... che si fa?» chiese allora, cambiando di nuovo argomento. Non sarebbe finita così, avrebbe pensato a lungo al da farsi, avrebbe trovato il modo per parlare con Chase. Avrebbe preso tempo.
«Te lo riporterò domani pomeriggio stesso, ma devi promettermi che verrai tu. Non Chase.» Jordan scosse la testa, esasperata. Cosa avrebbe dovuto fare?
«Questo non è possibile! Io non... oh, lascia perdere!»
«Non posso lasciar perdere. Questo cellulare non appartiene a me, devo rendertelo in qualche modo, perciò...» Non sapeva davvero come continuare, ora la situazione era in mano a quella ragazzina. Tutto dipendeva da lei e Michael sperava solo di essere stato abbastanza persuasivo.
«Sono rinchiusa in uno stramaledetto collegio femminile dal lunedì al venerdì, torno a casa solo nel week end, dovrai fare del tuo meglio per farmi uscire di lì!» spiegò esasperata, soffiando le parole con una punta di disprezzo, come se la situazione le pesasse. Finalmente Michael rise di nuovo e Jordan, quella volta, trovò la sua risata stranamente rilassante e confortante. Una cosa l'aveva imparata quella sera: se Michael avesse riso avrebbe avuto in mente qualcosa.
«Tu mi sottovaluti, ragazzina. Dimmi dove sei e io ti porterò via.»
«Questa suona come una minaccia» protestò, preoccupata. Michael sorrise.
«Se pensi che questa lo sia... evidentemente non hai ancora capito nulla di me.» Jordan meditò su quell'affermazione per qualche secondo, raccogliendo tutti i suoi pensieri.
«Infatti è così... non so nulla di te. Non venire domani... se Chase non sa che hai preso tu il suo cellulare non farà domande scomode. Lasciami qualche giorno perché io possa organizzarmi, poi ti chiamerò io e definiremo i dettagli dell'incontro.» Il suo improvviso cambio di atteggiamento lo fece preoccupare. Non la conosceva per nulla, ma era impossibile che, da un momento all'altro, si fidasse così. Sicuramente aveva in mente qualcosa e Michael non poteva permettersi di sbagliare, di farsi raggirare così da una perbenista che nemmeno conosceva. Perciò decise che quelle informazioni di cui lei sicuramente sarebbe andata a caccia, gliele avrebbe fornite lui stesso.
«D'accordo... ti propongo un compromesso: sarà un po' come la storia del Piccolo principe e la volpe, hai presente? Ti chiamerò tutti i giorni alla stessa ora e parleremo e parleremo e parleremo. Voglio conquistare la tua fiducia e tu, nel frattempo, avrai tutto il tempo del mondo per fare le tue ricerche su di me, su Chase e su quello che stiamo combinando. So che lo farai e so che questo ti aiuterà a stare più tranquilla. Ci stai?» Immediatamente, si sentì uno stupido per averle proposto qualcosa del genere. Avrebbe davvero sopportato di parlare con quella ragazzina viziata e che lo zittiva, per tutti i giorni a partire dal seguente fino ad una data indefinibile? Doveva mettere lei nei guai, ma sentiva che, il vero guaio, se lo stava cercando lui. Le donne erano il vero guaio. Soprattutto quelle viziate e ingenue.
«D-D'accordo... ehm... allora buonanotte, Michael. Ci sentiamo... domani, giusto? A mezzanotte, prima non posso. Ma a mezzanotte tutte le mie compagne di stanza dormiranno, in collegio.» Michael annuì e pensò che lei dovesse avere una vita abbastanza patetica. Gli sfuggì un sorriso.
«Se pensi di riuscire a stare sveglia fino a mezzanotte!»
«Mi sottovaluti, Clifford!» lo prese in giro, prendendosi una confidenza che, in realtà, non avevano.
«D'accordo, allora a mezzanotte, Jordan.» Chiuse la chiamata, quella volta quasi a malincuore, ma sapeva benissimo che, quella notte, non sarebbe riuscita a dormire. Si alzò dal letto e prese il suo portatile, poi controllò che la porta fosse perfettamente chiusa con due mandate e si sedette di nuovo sul materasso. Decise di nascondersi sotto il piumino, per stare più al sicuro e più al caldo. La luce del pc quasi la accecò, quando lo accese, ma non si lasciò distrarre. Doveva scoprire chi fosse Michael Clifford e lo avrebbe fatto al più presto.
Un forte mal di testa le faceva bruciare gli occhi, tuttavia non li avrebbe chiusi per nessuna ragione al mondo. Si strofinò il naso e un piccolo starnuto le fece sobbalzare il pc sulle ginocchia.
Aprì internet e cercò il sito web dell'università della Carolina, lì avrebbe sicuramente trovato qualche informazione su di lui. Sfogliò tra le pagine, finché trovò l'archivio degli iscritti, dove c'era anche Chase. Di lui si sarebbe occupata più tardi, così continuò a scorrere l'elenco e, solo qualche nome più sotto, trovò la scheda scolastica di Michael Clifford.
Un altro starnuto la scosse, mentre apriva la pagina.
Michael Clifford, studente della facoltà di giurisprudenza, nato il 20 novembre, ventidue anni e un curriculum non esattamente invidiabile. Lo guardò con attenzione, immaginando che, se la sua scheda scolastica era costellata da risse, manifestazioni sfociate nella violenza e feste di confraternite, la sua fedina penale sicuramente non doveva essere poi così pulita.
Era impossibile che conoscesse Chase... era impossibile che Chase facesse parte di quel mondo. Era impossibile che Chase Carter avesse qualcosa a che fare con Michael Clifford.
Starnutì per l'ennesima volta e prese il fazzoletto che teneva sotto il cuscino, per soffiarsi il naso.
Era impossibile; eppure, ora si sentiva una stupida per aver creduto a tutte quelle bugie.
Era impossibile eppure lei, da quel giorno in poi, ogni mezzanotte sarebbe stata di Michael Clifford.
Era impossibile, eppure sentiva che si stava prendendo l'influenza. E questo doveva essere un segno.


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