26. Faraway

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Il cellulare squillava a vuoto ormai da qualche secondo, a ritmo dei respiri sempre più pesanti di Michael.

«Nulla?» chiese Calum, poggiando la mano sulla spalla di Michael, come se potesse servire a calmarlo.
Michael scosse la testa e solo Calum, con un'occhiata, riuscì a placare il suo istinto di lanciare il cellulare contro la parete.
«Michael... se Chase avesse voluto farle qualcosa...»
«Sto tentando di chiamarla da venti minuti, Calum. Non pensi che... Chase le abbia già... già fatto qualcosa?» mormorò, la voce che prese leggermente a tremare su quelle ultime parole.
Si rigirò il cellulare tra le mani, per l'ennesima volta.
Jordan non aveva risposto a nessuno dei suoi messaggi e a nessuna delle sue chiamate.
«Sta calmo, Michael. Magari sta studiando o.... o è impegnata in qualcuno dei pranzi organizzati dalla sua famiglia. Sai meglio di chiunque altro che ogni tanto sparisce» lo rassicurò Luke, passando un braccio intorno alle spalle di Michael. Lui espirò pesantemente, portandosi una mano a massaggiare le tempie.
Chiuse gli occhi, cercando di non eliminare le ipotesi più catastrofiche che aveva avuto negli ultimi dieci minuti.
«D'accordo... e perché proprio oggi? Perché proprio adesso che... che io ho bisogno di sapere se sta bene?»
«È a casa sua, Michael! Ci sono i suoi genitori e.... e i domestici... non le lasceranno accadere qualcosa di brutto.» Michael alzò gli occhi al cielo, una risata amara gli morì sulle labbra, ripensando a tutto ciò che aveva scoperto.
Suo padre era l'ultima persona che avrebbe potuto tenerla al sicuro.
«No.... no, casa sua è il posto meno sicuro di questa terra, per lei. Devo... devo portarla via da lì» si lamentò, liberandosi bruscamente dal braccio di Luke sulle sue spalle.
Calum tentò di fermarlo, ma Michael prese a camminare avanti e indietro per il piccolo salottino del loro appartamento.
Raramente Michael era stato così agitato e Calum, sicuro di conoscerlo ormai fin troppo bene, temeva che, da un momento all'altro, avrebbe potuto combinare qualunque follia.
«Michael... rifletti. Lascia calmare le acque... aspetta che ti risponda al telefono. Non essere impulsivo» suggerì Ashton. Persino lui avrebbe voluto calmare Michael, nonostante in quel momento avesse anche altro a cui pensare.
Michael si morse il labbro, così forte da riuscire quasi a sentire il sapore del sangue. Se solo avesse avuto Chase Carter tra le mani, in quell'istante, non avrebbe esitato a farlo a pezzi.
Chase poteva avere tutti gli amici importanti del mondo, Chase poteva mettergli contro quanti uomini voleva, ma se solo avesse osato toccare Jordan, Michael gli avrebbe fatto così tanto male che se lo sarebbe ricordato per la sua intera vita, nel caso in cui fosse sopravvissuto.
«No. Jordan mi avrebbe risposto. Da quando la conosco... trova sempre il modo per parlare con me, a meno che non sia incazzata. Ma non lo è. Questo mi conferma che sta succedendo qualcosa. Le ipotesi di Calum non fanno una piega. Io ho ragione e ora vado a prendermela» asserì, precipitandosi verso la porta d'ingresso.
Non aveva un piano in mente, come al solito, non sapeva nemmeno dove l'avrebbe trovata, non sapeva nulla, ma era sicuro che l'avrebbe portata via.
La sua mano era già sulla maniglia, quando sentì qualcuno mettere la propria sulla sua spalla, bloccandolo. Michael si voltò lentamente, incontrando lo sguardo di Calum.
«Cristo... fermati, Michael» espirò, alzando gli occhi al cielo, pentendosi in quell'esatto istante di ciò che stava per dire. «Se esci da questa porta ora... io ti seguo. Non ti lascio a cacciarti nei guai da solo, non di nuovo.» Michael sgranò gli occhi, bloccandosi un secondo per sospirare, posando la mano sopra quella di Calum.
Annuì semplicemente e Calum capì esattamente quello che Michael avrebbe voluto dirgli.
Rivolse un'occhiata agli altri, poi uscì dall'appartamento, seguito a ruota da Calum.
«Allora... dove si va?» chiese quest'ultimo, grattandosi la nuca con fare confuso.
Michael l'avrebbe fatto finire nei guai, ma sapeva di aver preso la decisione migliore.
Non solo lo avrebbe aiutato, ma avrebbe anche tentato, per quanto possibile, di tenerlo con i piedi per terra.
«A casa di Jordan» rispose ovvio Michael, scrollando le spalle. Aprì l'auto, ma appena Calum ebbe preso posto sul sedile accanto al suo, Luke ed Ashton si precipitarono fuori dall'appartamento.
«Veniamo anche noi» spiegò Luke, rivolgendo solo un'occhiata a Michael, immobile di fronte a lui con la portiera ancora aperta.
«Ragazzi... questa è una questione che...»
«No, Michael. Ci siamo dentro tutti insieme. Chase... ha fatto qualcosa anche a noi e se proprio devi fargliela pagare, beh... vogliamo farlo anche noi.» Quella volta fu Ashton a parlare, sorprendendo quasi Michael per quella decisione impulsiva che Ashton aveva preso.
Conosceva Ashton abbastanza da sapere che, se solo avesse potuto, quel giorno lo avrebbe interamente trascorso affondato nel divano a guardare qualche film che a lui nemmeno piaceva, con lo sguardo assente, gli occhiali che non indossava mai e i capelli scompigliati, fingendo che tutto andasse bene solo perché lui era un uomo e non poteva permettersi di piangere.
Tuttavia, nonostante il suo doloroso silenzio per la rottura con Emma, Ashton aveva scelto di seguirlo e Michael non gli sarebbe mai stato grato abbastanza. Ashton lo faceva anche per se stesso, ma in quel momento Michael si rese conto che non avrebbe mai potuto chiedere amici migliori, con lui persino nell'istante in cui stava per compiere una vendetta senza nemmeno sapere chi avrebbe trovato ad attenderlo.
Sorrise, senza aggiungere una parola.
Salirono in auto e "Dirty deeds, done dirt cheap" degli AC/DC riempì subito il silenzio dell'auto, accompagnandoli verso quella sottospecie di missione punitiva messa in piedi all'ultimo e senza aspettative.
Ma in fondo, si disse Michael, non aveva nulla da perdere, a parte Jordan, e non voleva rinunciare anche a lei.
La villa dei Collins apparve sotto i loro occhi, una volta giunti a destinazione, apparentemente calma come al solito.
Eppure Michael lo sapeva che, quella, non era altro che la quiete prima di un'imminente tempesta.
Proseguì in auto per qualche metro, parcheggiandola un isolato più avanti.
Fuori dalla villa aveva notato alcune auto che era sicuro non appartenessero ai genitori di Jordan. Chase poteva essere lì, ma non avrebbe potuto dirlo con certezza, anche se il suo sesto senso gli suggeriva che, in quel momento, Carter era il primo dei loro problemi.
«Qual è il piano, capo?» chiese Calum, una punta di divertimento su quel nomignolo che a Michael proprio non si addiceva. Per quanto ci provasse, non aveva proprio l'attitudine al comando. Non con loro, almeno.
Michael infatti ridacchiò un istante, godendo dell'importanza temporanea che Calum gli aveva dato. Poi, però, si ritrovò a sospirare.
«Piano... beh, io non ho mai un piano» constatò, facendo immediatamente scuotere la testa a Luke in un moto di rassegnazione.
«Già... allora qual è il non piano, capo?» lo prese in giro, alzando un sopracciglio e lasciando una sonora pacca sulla spalla di Michael.
Lui sospirò, lasciandosi sprofondare nel sedile di guida. Canticchiò una strofa della canzone, riflettendo, poi sorrise sghembo, rivolgendo un'occhiata a Luke attraverso lo specchietto retrovisore.
«Beh... semplice, suono il campanello, aspetto che mi aprano, mi presento ed entro» spiegò, come se quello che aveva appena detto fosse assolutamente normale.
«Michael... i suoi genitori...»
«Sono il suo ragazzo! È ora che mi conoscano!» Calum scoppiò in una risata divertita, aprendo la portiera.
«Ti credevo uno stratega migliore, Michael. Sai qual è la finestra della stanza di Jordan?» Michael sollevò lo sguardo nella sua direzione, scuotendo il capo.
«Sei pazzo, per caso? Certo che lo so, ma... io non... non posso entrare in camera sua dalla finestra. Ci sarà un sacco di gente... mi vedranno o mi sentiranno... e se Jordan non mi aprisse? Che faccio? Spacco la finestra? E se scattasse l'allarme? E se...»
«Calmati, adesso. Non spaccherai nessuna finestra, intesi? Potremmo... finire tutto com'è iniziato» propose Calum, voltandosi leggermente a guardare Ashton, un sorriso malizioso in viso.
Ashton sgranò gli occhi e, per la prima volta, capì al volo una delle idee di Calum. Scosse la testa, portando le mani avanti.
«Oh no, no, non se ne parla. Scordatelo, non lo rifarò un'altra volta» si affrettò a dire, sprofondando nel sedile ed incrociando le braccia con una smorfia imbronciata.
Anche Luke e Michael, finalmente, compresero l'intenzione di Calum e scoppiarono a ridere, rivolgendo sguardi supplichevoli ad Ashton.
«Dai, Ashton... ormai sei un damerino perfetto. I ricchi ti adorano. Hai fatto colpo sui suoceri... e se sei riuscito in questa impresa puoi impressionare chiunque» continuò Calum, imperterrito, benché consapevole dei rischi che aveva corso menzionando i suoi ormai ex futuri suoceri.
Ashton non disse una parola, ma si limitò ad un grugnito incomprensibile, stirandosi poi la maglia come se potesse renderlo più presentabile.
Quel giorno non era esattamente il perfetto damerino.
Era uscito di casa con i primi vestiti che aveva trovato –una maglia nera con qualche buco e la camicia a quadri, i jeans strappati e la solita bandana rossa– e il suo aspetto non era per niente carino. Emma lo aveva distrutto più di quanto lasciasse intendere e, benché certo che i suoi migliori amici ne fossero al corrente, stava tentando in tutti i modi di tenere dentro quel dolore che gli appesantiva il petto.
Se non fosse stato un uomo convinto dei suoi principi morali, avrebbe pianto come una ragazzina in piena crisi ormonale di fronte ad un film d'amore mentre sprofondava la faccia nel vasetto della Nutella.
Ma lui era Ashton Irwin. E Ashton Irwin non avrebbe pianto per colpa di una donna.
Ci aveva pensato a lungo, ma alla fine si era reso conto che uscire ad aiutare Michael poteva essere un ottimo modo per distrarsi. Se non che, ora, avevano deciso di mandare lui avanti come vittima sacrificale.
Tuttavia, se fosse rimasto in macchina a logorarsi l'anima con le parole di Emma che gli rimbombavano nella testa, il suo proposito di distrarsi non avrebbe dato i suoi frutti e lui sarebbe esploso prima del previsto di fronte agli occhi dei suoi migliori amici.
Sospirò affranto, schiarendosi la gola prima di parlare.
«D'accordo, ma è l'ultima volta che mi sacrifico per voi, siete avvertiti» sbottò, aprendo la portiera dell'auto con un gesto brusco. Calum tirò un sospiro di sollievo, poi una risata divertita lasciò le sue labbra, mentre lui e gli altri due seguivano Ashton fuori dalla macchina.
«Dunque... Ashton distrae... chiunque trovi alla porta. Io e Luke staremo nascosti qualche metro più in là, così che se Jordan è in casa vedrà subito Ashton e capirà che ci siamo anche noi. Io e Luke faremo segno a Michael e Michael... beh, cercherà in qualche modo di arrampicarsi fino alla finestra di Jordan.»
«La fai semplice, Calum. Come ci arrivo alla sua finestra?» gli fece notare Michael, facendo inarcare il sopracciglio all'amico, che sospirò.
«Dai... lo hai fatto in collegio... la casa non è molto più alta, qui. Facciamo un sopraluogo» propose quindi, facendo cenno a Michael di seguirlo. Quest'ultimo espirò spazientito e, dopo aver chiuso l'auto, seguì Calum, certo che il suo piano sarebbe stato decisamente migliore e più semplice da attuare.
Estrasse il cellulare dalla tasca e, senza pensare, digitò velocemente l'ennesimo messaggio per Jordan.
-Sappi che sto venendo a rapirti. Di nuovo. -
Un messaggio semplice e conciso, l'ennesimo a cui Jordan non avrebbe risposto, ma che Michael sperava vivamente riuscisse a vedere.
Ripose il cellulare con un sospiro e, quando alzò lo sguardo, era già di fronte all'abitazione dei Collins.
L'aria intorno era calma, dalla casa non proveniva alcuno schiamazzo e Michael ricordò che, anche durante quei pranzi, si manteneva sempre un clima di calma posata. Jordan glielo aveva raccontato più di una volta, facendolo ridere perché le loro feste erano decisamente meno aristocratiche ed ortodosse.
«C'è un bel cortile» mormorò Calum, distraendolo dai suoi pensieri e riportandolo alla realtà. «Magari c'è anche qualche albero... non sarà così difficile.»
«Dovevamo portarci una scala da casa» ironizzò Luke, facendo alzare gli occhi al cielo a Calum.
«Senti... Romeo lo ha fatto senza scala... e pure Troy Bolton in High School Musical. Può farlo anche Michael.»
Ma, nonostante le parole di incoraggiamento di Calum, tutto ciò che Michael riuscì a dire fu un divertito «Tu hai visto High School Musical?» con un tono decisamente sbeffeggiante che fece innervosire Calum.
«Senti... ho una sorella... è una lunga storia, non mi giudicare» liquidò il discorso e Michael fu ben lieto di averlo messo in imbarazzo una volta tanto. Era divertente.
«D'accordo, d'accordo. Ma sono sicuro che sai tutte le canzoni a memoria.» Calum scoppiò a ridere, spingendo Michael verso il retro della casa, sul cortile.
«Anche le coreografie, cazzo! Per chi mi hai preso, coglione?» E quella volta fu Michael a ridere, mentre il pensiero di Jordan in pericolo si faceva, grazie ai suoi amici, sempre meno pressante.
«D'accordo... Jordan ha detto che la sua stanza è al primo piano... la finestra a destra. Non dovrebbe essere così difficile... ma ho paura che in cortile mi veda qualcuno» mormorò Michael, tornando improvvisamente serio.
«No, ci penserà Ashton a tenerti lontano eventuali pericoli» lo rassicurò Luke, scoccando un'occhiata al diretto interessato, che sbuffò di rimando.
«Se vedo Jordan tento di mandartela su» precisò Ashton, che, ormai coinvolto, aveva intenzione di dare il suo pieno contributo.
Michael annuì grato e, dopo essersi guardato intorno, si appostò a distanza di fronte alla finestra della sua ragazza.
Era chiusa, le tende rosa erano tirate di fronte, non si intuiva, all'interno, alcun movimento.
«Buona fortuna» mormorò Calum, facendosi sentire solo da lui, poi, con un cenno della mano, invitò gli altri a seguirlo.
Ashton prese un profondo respiro ed arrotolò leggermente le maniche della camicia, saltellando nervosamente di fronte al portone d'ingresso.
Luke gli lasciò una pacca di incoraggiamento sulla spalla, poi si nascose con Calum dietro l'angolo della casa, sperando che nessuno li notasse da qualche finestra.
Da lì avrebbero potuto ricevere eventuali segnali da Ashton e dare indicazioni a Michael.
Ashton prese l'ultimo respiro della giornata, ripetendosi mentalmente di non essere codardo, mentre premeva il dito sul campanello della villa.
Passò qualche istante che gli parve eterno, prima che una donna vestita di nero con un grembiule bianco, che dedusse essere la domestica, arrivasse ad aprire la porta.
Ashton aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma la richiuse immediatamente, colto alla sprovvista.
Cosa si doveva dire in questi casi?
«I-Io...»
«Sì? Chi devo annunciare?» domandò la donna, squadrandolo dall'alto al basso con diffidenza.
«I-Io... sono... ecco...»
Calum, scrutando la scena da lontano, non poté evitare di portarsi una mano in fronte e sospirare rassegnato.
Avrebbe potuto inventare qualunque cazzata, ma Ashton non riusciva a parlare.
Poi qualcosa, o meglio qualcuno, si fece sentire all'interno della casa, alle spalle della domestica.
«Allora... si può sapere chi è?» domandò una donna, facendo alzare il viso ad Ashton. Prima che lei potesse continuare, però, un'altra signora che purtroppo Ashton conosceva bene si fece sentire, incredula di vederlo proprio lì.
«Ashton! Tesoro! Che sorpresa vederti qui! E io che credevo fossi con Emma. È successo qualcosa, per caso?» Ashton scosse la testa ed un sospiro triste gli morì sulle labbra, rivedendo negli occhi della donna l'intensa somiglianza con quelli di Emma.
Il suo cuore perse un battito, per poi ricominciare a battere troppo velocemente.
Non l'avrebbe più rivista.
Non avrebbe più rivisto Emma e questo faceva così male che Ashton provò la forte tentazione di abbassare di nuovo gli occhi e scappare di lì a gambe levate.
«Conosci questo ragazzo, Eva?» chiese la donna di prima, che Ashton dedusse essere la madre di Jordan, grazie anche alla notevole somiglianza.
«Oh, certo... è il fidanzatino della mia Emma» spiegò la donna, sorridendo cordiale ad Ashton.
Il suo cuore si strinse di nuovo in una morsa, realizzando che, lei, ancora non sospettava nulla.
«B-Buongiorno signora Parker.»
«Oh, Ashton, quante volte ti ho detto che puoi chiamarmi Eva?» Ashton si morse il labbro, quella cordialità gli sarebbe mancata.
Era persino riuscito a conquistare i suoi genitori e ora, purtroppo, non avrebbe più avuto nulla di tutto quello, nulla che riguardasse la vita di Emma.
Si passò una mano tra i capelli, strizzando gli occhi per poi puntarli in quelli di Eva, cercando di non pensare a lei, alla ragazza che l'aveva fatto innamorare, a quegli occhi così innocenti che non conoscevano nulla di quel mondo orribile da cui lui veniva.
«Io... mi spiace, signora Parker... voglio dire... Eva. Mi spiace. I-Io... speravo di trovare Jordan p-perché...» Prese aria, pensando alla prima scusa plausibile, ma alla fine dire la verità gli parve l'unica soluzione possibile. «La verità è che io ed Emma abbiamo rotto e.... io la amo così tanto, signora... la amo così tanto che non riesco a sopportare questa rottura. Speravo di vedere Jo perché è la sua migliore amica e.... e pensavo che potesse aiutarmi a riavere Emma. Io... giuro che non le ho mai mentito, giuro che non le ho fatto nulla, ma... lei ha frainteso le mie intenzioni e ora mi ha lasciato e io sono... distrutto.» Le sue ultime parole uscirono in un lieve sussurro, mentre lui si appoggiava sfinito allo stipite della porta, trattenendo con una fatica disumana quelle lacrime che tanto avrebbe voluto lasciar andare, quelle lacrime che solo l'orgoglio gli impediva di versare.
«Ecco perché Emma non ha voluto venire qui, oggi. Oh, Ashton, tesoro...»
«So che non si fiderà di me, signora... ma giuro che le mie intenzioni sono sincere e....» Ma Ashton non poté finire di formulare quel pensiero, perché la signora Parker fece cenno alla domestica di spostarsi ed accolse Ashton in un abbraccio quasi materno, un abbraccio che lo fece sussultare un po' per la sorpresa.
Sapeva di piacere alla madre di Emma, ma non si aspettava fino a questo punto, non si aspettava così tanto dopo aver fatto soffrire sua figlia.
Ma lei lo sapeva, che Emma con quel ragazzo era felice, lo sapeva che lui era quello giusto, lo aveva sempre saputo, dagli occhi sinceri di Ashton, che se anche non era stato un bravo ragazzo, un tempo, per lei era diventato migliore.
Lo sapeva, lo aveva capito subito. E rimettere in ordine le cose era il suo unico obiettivo.
Non sapeva cosa fosse successo, ma nemmeno le importava, perché conosceva sua figlia abbastanza da sapere che se la sarebbe presa per qualunque piccola insignificante cosa, e conosceva quel ragazzo abbastanza da sapere che era sinceramente pentito.
«Posso farlo entrare? Jordan è a casa e sicuramente parlare con lei lo farà stare meglio, fidati di me» esclamò la signora Parker, lasciandolo e rivolgendosi alla madre di Jordan. Quest'ultima sospirò pesantemente, squadrandolo con diffidenza, poi gli fece cenno di entrare.
«D'accordo, d'accordo. Jordan è in sala da pranzo, seguici e non farmi pentire» esordì schietta, facendo annuire Ashton che si sentì subito maledettamente a disagio.
Riuscì solo ad alzare il pollice in direzione di Calum e Luke, prima di entrare nella villa.
Si guardò intorno un istante, ma poi la sua attenzione fu subito catturata da Chase Carter, che sedeva accanto a Jordan di fronte ad un lungo tavolo imbandito.
Jordan sgranò gli occhi, sorpresa, perplessa e agitata, mentre Chase, al suo fianco, si apriva in un sorriso viscido e malizioso.
«Irwin... che piacere vederti» sibilò a denti stretti, guadagnandosi un'occhiata da parte di Jordan.
«Carter» replicò freddo Ashton, spostando subito la sua attenzione sulla ragazza.
«Che ci fai qui, Ash?» chiese lei, cercando di non badare allo sguardo severo di suo padre.
«Io ed Emma abbiamo rotto... pensavo di poterne parlare con te» spiegò, ignorando del tutto Chase. Ashton pensò che fosse stata una vera fortuna trovare anche Eva Parker invitata a quel pranzo. Emma non gli aveva detto nulla, probabilmente non ne aveva avuto il tempo, ma la sua presenza gli aveva notevolmente agevolato le cose.
«Oh. Capisco. Mamma... io ed Ashton... saliamo un attimo in stanza a parlare, per non... tediarvi con i nostri discorsi. Prometto che scenderemo a breve» mormorò Jordan, alzandosi educatamente, ritenendo che fosse più opportuno allontanarsi da lì dove la l'atmosfera si stava già facendo tesa.
La signora Collins annuì e Jordan tirò Ashton per il braccio, incitandolo a seguirla.
«Che ci fai qui davvero, eh?» chiese, non appena furono lontani da occhi indiscreti.
Ashton sospirò e la spinse lungo le scale.
«Michael ti sta aspettando sotto la tua finestra... non gli hai risposto ai messaggi ed era preoccupato che Chase... che Chase ti avesse fatto qualcosa.»
«C-Cosa...? No!» Ashton sbuffò, mentre lei apriva la porta di camera sua e si precipitava alla
finestra.
«Senti... è una lunga storia, aveva i suoi motivi per crederlo, okay? Ed è vero che io ed Emma abbiamo rotto. Questo è solo uno dei suoi tanti motivi» spiegò affranto, costretto a ricordare nuovamente quella storia.
«Oh. Mi dispiace così tanto, Ash! Se vuoi... posso parlarci io. Però devi dirmi che è successo e....»
«Non ora. Adesso non abbiamo tempo, ti spiegherà tutto Michael, ma aprigli perché sta uscendo di testa.» Jordan annuì, senza aggiungere una parola, e si precipitò ad aprire.
Michael era sotto la sua finestra, esattamente come Ashton gli aveva detto.
Automaticamente sorrise, vedendolo. Aveva il viso stanco, riusciva a notarlo anche da lì, ma anche sulle sue labbra in quel momento affiorava un sorriso dolce.
«Dio santo, Jo, dimmi che stai bene, ti prego.» E per un istante soltanto lui scordò completamente di dover far piano, alzando un po' troppo la voce.
«Sì, sto bene, Mikey, davvero. Chase non mi ha... toccata, lo giuro» rispose lei, lo stesso tono che avrebbe potuto farli scoprire, mentre Ashton, nervoso, batteva un piede a terra come a volerle mettere fretta per andare via subito.
«Ma è qui?» Jordan annuì con un sospiro, che si trasformò in un sussulto quando lo vide avvicinarsi al muro, più precisamente al tubo di scarico della grondaia.
«Oh, no... Michael... Mikey, ti prego... non fare pazzie... sto bene, è tutto a posto. Stasera quando abbiamo finito qui ti chiamo e....»
«Cazzo, Jo, non lo capisci? In questa casa sei in pericolo... tuo padre è pericoloso, Jo! E io... io non intendo lasciarti qui con Carter un solo secondo di più. Non oggi, almeno.» Jordan scosse la testa, incitandolo a fermarsi.
«Lo capisco, Michael. Ma sto bene, me la so cavare. Vattene, ti prego... non voglio che...» Ma Jordan dovette fermarsi, rendendosi conto con orrore che era già troppo tardi.
«Clifford! Ma che sorpresa! Cercavi me, per caso?» Michael saltò a terra, dalla distanza minima che aveva scalato, e si voltò con un sussulto verso Chase.
Alle sue spalle, Luke e Calum scuotevano la testa affranti.
«Pensavi che ci sarei cascato, per caso? Andiamo... mandare qui Irwin... proprio dopo tutto quello che è casualmente successo ai tuoi amici. Ho studiato il mio nemico, Michael, non avrai la meglio.» Fu proprio su quelle parole che, dietro di lui, comparve anche l'ultima persona che Michael avrebbe voluto vedere.
Sobbalzò, facendo un passo indietro, notando la spaventosa somiglianza tra quell'uomo e la sua ragazza.
Ma erano solo i tratti del viso, si disse, Jordan era molto più bella, Jordan era perfetta, Jordan aveva quello sguardo negli occhi che, quelli severi e tristi di suo padre, non riuscivano a trasmettere.
«Bene bene, ecco il famoso Michael Clifford, il cugino di Andrew... finalmente ti vedo, ho sentito tanto parlare di te» esclamò l'uomo, facendo un passo avanti, portandosi al fianco di Chase. Michael indietreggiò ancora e lanciò un'occhiata furtiva a Jordan, ancora affacciata alla finestra.
Jordan indietreggiò spaventata, trovando equilibrio solo nella presa salda di Ashton dietro di sé.
«Allora è lui, il tuo ragazzo, Jordan! Che caduta di stile, tesoro. Da Chase a.... questo. Puoi avere di meglio, amore mio. E questo ragazzo non piace per niente a tuo padre, lo sai, vero? Ora capisco perché Chase mi aveva consigliato di metterti il guinzaglio.» Suo padre alzò il capo, rivolgendosi dritto a Jordan, che deglutì, prendendo quasi a tremare tra le braccia di Ashton.
«Lascialo stare, papà» gridò lei, divincolandosi dalla presa del suo amico, che, sorpreso da tanta intraprendenza, non riuscì a fermarla.
Jordan aveva capito tutto, quell'uomo che continuava a chiamare padre, avrebbe fatto del male al suo ragazzo, perché Michael andava contro tutti i suoi interessi. Perché Michael sapeva troppe cose.
«C'è una soluzione per mettere fine a tutto questo? Io voglio sua figlia, signor Collins. E la sua felicità è l'unica cosa che... che mi sta a cuore» esordì ad un tratto Michael, ma a quel punto, prima che potesse aggiungere altro, Chase si avvicinò a lui, una risata amara e beffarda che raggiunse paurosamente le orecchie di Jordan.
Lei ci rifletté solo per un istante, allora, incontrando lo sguardo vuoto e triste di Michael.
A quel punto non ebbe più dubbi.
Quello poteva essere l'inizio della fine, o l'inizio di una nuova vita.
Jordan non lo sapeva, ma non aveva nulla da perdere e solo tanta voglia di scoprirlo.
Si voltò, colpendo Ashton con una spalla, facendolo barcollare all'indietro, e corse fuori dalla stanza senza portare nulla con sé.
Si precipitò giù lungo le scale, seguita da Ashton che tentava vanamente di fermarla.
Uscì di corsa di casa, lasciando sbattere la porta alle loro spalle.
Quando svoltò l'angolo, Chase era troppo vicino a Michael.
«Devi sparire, Clifford. E non dico dalla vita di Jordan. Intendo sparire in tutti i sensi. Se tieni alla tua vita e ti sta così tanto a cuore la felicità della tua ragazzina e dei tuoi amici, vattene. Fa' un piacere a tutti e vattene. È meglio così, Clifford.» Jordan non riuscì a sentire quello che Chase aveva appena sussurrato al suo ragazzo, ma l'espressione di Michael non le lasciò dubbi sul fatto che non fosse nulla di buono.
«Non lo farò, lo sai meglio di chiunque altro.» Chase rise, per quella risposta così sicura, ma non lasciò perdere.
«La polizia ci sta alle costole, con quel rapimento... e con il tuo ficcare il naso in affari che non ti riguardavano... hai scatenato un inferno, Clifford. A noi non resta che liberarci di te, esattamente come abbiamo fatto con tuo cugino.» E quelle parole fecero scattare qualcosa, in Michael, che non esitò a spingere Chase così forte da farlo cadere a terra sotto di lui.
Lo avrebbe colpito, se non avesse sentito Jordan gridare il suo nome.
Alzò lo sguardo e lei gli corse incontro senza esitare, superando suo padre, Chase e chiunque altro.
Si lanciò tra le braccia di Michael, che la prese al volo, stringendola contro di sé.
«Smettila, ti prego. Sono qui. Sono qui. Portami via. Portami con te. Ovunque, ma con te.» Michael annuì, chinandosi a lasciarle un bacio tra i capelli.
«Jordan... non azzardarti ad andartene da questa casa, sono stato chiaro? È così che ripaghi tuo padre?» Le parole di suo padre la costrinsero a lasciare l'abbraccio sicuro di Michael, solo per rivolgersi a lui.
«Mi hai riempita di bugie per vent'anni, papà. Mi hai costretta a fare cose che non volevo e mi hai... usata... per... per i tuoi squallidi interessi. Michael mi ha dato la felicità che mi mancava, papà. E io... io voglio stare con lui.» Suo padre avanzò di un passo e Michael non esitò a portarla dietro di sé, facendo un cenno a Calum che immediatamente si allontanò con gli altri due verso la macchina.
«Portala via da qui e giuro che verrò a cercarti in capo al mondo, Clifford.» Michael deglutì, stringendo la presa sulle braccia di Jordan, ora nascosta dietro di lui.
«È un rischio che sono disposto a correre» disse sicuro, guardando oltre le spalle dell'uomo. Jordan sussultò ed afferrò la sua mano.
Michael la strinse forte e, quando sentì Calum -che aveva fatto il giro dell'isolato-, suonare il clacson dietro di loro, lasciò scivolare le dita tra quelle di lei, strattonandola e correndo verso l'auto.
Jordan non aggiunse una parola, non guardò nemmeno suo padre per l'ultima volta.
«Puoi correrlo tu, Clifford, ma sei disposto a sacrificare anche lei?» fu l'ultima cosa che Michael udì alle sue spalle, prima di aprire la portiera e spingerla in macchina.
Lui e Jordan erano insieme.
Il resto era solo una grandissima incognita.

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