capitolo quattro

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La mattina dopo, quando Brenda mi trovò fuori casa steso sul marciapiede, non mi disse nulla. Mi fece cadere le chiavi di casa sulle gambe e si avviò verso una meta a me sconosciuta. Probabilmente stava andando da quella fottuta Jessica. Jennifer, cazzo, Jennifer. La sua stupida amica.

Mi rialzai e la prima cosa che feci quando entrai in casa fu farmi una doccia fredda. Congelata. Ghiacciata. L'acqua sembrava quasi fatta di vetro mentre scivolava sulla mia pelle. In quel momento mi sentii libero, libero dalle frustrazioni e dalle paranoie. Mi sentii come un uccello, come una fottutissima aquila. Poi però iniziai a sentire freddo e ritornai ad essere un coglione nella doccia di casa sua.

Mi persi a guardare l'acqua che scorreva, e per un secondo pensai che l'avrei vista davvero trasformarsi in ghiaccio. Ma continuava soltanto a scorrere.

Peccato che i problemi non sparivano velocemente così come l'acqua andava via nel tubo di scarico. Avevo passato una notte terribile e tutto il mio corpo stava urlando dalla stanchezza. A malapena riuscii ad allungare il braccio per insaponarmi la schiena.

Rimasi una buona mezz'ora sotto l'acqua a pensare, e contemporaneamente a non pensare a nulla. Avevo deluso Brenda, così come avevo deluso me stesso. Avevo una rabbia incontrollabile dentro di me, volevo spaccare tutto. Per primo, spaccarmi la testa. Insomma, che cos'altro sarebbe potuto andare storto?

Nonostante non credessi alle scaramanzie ed alla storia di tirare i piedi, quando quel pensiero mi saltò alla mente, mi diedi una grattatina ai gioielli di famiglia. Meglio non rischiare. Ero pur sempre uno sfigato.

Uscii dalla doccia e scivolai sul pavimento sbattendo la testa al lavandino. Ecco, come non detto. Vaffanculo. La mia mano corse alla testa e tirai un sospiro di sollievo quando non vidi sangue. Poi imprecai così forte che se fossi stato in chiesa probabilmente Gesù sarebbe sceso dalla croce e mi avrebbe preso a schiaffi.

Mi rialzai a fatica con varie smorfie di dolore e mi infilai l'accappatoio. Accanto al mio era appeso quello di Brenda, e mi fermai per qualche secondo a fissarlo. Era giallino chiaro, il colore più brutto che l'occhio umano aveva mai visto, o almeno era così per il mio occhio umano.

Avvicinai il viso e lo odorai. Sapeva di lavanda, come il nostro bagnoschiuma. Capisci che vi amate davvero quando condividete il bagnoschiuma, diceva mio padre. Peccato che io avevo sempre odiato la lavanda, e mi imposi di non imprecare nuovamente.

Mi vestii in fretta dimenticandomi di allacciare le scarpe e per poco non caddi di nuovo. Non mangiai nulla, non avevo fame, e soprattutto non avevo voglia di masticare. Tutto quell'aprire e chiudere la bocca, ero troppo stanco per farlo.

Controllai l'orario e vidi che erano le dieci e tre minuti. Mi accesi la prima sigaretta della giornata mentre scendevo le scale del condominio.

Incontrai Marie, un'inquilina, che mi guardò di traverso. Probabilmente non avrei dovuto fumare in un luogo chiuso, o probabilmente era perché sembravo uno zombie appena uscito dalla tomba. Non avevo delle occhiaie, avevo dei buchi neri sotto gli occhi. Le sorrisi comunque, ma tutto ciò che mi uscì fu una smorfia mezza storta. "Non ti sforzare, giovanotto. Sei messo peggio del mio gatto con la leucemia," disse, con espressione dura. Lei non fingeva di sorridere. Probabilmente non lo sapeva nemmeno fare. Non capii se quello fosse un insulto o un incoraggiamento. Mormorai un 'grazie' a metà tra l'ironico ed il 'non so che rispondere' e continuai a scendere le scale.

Mi maledii per aver scelto un appartamento al decimo piano in un palazzo senza ascensore. Peggio di così non poteva essere. Poi però mi grattai ancora, ripensando al lavandino. Marie abitava all'undicesimo piano, e lei era più vecchia e più incazzata con il mondo di me. Ecco, quello era peggio. Decisamente.

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