capitolo sei

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Nuovo giorno, nuova vita. Nuovo giorno, nuove esperienze, nuovi incontri, nuovi eventi.

Per me un nuovo giorno non era nulla di tutto questo. Per me un nuovo giorno non era altro che nuova sofferenza e nuove disgrazie e nuove figure di merda e nuova noia e nuove stronzate e tutta quella roba che accadeva soltanto agli sfigati. Sembrava che capitassero tutte a me.

Non avevo chiuso occhio quella notte, nemmeno per sbaglio, e mi aspettava una lunghissima e deprimente giornata. Avevo provato più volte a chiamare Brenda al telefono, ma non aveva risposto. Lo stesso con i messaggi. Avevo chiamato la gioielleria dove lavorava, e una tipa con una voce da oca mi aveva detto che Brenda aveva preso una settimana di ferie. Malattia. Malattia un cazzo, la malattia mi stava venendo a me al cervello.

Passai un'ora buona a cercare di trovare da qualche parte il numero della tizia con cui usciva sempre. Non mi ricordavo nemmeno come si chiamasse. Era un nome che iniziava per J, forse. Forse iniziava con la T. Chi stracazzo si ricordava.

Poi ci avevo rinunciato, non prima di aver ovviamente preso a calci tutto ciò che mi si trovasse davanti e di essermi quasi rotto una mano a furia di dare pugni al muro.

Mi dissi che sarebbe tornata prima o poi. Lei non poteva vivere senza di me e io non potevo vivere senza di lei. O forse si? Lei era l'amore della mia vita, ma la mia vita era un completo disastro. Lei era l'unica cosa bella che avevo, nonostante fosse la mia maggiore fonte di stress. Un attimo. Che cazzo stavo dicendo? Scossi la testa e riformulai il pensiero. Lei era l'unica che ancora mi ascoltava ed era l'unica che non mi aveva abbandonato. Ora però lo aveva fatto, ed io ero completamente solo. Quindi, in conclusione, il vaffanculo rimaneva.

Decisi di smettere di pensarci e mi alzai per fumare la sigaretta delle dieci. Evitai tutti gli specchi della casa, non volevo sapere quali fossero le mie condizioni, anche se in realtà lo sapevo benissimo. Ero a pezzi. In tanti minuscoli pezzettini, più piccoli di quei puzzle impossibili che per completarli ci impiegavi un anno intero. Dovevo darmi una svegliata ed iniziare a riordinare quel puzzle, ma mancava una figura di riferimento dalla quale potevo iniziare. Okay basta ragionamenti da filosofo. Mi sentivo una merda.

Evitai anche di guardare le bollette che dovevo ancora pagare. Erano già due le settimane di ritardo, ed anche con quelle dovevo darmi una mossa. Domani, oggi ero troppo stanco. Non era ancora iniziata la giornata, ma io ero stanco dentro. Stanco di quella vita. Tutto girava intorno alla vita, perché ne esisteva soltanto una.

Ora ricordavo. Jennifer. Si chiamava Jennifer. L'amica di Brenda si chiamava Jennifer. Non l'avevo mai vista, non avevo nemmeno il suo numero. Sapevo solo che usciva con Brenda. Lei era sempre stata una tipa solitaria, e questa misteriosa Jennifer era la sua unica amica. Si conoscevano più o meno da quando io e Brenda eravamo andati a vivere insieme. Solo questo sapevo. Probabilmente era a casa sua, ma io non sapevo nemmeno che faccia avesse sta cazzo di Jennifer.

Uscii di casa, non ne potevo più di stare tra quelle quatto mura che profumavano di lei. Non badai alla meta, camminai e basta. Girai a destra, a sinistra, poi ancora a destra, poi dritto, poi dove i miei piedi decidevano di portarmi. Gli enormi edifici di quella città mi seguivano dall'alto e mi guardavano minacciosi, come se anche loro fossero delusi. Quindi vaffanculo anche a voi stupidi palazzi di merda. Che cazzo guardate, che cazzo giudicate, che cazzo volete.

Un tizio mi passò di fianco guardandomi storto. "Che stracazzo guardi, eh?" gli urlai. Il tizio scappò. Mi venne da ridere. Ero completamente andato.

Il cielo era pieno di nuvoloni grigi carichi di pioggia e fulmini, pronti a scoppiare, proprio come me. Dio, ma ce l'avevano proprio tutti con me? Poi si lamentavano che ero sempre arrabbiato. Ma guardatevi voi, dico io.

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