capitolo sette

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Ecco come concludere un'altra giornata di merda. Quel ghigno odioso, ed un alone di fumo.

"Sta attento tu," risposi acido. Ma dico io, tu sbatti contro di me ed io sarei quello che si deve stare attento? Il mondo funzionava al contrario.

Sean mi guardò dritto negli occhi e per qualche istante pensai che saremmo rimasti lì nella stazione della metropolitana a fissarci per l'eternità, poi però lui distolse lo sguardo e si allontanò. Fece finta di nulla, come se non mi conoscesse. Non dico che doveva salutarmi, dico soltanto che doveva salutarmi. Dio, da quando mi interessava che uno stronzo come lui mi rivolgesse la parola? Will, stai decisamente impazzendo.

Scoprii che non era solo. Subito dietro di lui lo seguirono altri due ragazzi, entrambi afroamericani, uno alto con tante treccine che gli scendevano lungo il viso e l'altro un po' più basso e con i capelli rasati a zero. Tutti e tre erano vestiti nello stesso identico modo. Felpa e jeans larghi.

Fra tutte le persone presenti in quella stazione, quei tre erano i più strani, e pensai che forse non ero l'unico a guardarli con una punta di paura. Insomma, sembravano i classici tipi da cui bisognava rimanere alla larga, quelli con cui tua madre ti diceva di non parlare, quelli che la gente definiva cattivi ragazzi, ma che io definivo emeriti coglioni che si credevano Dio e non lo erano, che si credevano Dio ma Dio non esisteva, che si credevano Dio ma erano emeriti coglioni.

Ero così impegnato ad osservarli che non mi accorsi che anche loro stavano osservando me. "Che cazzo vuoi, negro?" mi urlò il tipo pelato. Per poco non mi venne un infarto. Giuro che sentii i peli del mio culo rizzarsi. Quel tizio avrebbe potuto benissimo avere un un'arma, ed io ero lì con la mia faccia da cucciolo impaurito.

Rimasi completamente congelato, manco mi avesse appena detto che sarei morto entro dieci minuti. Tre sguardi minacciosi erano puntati su di me. Anzi due, quello di Sean era rivolto a terra, sembrava perso nei suoi pensieri, forse a pensare a quando si sarebbe scopato Brenda. Figlio di puttana.

Cercai di ricompormi. Mi schiarii la gola e quasi mi strozzai. Cristo santo, sembravo un coglione. Ma poi, dico io, se sono bianco perché diavolo mi chiami negro? E con gli unici due neuroni che mi erano rimasti glielo dissi. "Sono bianco." Non badai a quanto potevo sembrare patetico
e fuori luogo. Lo dissi e basta. Mi chiesi se nel mondo ci fosse qualcuno più stupido di me. Molto improbabile.

Tutta la gente lì presente si girò a guardarci. I bambini spalancarono la bocca, proprio come avevo fatto io da piccolo quando avevo scoperto che in realtà gli attori che morivano nei film non morivano per davvero. Ed io pensai: che stracazzo guardate?

"Che cosa?" chiese il pelato. Mi domandai dove avessi trovato tutto quel coraggio. E soprattutto, perché cazzo avevo così tanta voglia di morire quella mattina. Ma non mi tirai indietro, ormai avevo iniziato a fare una cazzata, e dovevo finirla a tutti i costi, da bravo coglione che ero.

"Sono bianco. Non capisco perché voi neri chiamate tutti negri," ripetei , convintissimo che sarebbe andata a finire molto male, ma ormai avevo iniziato. "Mi stai insultando, per caso?" Era permaloso, il ragazzo. Io stavo constatando una cosa ovvia, quello si arrabbiava.

Alzai le mani in segno di pace, come se avessi una pistola puntata al petto, anche se probabilmente da lì a poco me la sarei ritrovata davvero, una pistola puntata contro.

"La mia è una domanda come le altre." Il ragazzo con le treccine fece qualche passo, ma dalla sua espressione sembrava essere più sorpreso che arrabbiato. Sean continuava a tenere lo sguardo basso.

"Come ti chiami, negro?" chiese il ragazzo con le treccine. Rimasi stupito da quella domanda. Come poteva questa preziosa e pregiata informazione arricchire in qualche mistico modo il corso non infinito della sua vita? In parole povere, che stracazzo gliene fregava?

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