Capitolo 5

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Dan masticò anche l'ultimo boccone del suo cornetto alla crema e sorrise, soddisfatto di essere finalmente sazio.

La ragazza, invece, continuò a fissare il suo, ancora intatto, senza nemmeno rendersene conto. La sua mente era persa dietro alle riflessioni sull'incubo avuto quella notte. Da molti mesi, ormai, non riusciva più ad addormentarsi la sera, senza la consapevolezza che si sarebbe svegliata nel pieno della notte, urlando per ciò che aveva visto. Quella volta, però, era rimasta particolarmente scossa da quell'immenso prato di margherite in cui si ritrovava a correre, in cerca disperata di acqua. Non conosceva quel luogo e le incuteva un incredibile senso di ansia, che aumentò all'improvvisa vista di un pozzo, non molto distante da dove si trovava. Sapeva cosa ci fosse dentro e, a quel pensiero, sentì il cuore arrestarsi ma non riuscì ad impedire ai suoi piedi di trascinarla proprio lì. Le sue dita strinsero la corda ruvida e fredda del secchio del pozzo e iniziarono a tirarlo verso di lei. Un odore molto simile a quello della ruggine giunse alle sue narici e Jackie contorse il naso dal disgusto. «No, basta!» gridò a se stessa, sperando che bastasse a fermarsi, ma il secchio giunse fino al bordo del pozzo, mostrandole l'orribile visione di sangue denso e scuro. Solo a quel punto riuscì a riprendere possesso del suo corpo e lasciò andare la corda, facendo ripiombare il secchio nel profondo pozzo e provocando l'eco di un grido che si unì a quello di Jackie, fino a quando non si svegliò, sulle coperte del letto bagnate di sudore.

«Ti prometto che stasera mangeremo qualcosa di decente.» promise Dan, riscuotendo Jackie dai suoi pensieri. La ragazza annuì debolmente e spinse il proprio cornetto verso il padre, incitandolo a mangiare pure quello. Dan protestò con poca convinzione, per poi divorarlo in pochi istanti, vedendo il sorriso stanco della ragazza. Jackie non aveva fame, nonostante non mangiasse da molte ore: quell'incubo era stato così vivido che ancora le sembrava di sentire l'odore intenso del sangue e, anche volendo, non avrebbe potuto mandare giù nulla senza il rischio di vomitarlo subito.

Notando il padre alzarsi, Jackie lo seguì e uscirono dal bar, che non era molto distante dalla sua nuova scuola, ritrovandosi sotto il sole cocente. Jacqueline si pentì di aver indossato quella maglietta a maniche lunghe ma sapeva anche che non avrebbe potuto fare altrimenti. Di certo non sarebbe passata inosservata con quella addosso, ma avrebbe sempre potuto giustificarsi dicendo di aver lasciato i vestiti estivi a Londra, il che era vero. Come avrebbe invece potuto spiegare tutti quei segni sul suo corpo, se avesse indossato qualcosa a maniche corte? Riusciva difficilmente a spiegare a se stessa il perché di tutto quel dolore provato, trovandosi in quella terribile fase in cui un incubo è appena finito e, ripensando all'accaduto, ci si chiede se non sia stato tutto un frutto della propria immaginazione. I suoi ricordi erano avvolti da una patina che li rendeva opachi e, solo leggendo le pagine del suo diario, riusciva a liberarli e a renderli molto più chiari e lucidi, desiderando però di non averlo mai fatto. Capiva di non essere pazza e riusciva a giustificare il terrore che provava per ogni singola cosa, ma era comunque una situazione insostenibile.

Senza rendersene conto, Jackie si ritrovò di fronte alla sua nuova scuola, ma non si pentì di non aver memorizzato la strada dal bar all'edificio, sapendo che Dan non le avrebbe mai permesso di tornarci da sola per fare colazione, se per caso non fosse riuscita a mangiare qualcosa a casa. Suo padre le avrebbe vietato molte cose, ma non le importava: lei stessa aveva il terrore di ritrovarsi da sola in mezzo alla gente, soprattutto in una città sconosciuta.

Il liceo era circondato da un enorme parcheggio, pieno di auto, motorini e ragazzi intenti a parlare fra di loro, felici di rivedersi dopo le vacanze. Dan propose di entrare subito per chiedere informazioni sui corsi che Jackie avrebbe seguito, ma lo convinse ad aspettare, non volendo dare troppo nell'occhio dal momento che la prima campanella non era ancora suonata.

«Cosa devo rispondere se mi chiedono perché ci siamo trasferiti?» chiese, sperando che l'attesa potesse risultare meno interminabile, parlando di qualsiasi cosa.

«Potresti dire che sono stato trasferito qui per lavoro e che hai voluto seguirmi per vedere l'Australia.» propose e Jackie annuì. In fondo, sapeva che a nessuno sarebbe davvero importato perché lei si trovasse lì. Jacqueline sarebbe solo stata la ragazza con lo sguardo perso nel vuoto, proprio come lo era diventata gli ultimi mesi a Londra, e anche quella strana, indossando magliette a maniche lunghe pure con il caldo.

Il suono della campanella giunse squillante dall'interno del liceo e un mormorio di disapprovazione si diffuse fra gli studenti che, contrariati, iniziarono ad entrare nell'edificio. Jackie prese un respiro profondo e seguì la massa di ragazzi, sfiorando con le dita i suoi documenti nella tasca dei jeans, per cercare conforto, e sperando che quel primo giorno non fosse terribile come si aspettava.

Daisy || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora