Capitolo 8

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Quando suonò la campanella alla fine della quinta ora, Jackie si alzò in fretta dalla sedia, non potendo sopportare un solo minuto di più la voce mascolina della sua nuova professoressa di biologia, la Jenks. Era una donna bassina e grassottella, probabilmente prossima alla pensione, e non si faceva alcuno scrupolo nel riversare le proprie frustrazioni sugli alunni.

Jackie aveva pensato, dopotutto, che quel primo giorno non fosse poi così terribile: i suoi nuovi compagni dei vari corsi erano simpatici e disponibili, forse solo con qualche eccezione, si erano proposti per mostrarle la scuola e l'avevano fatta sentire più sicura, quasi. Era ovviamente impossibile sperare che la sensazione di terrore e pericolo abbandonasse il suo corpo anche solo per poche ore, ma di certo non si aspettava che quella donna così piccola potesse racchiudere tanto odio e farle cambiare idea tanto facilmente su quella giornata, purtroppo non ancora conclusa. Aveva terrorizzato tutti, annunciando l'imminente test di ingresso che avrebbero svolto la prossima lezione, ma con Jacqueline era stata proprio cattiva. Innanzitutto aveva riso di gusto al suo tentennamento nel rispondere durante l'appello, per poi travolgerla con una decina di domande su mitosi e meiosi alle quali lei non aveva saputo rispondere, dato che a Londra non era stata molto attenta nell'ultimo periodo, a causa di tutto quello che le era passato per la testa. «Non lo so,» si era limitata a rispondere, scatenando un'altra risata della professoressa. I suoi compagni di corso erano rimasti in silenzio, con espressioni corrucciate, ma lei si era sentita umiliata comunque, quasi come se pure tutti i ragazzi si fossero aggregati al divertimento della donna.

«Cambio difficilmente idea su uno studente, Smith,» aveva detto poi con sarcasmo, distogliendo finalmente lo sguardo da lei e avvertendola del fatto che le avrebbe reso quell'anno impossibile, visto che non aveva saputo rispondere con prontezza alle sue domande. Jacqueline aveva sospirato, sentendo le lacrime pungerle gli occhi, e aveva guardato altrove, chiedendosi perché fosse diventato così facile per lei piangere: fino a qualche tempo prima si sarebbe alzata dalla sedia e le avrebbe puntato il dito contro, gridandole addosso che non poteva di certo pretendere che ricordasse ogni minima cosa del programma di biologia, per poi assicurarla del fatto che avrebbe anche potuto spedirla dritta dal preside, di certo non le importava nulla. Non ci era riuscita, però. Sapeva che ogni tentativo di parlare l'avrebbe tradita, visto che sarebbe scoppiata in lacrime da un momento all'altro, se non si fosse calmata del tutto.

Aveva poi guardato distrattamente intorno a lei, notando che quasi tutti evitavano gli occhi grigi della professoressa, sperando di sicuro di non essere il prossimo bersaglio della donna. Solo il ragazzo biondo del suo stesso corso di storia aveva prestato attenzione a Jackie, osservando i suoi occhi lucidi, ma aveva poi chiesto di andare in bagno, interrompendo ogni contatto visivo con Jacqueline.

La ragazza scosse la testa, sperando di dimenticare presto quella brutta esperienza, e non aspettò un solo secondo di più per lasciare l'aula e raggiungere la palestra, dove l'attendeva l'ultima ora di quella giornata. Camminò svelta per non incontrare nessuno, sicura di avere ormai tutta la matita sciolta sulle gote, e non si accorse di essere arrivata a destinazione fino a quando non evitò per un pelo di sbattere la fronte contro la porta di vetro della palestra. Si asciugò in fretta le lacrime, cercando anche di pulire al meglio i residui neri di matita, ed entrò nella palestra della scuola. Era una stanza enorme, con delle ampie vetrate al posto della parete di fronte a quella da dove era entrata e due canestri sugli altri due lati. A metà del campo verde vi era la rete da pallavolo, mentre vicino a uno dei canestri c'erano degli enormi materassi blu, occupati da alcuni alunni sdraiati in posizioni di assoluto relax. Non vi era traccia di palloni o ragazzi che svolgessero esercizi, quindi Jackie pensò di avere sbagliato classe, per poi ricordarsi della rete e dei canestri.

«Ehi, Daisy!» sentì il "suo" nome e si girò verso il ragazzo di cui pensò di ricordare il nome: Michael. Era seduto alla cattedra insieme ad alcune ragazze del corso di storia, mentre Calum era in piedi, accanto alla sedia su cui si trovava un uomo sui cinquant'anni dai capelli radi e bianchi, la faccia rossa e simpatica. A giudicare dalla tuta che indossava doveva essere il professore, ma era possibile che gli alunni fossero comodamente sdraiati o seduti in sua presenza?

Daisy || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora