Nel silenzio del tramonto si sentivano i primi bubbolii dei gufi che sgranchivano le ali nell'aria fresca. E gli zoccoli di un cavallo contro il morbido sottobosco. Non ci volle molto per scorgere l'animale: aveva un meraviglioso manto bianco che risaltava anche nella penombra crescente. Quando fu abbastanza vicino gli fece un cenno: "Rimani pure con noi, la notte è pericolosa." Loko gli sussurrò piccato all'orecchio: "Non abbiamo abbastanza provviste per un altro uomo!" Lo allontanò con un gesto tranquillo. Il cavaliere li osservò da sotto il cappuccio per un lungo istante, per poi fermare l'animale. Smontò e si avvicinò, legando le redini ad un ramo vicino. Alla sella erano legate, oltre ad un arco e ad una faretra, varie borse e bisacce: slacciò una di esse e la posò delicatamente vicino al fuoco: "Non è da me approfittare dell'ospitalità altrui." Si era rivolto a Loko, la voce roca di chi non è abituato a parlare. Dal sacco si percepiva l'aromatico odore del formaggio stagionato e di carne sotto sale. Aprì titubante il sacco mentre lo sconosciuto rovistava nei bagagli: era effettivamente pieno di cibo come era sembrato al suo naso. L'avventuriero aveva recuperato anche delle uova e si era seduto. I vestiti Hylia che portava erano usurati. "Sei in viaggio da molto, eh?" Si morse appena il labbro superiore: "Diciamo di sì." Le sue dita ruppero agilmente le uova sulla padella ardente che gli aveva avvicinato. "Noi stiamo andando verso il dominio degli Zora: potremo tornare a vendere lì le nostre merci, ora che pare che la pioggia sia cessata." "L'ho sentito dire, sì." Aveva abbassato il cappuccio, i lunghi e arruffati capelli biondi che cadevano lungo il collo. "Viaggi da solo? Dove sei diretto?" Il silenzio del cavaliere venne coperto dallo sfrigolare del cibo e dallo scoppiettio del falò. "Barin, sei il solito impiccione." "Non ha fatto nulla di male, davvero. Sto andando verso il villaggio di Finterra." "Ah, siamo stati lì varie volte! Un luogo davvero sereno, nonostante tutto." Il cavaliere accettò la fetta di pane e formaggio che Loko gli porse. L'impasto grossolano si univa al formaggio e gli impastava gradevolmente la lingua. "Sei molto giovane, ragazzo. Non hai paura a viaggiare da solo con tutti i mostri che circolano?" "So difendermi e sono abituato ad essere solo quando viaggio." "Beato te, io senza questo burbero brontolone non saprei proprio come passare il tempo!" "Sembri davvero ben equipaggiato!" Loko aveva puntato una delle dita callose verso l'elsa della spada che aveva posato al proprio fianco: "È la prima volta che vedo un lavoro come quello per una spada. Dove l'hai trovata?" "Nella mia famiglia siamo sempre stati spadaccini e questa era un cimelio di famiglia." "I tuoi parenti allora avranno assistito alla Calamità, mi dispiace." Un'ombra velò gli occhi azzurri del ragazzo. Il boccone successivo fu come un macigno. "Scusami, non volevo farti ricordare nulla di spiacevole." Si asciugò gli occhi: "Non è nulla: molti di noi hanno perso qualcuno in quel disastro." La presa di Barin sulla sua spalla era salda ma paterna. Il viso dell'uomo esprimeva la rassicurante promessa di un abbraccio in caso di lacrime. "Ho sentito che gli altri Colossi oltre Vah Rutah si sono calmati: forse le cose miglioreranno." "Rispetto a ciò che è successo cento anni fa sarebbe difficile il contrario, ragazzo." Strinse piano un pugno: "Molti combatterono e perdettero la vita. Anche i Campioni si sono sacrificati." "E nonostante questo ogni mese la luna diventa rossa." "Come vi permettete di parlare così? Erano praticamente soli, i Guardiani e i Colossi in preda alla furia della Calamità. E nonostante questo i loro spiriti hanno continuato a lottare anche dopo la sconfitta, per impedire la totale apocalisse, e continueranno fino a quando non tornerà la pace." Loko strabuzzò gli occhi: "Cosa ne sai, ragazzino? Parli come se fossi stato lì." "Sono stato lì." Prese la spada e la sguainò. La lama affilata sembrava emettere un lieve bagliore. Sul piatto, vicino all'elsa, era inciso il simbolo sacro della Triforza. "Mi dispiace aver lasciato la mia adorata Hyrule e le sue genti a soffrire per tutto questo tempo. Mi sono risvegliato senza ricordi, solo con una voce che mi chiamava. Ho passato mesi a cercare i luoghi dei miei ricordi, perché non sapevo cosa fosse successo o chi fossi. Tutto ciò che mi avevano detto è che avrei dovuto fermare tutto questo. E così ho fatto. Ho calmato i Colossi mentre riottenevo la mia memoria, piangendo ora i lutti di un secolo fa. Ho conosciuto tante persone, ho visto una Hyrule distrutta ma ancora viva." "Fermo, fermo! Ti crediamo, ragazzo: la Spada Suprema è già una prova più che sufficiente." "N-non è per questo." L'abbraccio lo avvolse: "Non oso nemmeno immaginare come sia stato. Non angustiarti, ora: abbiamo del buon cibo e spero troverai la nostra compagnia quanto meno piacevole per questa sera." Il ragazzo strofinò appena il viso contro la spalla di Barin. "Come ti chiami, ragazzo?" "Link."
Il cielo stava volgendo verso un blu opaco quando si alzò silenziosamente dal giaciglio. Il fuoco era ridotto a poche braci. I due mercanti respiravano profondamente, Loko russava leggermente tra i baffoni castani. Raggiunse il destriero e gli porse una carota dalla bisaccia. "Meglio andare." bisbigliò, mentre lasciava delle carezze sul muso dell'animale. Gli montò in groppa e si avviò lungo il sentiero, al passo. Poteva esserci ancora qualche stalboblin nei paraggi ma presto il sole avrebbe strappato la possibilità di rinascere ai servi di Ganon. Ripensò a quella notte. Sicuramente gli sarebbe piaciuto rimanere e viaggiare con loro, per le stesse strade durante tutto il corso della propria vita. Tante altre volte aveva desiderato vivere come un ragazzo qualunque. Avrebbe vissuto a Finterra, dove avrebbe coltivato un orticello nel giardino della propria casa. I ritmi della natura sarebbero stati i suoi, con la calma dei germogli e il canto dei pettirossi e degli usignoli. Avrebbe conosciuto una ragazza e l'avrebbe amata, avrebbe costruito una famiglia con lei, osservando un tramonto dopo l'altro. Oppure avrebbe potuto essere un cantore vagabondo: un po' rozzo e inesperto, forse, ma con il fascino dell'errante che vede e sente tante storie, le raccoglie nel proprio intimo e le porge ad altri come fossero perle. Avrebbe potuto diventare un cercatore di tesori, esplorando i luoghi più reconditi del deserto Gerudo o delle montagne innevate di Hebra. Avrebbe potuto vivere di pesca nel villaggi sul mare, lasciando che il sole gli rendesse la pelle ambrata e che le maree dettassero i ritmi delle sue giornate. La Spada Suprema gli premeva contro la schiena, ricordandogli che erano solo ormai fugaci fantasie, sogni ad occhi aperti che gli avrebbero avvelenato il cuore e l'animo. Anche prima aveva desiderato di fuggire? Dovette ammettere di sì. Aveva sperato innumerevoli volte in una svolta del destino. Però poi si era sempre trattenuto. Il coraggio di suo padre, che aveva dato la vita per salvare una persona. I suoi compagni, che adesso aspettavano con i loro Colossi il momento decisivo, ancora ad osservare Hyrule quando la Dea avrebbe dovuto accoglierli tra le sue amorevoli braccia tempo prima. Zelda, che aveva lasciato in preda ad un'illusione terribile e che stava soffrendo da troppo. La sua memoria era come un arazzo stracciato. I brandelli erano stati affidati ai quattro venti e quando li ritrovava li scopriva diversi: rovinati dalle intemperie, con il ricamo parzialmente disfatto e i bordi sfilacciati. Molti erano distrutti, persi per sempre, ma ne aveva raccolti abbastanza da poter intuire l'antico disegno. Chiuse gli occhi lucidi e lanciò il cavallo al galoppo. Il vento asciugò le lacrime in un istante.
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Two sides of the same coin
FanficFanfiction su The Legend Of Zelda Breath Of The Wild Zelda non vuole che Link la segua. Lui è il simbolo del loro destino intrecciato. Lui è il cavaliere che impugna la spada che esorcizza il male, lei la principessina incapace e viziata. Link vuol...