Capitolo 14

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Kenjirou si svegliò con il rumore del motore di una macchina nelle orecchie. Socchiuse gli occhi e si parò con la mano dai raggi del sole che gli colpirono gli occhi. Sbatté più volte le palpebre e quando sentì di essersi abituato alla nuova luminosità si guardò intorno. Erano ancora a bordo dell'auto e stavano costeggiando il mare.

Notò con sorpresa che il vetro che lo separava dal guidatore era abbassato, quindi si sporse in avanti e afferrò il sedile di fronte al suo per osservar meglio il paesaggio. Erano su una stradina mal asfaltata e la stavano percorrendo abbastanza velocemente da superare il limite di velocità. Doveva essere in disuso da anni perché era piena di buche e non si vedeva anima morta.

L'uomo alla guida indicò con il pollice dietro di sé e il castano notò in quel momento il sacchetto posato di fianco a lui, poi ci frugò dentro incuriosito. Conteneva una ciambella frasca e un succo di frutta. Si tornò ad appoggiare al sedile e sgranocchiò in silenzio la colazione. L'orologio sopra al cambio segnava le dieci di mattina, quindi doveva aver dormito più del previsto.

Lasciarono la stradina una buona mezz'ora dopo e imboccarono una via più larga che s'inoltrava all'interno di un bosco. Continuarono a viaggiare per un altro buon quarto d'ora e alla fine si lasciarono alle spalle anche la foresta per entrare in un piccolo centro abitato completamente abbandonato.

«Dove siamo?» mormorò Kenjirou, guardando le case per metà crollate e dai vetri spaccati. Alcune porte erano blindate e l'edera e le piante avevano ricoperto la maggior parte dei muri. L'uomo non rispose e Kenjirou non se ne sorprese.

La macchina imboccò una via laterale piena di villette in stile occidentale e si fermò di fronte ad una specifica abitazione. Kenjirou non capì cos'avesse di diverso dalle altre, ma lo seguì ugualmente all'interno del giardino quando gli aprì la portiera.

I muri erano bianchi e l'intonaco scrostato e la maggior parte delle finestre erano sbarrate da assi di legno. L'uomo aprì la porta di legno con una spallata e quello scivolò cigolando sui cardini fino a quando non fu completamente aperta. Kenjirou lo seguì all'interno e osservò il salotto mezzo distrutto. La maggior parte dei mobili erano a terra in pezzi e la luce del sole filtrava attraverso i pezzi di legno affissi all'esterno, illuminando quanto bastava per non inciampare nelle cianfrusaglie a terra.

L'uomo chiuse la porta all'improvviso e Kenjirou gli lanciò un'occhiata, poi, all'improvviso, sentì la voce dell'uomo con cui aveva parlato al telefono. «Vieni avanti.»

Il castano si voltò di scatto e lo vide seduto di spalle sulla poltrona posta dinanzi un camino spento, dall'altra parte della stanza. Si avvicinò a piccoli passi e superò il mobile, fermandosi di fronte all'uomo. Doveva avere sulla settantina d'anni e di certo lo superava di una buona ventina di centimetri d'altezza. Sotto l'elegante completo bianco che indossava si intravedeva ancora l'ombra di quelli che un tempo dovevano esser stati muscoli ma che di certo non venivano allenati da anni. In mano aveva una tazza di thè. Quando alzò lo sguardo su di lui, un brivido attraversò la colonna vertebrale del castano nell'incrociare quel paio di occhi color ghiaccio. L'uomo lo scrutò con sguardo calcolatore e gli rivolse un sorriso freddo e manipolatore, poi gli indicò la poltrona di fianco.

«Siediti pure. Abbiamo molto di cui parlare.» Shirabu aprì la bocca per ribattere, ma l'uomo continuò prima che potesse dire qualcosa. «Non è una richiesta.»

Si affrettò a sedersi. Lanciò un'occhiata dietro di sé e incrociò gli occhi dell'uomo che lo aveva scortato fin lì.

«Allora,» il vecchio richiamò la sua attenzione. «hai fatto un buon viaggio?»

Il più basso annuì, poi domandò cautamente. «Perché sono qui?»

L'uomo gli lanciò un'occhiata con la coda dell'occhio e tornò a portare la propria attenzione sulla tazza, sorseggiandone il contenuto. «Sono io che ho fatto rapire i tuoi figli.»

Per un attimo tutti i muscoli del più piccolo si tesero e rimase in attesa, come se da un momento all'altro l'uomo potesse schioccare le dita e far portare i cadaveri dei due bambini lì. Tutto quello che l'altro fece, però, fu domandare: «Sai perché?»

Kenjirou scosse lentamente la testa, i sensi all'erta.

«Quando ero giovane ero un bel ragazzo e avevo ottimi voti a scuola, come te.» Shirabu non si sorprese nel constatare che avevano accesso ai suoi dati scolastici. «C'era questa ragazza che per quanto cercassi di corteggiare continuava a respingermi. Alla fine ci siamo sposati dopo anni e il nostro primo figlio era un ragazzo.»

Si voltò verso il castano e lo fissò negli occhi. «Aveva la tua età quando è morto, ucciso dai miei nemici.»

Kenjirou lasciò andare un respiro che non sapeva di trattenere. «Nemici?»

«Gli altri capobanda della mafia.» rispose quello e Shirabu si sentì svenire. Quell'uomo era un capo mafioso? Allora che possibilità avevano loro di saltarci fuori? «In ogni caso, sono tutti morti ora. Qualche anno dopo ho avuto la mia seconda figlia, ma sfortunatamente sua madre è morta durante il parto. Penso che tu possa comprendere appieno il dolore di perdere un figlio e successivamente colui che si ama, non è vero?»

Kenjirou non rispose e attese che continuasse. «Mia figlia è la luce dei miei occhi, naturalmente. È una ragazza così bella ed intelligente che è difficile trovare un modo per impedirle qualcosa. Quest'anno diventerà maggiorenne e vuole un regalo molto speciale. Che motivo avrei, quindi, di negarle la possibilità di amare ed essere amata da colui che desidera più di chiunque altro?»

Il cuore del castano accelerò, intuendo dove volesse andare a parare quell'uomo.

«L'unico problema della questione, purtroppo,» il vecchio si voltò verso Kenjirou e lo fissò negli occhi. «siete tu, la sua anima gemella, e i vostri figli.»

Si fissarono per qualche secondo, entrambi in attesa che l'altro commettesse un passo falso, distogliesse lo sguardo, sbattesse una volta di troppo le palpebre. All'improvviso, poi, l'uomo si alzò e si lisciò le pieghe della giacca. «Seguimi. Voglio che tu veda una cosa.»

Il castano si voltò e lo osservò dirigersi verso una libreria. Afferrò uno specifico volume e lo tirò. Subito, il mobile incominciò a scivolare all'interno della parete, rivelando una scalinata bianca illuminata da lampade a neon che scendeva nelle profondità della terra. L'uomo lo guardò.

«Forza, non aver paura. Ti sto portando da loro. Non sei eccitato alla prospettiva di rivederli?» poi iniziò a scendere.

Le scale conducevano ad una lunga rete di corridoi bianchi dentro al quale di muovevano scienziati e uomini armati diretti verso le proprie postazioni di lavoro. Kenjirou si ritrovò a pensare che quel posto somigliasse ad una vera e propria base segreta e cercò di non focalizzare i propri pensieri su ciò che di lì a poche ore sarebbe successo.

Si fermarono di fronte ad una porta chiusa e l'uomo – Shirabu aveva scoperto che si chiamava Shibuzawa quando una delle donne lo aveva salutato – lasciò che l'autista che aveva accompagnato lì Kenjirou la aprisse. All'interno non c'era nulla, se non un vetro oltre il quale, stesi su due letti e attaccati a varie flebo, con un monitor cardiaco a registrare i loro segni vitali, c'erano Yukine e Fuyuki.

Kenjirou sgranò gli occhi e si avvicinò alla superficie trasparente, posandoci sopra le mani e sentendo le labbra tremare. Ricacciò indietro le lacrime e chiuse gli occhi, posando la fronte contro il vetro e reprimendo un singhiozzo. Loro erano lì ed erano ancora vivi.

Shibuzawa posò le mani sulle sue spalle e osservò i due bambini, mormorando. «Come vedi, sono perfettamente sani.»

Il castano si passò una mano sugli occhi e alzò lo sguardo, osservando il monitor segnare i battiti regolari dei loro cuori, poi sibilò. «Che cosa vuoi da me?»

«In realtà è molto semplice.» rispose il vecchio. «Hai due alternative. Opzione A: prendi i tuoi figli e sparisci del tutto dalla vita della tua anima gemella. Opzione B: faccio fuori i tuoi amati bambini e successivamente anche te.»

Shibuzawa fece scorrere una mano sul ventre del più piccolo e mormorò. «Pensa bene anche a cosa sarebbe meglio anche per lei. Ti lascio un po' di tempo per pensarci.»

Si allontanò e lasciò la stanza. Il castano strinse gli occhi e scivolò lentamente lungo la parete, lasciandosi sfuggire un singhiozzo e lasciando che le lacrime gli bagnassero le guance.

Macchia Bianca||SemiShiraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora