6. Testimone oculare

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Si asciugò le mani con le salviettine di carta appoggiate sul piano del lavandino, già tutte umidicce, e poi buttò quelle appallottolate nel cestino. Con le mani ancora umide si mise a posto le due ciocche di capelli che aveva lasciato libere da dietro le orecchie a incorniciare il viso. Si era impegnata quella mattina per pettinare i capelli in modo che sembrassero perfettamente tra lo spettinato e l'ordinato. Quell'aspetto sprezzato ma studiato che sapeva andava di moda. Dallo specchio la guardava la stessa persona che era abituata a vedere sempre, tutte le mattine e tutte le sere quando si struccava, ma lo specchio non rifletteva l'interno. Tra le goccioline che costellavano la superficie, la Livia allo specchio era diversa da quella di due settimane prima, irrimediabilmente diversa. Sospirò, rilassò le spalle, e asciugò le ultime tracce di umido dalle mani sui pantaloni e uscì dai bagni. I corridoi della Politecnica la accolsero con il loro familiare brusio e i gruppi di studenti in transito tra un'aula e la biblioteca. L'edificio di ingegneria civile non era grandioso o pomposo come quello di ingegneria militare o meccanica, nonostante fosse una delle facoltà madri dell'università stessa. Ma come le piaceva pensare, ingegneria civile era una facoltà per gente pacifica. Le biblioteche avevano un'intera sezione dedicata a tutte le cianografie e progetti di tutte le più grandi infrastrutture fin dalla fine dell'Impero e dalla rinascita della repubblica fino all'età moderna. La maggior parte erano riproduzioni moderne, lo sapeva, ma era sempre stato il suo angolo di tranquillità. Mediamente passava lì con le i suoi compagni di corso la maggior parte del suo tempo, quello che non passava con Adriano e gli altri. Quel giorno non avrebbe avuto lezione nella zona dove di solito stavano loro, l'edificio centrale, e li aveva avvisati che si sarebbero visti il giorno dopo.

Oltre la zuffa e oltre il corso per l'università Magica e le strane nuovissime conoscenze, aveva molto da studiare. Il secondo anno si stava rivelando davvero intenso e i suoi genitori non sembravano aver preso troppo bene il suo neonato vizio di passare sempre più tempo in università e con i suoi amici. Viveva in un appartamento studentesco, lontano dalla sua famiglia a Bergomum, ma questo non impediva loro di cercare di vivere la loro vita come se lei fosse ancora lì con loro. Sembravano proprio non accettare il fatto che fosse cresciuta e stesse vivendo la propria indipendenza in una grande città. Guardò lo schermo del telefono e vide le quattro notifiche lasciate lì da suo papà. Le avrebbe guardate dopo, quando avrebbe avuto tempo di leggere e rispondere con tranquillità. In quel momento doveva solamente andare a prendere delle fotocopie in biblioteca con una sua compagna di corso, e poi andare a un'ultima ora di lezione. Quella sera Cato aveva invitato tutti nel suo appartamento per passare una serata assieme, niente di particolare, se non fosse che aveva annunciato sul loro gruppo che avrebbe invitato anche le streghe.

Da un lato capiva l'improvviso interesse suo e di Adriano per questa immensa novità nelle loro vite, dall'altra parte però trovava questo interesse totalizzante. Solo perché erano simpatiche e interessanti e nuovi non significava doverle coinvolgere in letteralmente qualsiasi cosa. Non aveva niente contro di loro, anzi le trovava delle brave persone, un po' strane, ma non riusciva a non sentirsi infastidita da tutta questa novità tutta assieme. Le sarebbe piaciuta una giornata normale, come le altre, come erano prima di iniziare a frequentare l'altra università. La diversità attirava, ma il cambio improvviso le faceva paura. Cosa sarebbe successo se improvvisamente si fossero stancati di avere lei come amica? Se avessero iniziato a preferire delle amiche magiche e non la strana Livia, sempre entusiasta, sempre tagliente, sempre sopra le righe. Per fortuna Ottavia emerse dal fiume di studenti, un piccolo porto accogliente con una massa di capelli scuri ricci e una gonna di lana all'ultima moda. "Buongiorno, fiorellino. Che hai? Hai una faccia da funerale. Ti prego non dirmi che hai di nuovo parlato con Augusta perché potrei sbroccare".

"No, no, per carità. Ti ho già detto che non ho la minima intenzione di scriverle".

"Spero bene. Stai meglio da sola, non hai bisogno di una smorfiosa figlia di patrizi".

Cave magamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora