12. Umana avvisata, mezza salvata

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Si stava truccando davanti allo specchio in camera propria quando la porta si aprì di colpo. Mai una volta che sua madre si degnasse anche solo di bussare. "Allora? Perché qui con la porta chiusa?"

"Non volevo sentire la TV" rispose senza distogliere lo sguardo dallo specchio, vedendo però il riflesso di sua madre, incorniciata dagli stipiti bianchi. "Ora che sono cresciuti un po' potresti passare in negozio a farti fare un incantesimo di estensione".

"Te l'ho già detto, mi piacciono così"

"Sembri un uovo, ti stanno male".

"No, mamma. A te non piacciono, mi stanno come mi stanno. E siccome sono sulla mia testa ti assicuro che vanno benissimo così".

"Perché ti stai truccando?"

"Esco stasera".

"È ora di cena. Non vai da nessunissima parte, signorina"

Sempre la solita storia. "Mamma, te l'ho detto stamattina prima di uscire, e tu mi hai detto che andava bene. Ho ventitré anni, non tredici. E poi Janche è sempre fuori, con lei non te la prendi"

"Lei non va in giro conciata come un pagliaccio il giorno di Carnevale e soprattutto non mi risponde in questo modo".

"Mamma, davvero. Non ho voglia di litigare. Se hai cucinato per me lasci le cose in frigorifero e le mangio domani", commentò esausta rinunciando definitivamente al kohl sulle palpebre, visto che le servivano calma e silenzio per evitare di fare un disastro, ma nessuna delle due cose era disponibile al momento. Appoggiò la matita nera sul tavolo stizzita e si girò a guardare sua mamma. I capelli raccolti in una mezza acconciatura fatta di boccoli perfetti, gli occhiali con gli strass agli angoli tenuti troppo vicino alla punta del naso che tanto assomigliava al suo. Assomigliava terribilmente a sua madre, e se ne rendeva conto sempre di più mano a mano che gli anni passavano. La stessa mascella pronunciata, lo stesso naso e le stesse mani allungate. Gli stessi fianchi. O meglio, sarebbero stati gli stessi fianchi se Chanej avesse avuto venti chili di più addosso. "Non guardarmi così, te l'ho detto. Non ho voglia di litigare". La donna la fissava senza muovere un muscolo, come si fissa uno scarafaggio prima di prendere la ciabatta.

"Se non avessi voglia di litigare faresti quello che è utile per la famiglia ogni tanto. Hai già chiesto la tesi?"

"Cosa c'entra adesso la tesi?" chiese esasperata alzandosi e andando a recuperare dall'appendiabiti attaccato ai piedi del letto a castello la borsa di pelle che portava quando non usava la cartella. La superava di una testa e se si fosse avvicinata abbastanza avrebbe potuto godere della visuale perfetta sulle radici dei suoi capelli, tinti da ormai una settimana, con quell'incipit di grigio sul punto di emergere abbastanza da richiedere un'altra passata di colore che nascondesse il passare del tempo. Aveva smesso di essere la figlia preferita quando aveva compiuto tredici anni, secondo i suoi calcoli, quando sua madre aveva capito che probabilmente la figlia preferiva cose diverse e di certo non voleva fare la parrucchiera. Non c'era niente che non andasse nella professione di sua madre, checché ne dicesse lei, Chanej aveva rispetto per il suo essere riuscita ad aprire un negozio e a tenerlo aperto. Era sua madre il problema. Non il suo negozio. O il suo livello di istruzione, nonostante a lei piacesse tanto rinfacciarle di aver deciso di studiare perché si vergognava di lei. Era l'atteggiamento velenoso e perennemente scontento di qualsiasi cosa il mondo attorno a lei decidesse di fare.

"È importante che tu faccia la tesi se ti vuoi laureare in tempo. Non voglio pagare nemmeno un semestre di più"

"Non pagherai un semestre di più, tranquilla". Alzò gli occhi al cielo e la superò infilandosi nella fessura tra sua madre e lo stipite. Percorse il corridoio alla massima velocità, senza correre, per evitare altre domande. Per sua sfortuna sua sorella era seduta sul divano con in mano il telecomando. "Ehi, dove vai? Non ceni?"

Cave magamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora