29. Tè e divani

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Cato, per la prima volta da quando avevano visto le scapre di Apter pendere dal ramo, ebbe modo di rilassarsi, accasciandosi sul sedile dell'auto. Sapeva che probabilmente avrebbero entrambi lasciato macchie di fango, ma non importava. Kizia fissava fuori dal finestrino ma Cato immaginava non stesse davvero vedendo quel che c'era fuori. La macchina fu inglobata da una bolla di silenzio immobile. Solo Alma sembrava superiore alla desolazione del tutto e continuava a muoversi sulla spalla di Kizia, guardando prima da un lato e poi dall'altro, come una mamma che controlla i suoi cuccioli.

Dire che era sconvolto sarebbe stato un eufemismo. Sentiva le giunture fatte di burro e ogni minuto che passava sentiva nuove botte e nuovi lividi fiorirgli sul corpo, tutte cose che prima non aveva sentito con la carica di adrenalina, che ora era scemata del tutto lasciandolo vuoto e indifeso. Non poteva fare a meno di rivedere il castello per bambini lanciato contro di loro come fosse stato fatto di polistirolo, lo vedeva a ripetizione fracassarsi in un mare di schegge e pannelli di plastica a pezzi a pochi metri da loro. Sentiva i denti di Kles affondare nella caviglia. Ora che ci pensava, non aveva urlato. Non ne aveva avuto tempo, non ne aveva avuto la forza, concentrato com'era sull'unica cosa che gli era interessata in quel momento: salvarsi la pelle. Non c'era stato tempo per pensare davvero ad altro. Era stato egoista? O era così che funzionava quando si stava per morire? Si stupì di come non riuscisse a mettere assieme tutti i pezzi di quel che era successo, troppi e troppo fitti per trovare loro il posto giusto.

La sua coscienza si era infilata in un labirinto in cui non era mai entrato prima, se non in rare occasioni buie che aveva preferito seppellire là dentro. Sentì qualcosa di morbido tra le mani e abbassando lo sguardo vide che Alma era scesa dalla spalla di Kizia e ora se ne stava lì, con una zampetta decisa appoggiata alle sue mani, intrecciate e strette tra le ginocchia, in una morsa. Gli saltò sul ginocchio e gli si accoccolò in grembo, con la sua piccola calma, tiepida presenza e i suoi respiri regolari, un piccolo punto di fuga nella prospettiva impazzita di tutto. Rimase lì immobile per tutto il tragitto, e non c'era dubbio che avesse capito la sua tristezza e fosse arrivata lì apposta per arginare la piena di emozioni. Riuscì a respirare, accarezzando lievemente la piccola schiena ossuta della donnola, la quale si lasciò scivolare sotto il suo palmo un po' come fanno i gatti.

I suoi gatti. I suoi gatti lo stavano aspettando a casa, Enea lo stava aspettando a casa. I suoi genitori aspettavano un suo messaggio di buona serata, il mondo aveva continuato il suo corso mentre loro erano chiusi nel parco e rientrare in questo flusso probabilmente non sarebbe stato immediato. Osservò il panorama fuori dal finestrino diventare sempre più familiare, cosa per cui ringraziò il cielo. Il tassametro stava correndo veloce, e anche con la tessera universitaria sarebbe stata una cifra niente male.

Quando il tassista si fermò in posto miracolosamente libero alla fine della via nessuno dei due aprì bocca. Erano solo una cinquantina di metri a dividerli dal portone di casa sua. Cato fu più rapido di Kizia a estrarre la tessera universitaria e il tassista sospirò, passandola sul lettore automatico. Probabilmente non aveva calcolato che potessero essere universitari e quindi pagare meno. Kizia scese ringraziando e augurando una buona serata all'uomo che rispose, prima di far scattare la chiusura delle portiere e andarsene. Cato sentì Alma arrampicarsi sulla sua spalla e poi la vide saltare verso quella di Kizia. Camminarono in silenzio e solo dopo aver raggiunto il suo palazzo e solo dopo essere arrivati davanti alla porta dell'appartamento tirarono entrambi un respiro di sollievo. Era ancora tutto lì.

Cercò le chiavi nella tasca interna del cappotto e aprì. Dall'interno si sentì il rumore di una sedia sfregare contro il pavimento e dei passi sul parquet. Enea li accolse alla porta mezzo in pigiama e Cato poté vedere nei suoi occhi l'intero processo di sorpresa, realizzazione e preoccupazione.

"Olimpo! Cosa vi è successo?!" esclamò sorpreso mentre si faceva da parte per farli entrare. Non fiatò alla presenza di Kizia, anzi si offrì immediatamente di prenderle il cappotto.

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