Capitolo Cinque

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CAPITOLO CINQUE

Il giorno seguente mi svegliai alle otto e mezza. La testa mi doleva tantissimo e lo stesso faceva la schiena, che dopo due notti trascorse sul divano era distrutta. Mi alzai lentamente e mi diressi in cucina, dove c’era un orologio attaccato alla parete, proprio accanto al frigorifero, che segnava le nove meno dieci. Louis non mi aveva svegliato. Nel panico, corsi a farmi una doccia gelida, indossai i primi indumenti che mi capitarono a tiro ed uscii. Quel giorno, infatti, poiché mio nonno aveva da fare, toccava a me aprire la libreria ed ero già in un terribile ritardo.

Faceva davvero freddo. Ricordo persino la sensazione che provai nel camminare di fretta con quel vento pungente che mi soffiava contro; per un attimo mi parve di trovarmi in montagna, quando i miei genitori mi portavano a febbraio a sciare con i cugini. Da piccolo adoravo quel tipo di vacanze, mi piaceva molto stare con la mia famiglia ed i miei parenti e ancor più sciare, che é lo sport più divertente che esista.

Mentre camminavo, mille erano i pensieri che mi affollavano la testa e quasi tutti portavano i nomi di Victoria e di Louis. Che cosa stava succedendo? Fino a un paio di mesi prima la mia vita procedeva fluentemente: avevo i miei spazi, le mie abitudini, i miei vizi ed i miei ritmi; il rapporto con il mio migliore amico filava perfettamente, non c’erano cose da notare o fette di prosciutto sugli occhi ed io, per lui, non ero uno stronzo né, tantomeno, un coglione; l’amore era l’ultimo dei miei pensieri - ammesso che ci pensassi - ed il massimo dei sentimenti che nutrivo erano d’affetto e mai verso una ragazza che frequentavo; all’università non avevo problemi, perché ottenevo sempre il massimo. Insomma, ero felice e mai mi sarei aspettato che le cose potessero finire in quel modo. Nei confronti di Louis mi sentivo terribilmente in colpa e il non sapere per quale motivo ce l’avesse con me mi faceva male. Nella questione fra me e Victoria, invece, ero io, in un certo senso, la parte lesa, perché lei, evitandomi, mi stava facendo impazzire, ciò nonostante, sentivo di essere dalla parte del torto. Nella mia testa regnava il caos, il mio cuore era pesante come un macigno.

Quando giunsi finalmente alla libreria, con almeno venti minuti di ritardo, vi trovai dentro mia madre, che dialogava serenamente con un cliente. L’uomo, un signore sui trenta/trentacinque anni, scambiò con lei un paio di battute e poi se ne andò con in mano una copia di “The Hunger Games” e un sorriso sul volto. Mia madre, allora, ripose i soldi appena guadagnati nel registratore di cassa e poi mi chiese dove fossi stato.

« A casa », risposi subito mettendo le mani avanti. « Mi sono svegliato tardi, avevo molto sonno. »

« Si vede, guarda che faccia che hai! » disse ironicamente lei. « Io intendevo ieri sera. Ci hai fatto preoccupare. »

« Si scusa, avevo spento il telefono all’università e mi sono dimenticato di spegnerlo » le dissi togliendomi il giubbotto.

Lei mi scrutò da capo a piedi, da dietro al bancone, prima di avvicinarsi a me. Mi sistemò un ciuffo di capelli con dolcezza, proprio come faceva quando ero un bambino, e contrasse il volto in una strana smorfia.

« Quella ragazza ti deve aver proprio stregato per ridurti così, non é forse vero? » sospirò accarezzandomi la guancia.

« Chi? » sussultai immediatamente io. Cosa ne sapeva lei di Victoria?

« Quella ragazza della mostra, no? Nonno me ne ha parlato; ha detto che é “graziosa”, il che, conoscendolo, significa che é proprio bella. » Silenzio. « Allora, me ne vuoi parlare? » riprese qualche istante più tardi, sedendosi sul divanetto rosso.

La fissai a lungo, incerto sul da farsi. Parlare con mia madre era stato un’opzione valida all’età di dieci anni, ma a quell’età… chissà cosa avrebbe pensato!

Amami, ti prego {Harry Styles & Larry Stylinson AU}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora