Il Natale, quell'anno, si infiltrò a Londra senza che io me ne accorgessi, tutt'ad un tratto, rendendola ancora più incantevole. All'improvviso, dalla sera alla mattina, le strade furono riempite di luci graziose e decorazioni varie, che scaldavano il cuore ai passanti. I bambini, ai quali finalmente la scuola aveva concesso dei giorni di vacanza, diffondevano gioia ed armonia in ogni dove; dovunque andassi, ne incontravo uno: c'era chi usciva a passeggiare con i genitori, chi andava nelle piazze per incontrare uno dei tanti uomini travestiti da San Nicola, che dietro compenso scattavano con loro delle fotografie, e chi invece giocava nei parchi innevati a palle di neve. Con i loro sorrisi smaglianti e la loro sconfinata tenerezza infondevano - forse involontariamente - allegria a chiunque li osservasse, inviando a costui un messaggio ben preciso: quello di essere più buoni. Solo in quei giorni la città si animava, prendeva vita; fare del bene veniva quasi naturale, così come sorridere ed essere contento. Tutti lo erano: si leggeva nei loro sguardi. I lunghi viali londinesi erano pieni di coppie che camminavano mano nella mano, di nonni con i nipotini, di ragazzi e ragazze che non vedevano l'ora di potersi godere le feste eccetera, eccetera. Il gelo, poi, non faceva altro che sigillare il tutto, conferendo allo scenario un'atmosfera più suggestiva.
Io avrei tanto voluto poter prendere parte a quella gioia collettiva, ma fu il mio cuore tutto frantumato ad impedirmelo. Ero troppo giù di morale per avere la forza di far scivolare in secondo piano i miei sentimenti e godermi il Natale, così il 24 decisi di trascorrere l'intera giornata al fianco di mio nonno, intento ad aiutarlo a fronteggiare l'elevatissimo numero di clienti che all'ultimo istante si erano accorti di dover comperare un altro regalo. Iniziammo a lavorare alle otto e mezza e fino alle sette non avemmo neanche un minuto di pace, tanta era la gente. Un incasso del genere nonno non lo aveva avuto da almeno un paio di anni. Alle sette e mezza gli dissi di incominciare ad avviarsi verso casa dei miei genitori dove a breve mi sarei recato anche io per cenare con la mia famiglia, io nel frattempo avrei controllato qualche scartoffia e rimesso a posto il locale. Ero completamente assorto nei miei pensieri, quando qualcuno bussò alla vetrina; meravigliato e confuso, andai ad aprire la porta d'ingresso, che avevo precedentemente chiuso a chiave. Inizialmente non vidi nessuno, se non un signore vestito di nero poggiato contro la fiancata di una macchina blu che sul momento non riconobbi, poi, però, una vocina dolce richiamò la mia attenzione e, voltatomi, vidi Avery. Indossava un cappotto di alta sartoria ed un paio di ballerine abbinate che la facevano sembrare una bambola, in testa portava un berretto nero con stampato il logo della birra Heineken dal quale spuntavano due lunghe e belle trecce. Se non fosse stato per il berretto - a mio avviso molto azzeccato e carino - non l'avrei riconosciuta.
« Ciao, ti ricordi di me? » esordì. « Sono Ave, quella alla quale ai regalato il libro di Eragon un po' di tempo fa. »
« Certo che mi ricordo », feci affettuosamente io, « Non potrei mai dimenticare una persona tanto gusto. Lo hai letto tutto? »
« Quasi » rispose lei, ricambiando il sorriso che mi aveva fatto spuntare sul volto.
« Sei sola? Mamma e papà lo sanno dove sei? »
« Sono con Roger » disse indicando con l'indice il signore che avevo scorto prima. « E no, i miei non lo sanno. Non vogliono che io venga qui... »
« Ah. E perché non vogliono? »
« Non lo so, ma mamma me lo ha proibito... » rispose lei, la voce dell'innocenza, facendomi più male di quanto potrà mai fare a qualcuno.
« E perché hai disubbidito a tua madre? » le chiesi io, cercando di mascherare il dolore che la piccola mi aveva arrecato involontariamente.
« Perchè volevo darti questo prima di partire » affermò tirando fuori un pacchetto da dentro il suo cappottino.
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Amami, ti prego {Harry Styles & Larry Stylinson AU}
Fanfiction"Non c'è cosa peggiore, pensai, di amare qualcuno che non ricambia il tuo amore. Louis amava me, io amavo Victoria; per Victoria io non ero nessuno. Tutto andava a rotoli, tutto era sbagliato o complicato. Non mi rimaneva che sperare in un miracolo...