La novità si sparse con una velocità degna delle peggiori catastrofi.
Nel giro di istanti, chiunque fosse sul suolo della Terra Sacra aveva appreso della morte di Sant'Ana e aveva visto attivarsi la procedura di emergenza delle Grandi Occasioni.
I marines di grado inferiore incespicavano, fingendo sicurezza e muovendosi in schemi visti quasi sempre solo sulla carta, mentre gli ordini giungevano loro da capitani incerti.
Solo Akainu sembrava sapere chiaramente cosa stesse facendo, quasi il peso di vite e aspettative non gli fosse grave. Prendersi quelle responsabilità, per lui, era naturale fin da molto prima che competessero al suo ruolo.
Non aveva esitato un istante, trovando il cadavere di Ana: aveva radunato tutti i Draghi Celesti sopravvissuti in un accrocchio e li aveva immediatamente avvolti in un guscio di marines. La processione fu spinta con energia e ordine attraverso i passaggi segreti di Marijoa, sebbene ogni tanto qualche soldato dovesse ricordare ai nobili che ogni esitazione, ogni passo falso, sarebbe potuto costare loro la vita.
Sakatsuki vigilava come un falco su di loro, attento a ogni rumore, ricontandoli a ogni metro, febbrile e metodico, come una chioccia coi suoi piccoli.
Giunsero a un enorme portone blindato a due ante, le cui spesse pareti erano interrotte solo dai grossi cilindri e dai loro alloggiamenti. Il piombo verdastro che le componeva sembrava inghiottire la luce tremula che le torce alle pareti proiettavano su di esse. I due marines che aprirono il bunker non provarono nemmeno a nascondere lo sforzo con cui spalancarono l'ingresso, e il cigolio cupo e profondo che li accompagnò mise i brividi a tutti i coloro che avrebbe dovuto proteggere.
I muri spogli e austeri erano spessi più di una spanna e sembravano fatti per resistere a qualsiasi cataclisma potesse riversarsi su quell'angolo di mondo. Una luce fredda e artificiale pendeva dal soffitto e ronzava al di sotto del fitto vociare.
Tremarono, i nobili, ma nessuno di essi volle rimanerne fuori. Si ammassarono verso il fondo della stanza come vacche al macello, alcuni stringendosi gli uni agli altri, un po' per conforto, un po' per il disperato bisogno di conferma di essere ancora vivi. Akainu entrò per ultimo, seguendo una manciata dei suoi uomini più fidati.
"Colpite per uccidere" ordinò metodico a chi restava, mentre la tensione del momento evidenziava le linee sul suo volto "E non tornate finché non avrete la sua testa."
Sigillato il bunker e zittito con un solo sguardo il lamentoso chiacchiericcio di fondo, il Grand'Ammiraglio si inginocchiò dinanzi alla porta al modo dei samurai.
Aveva letto tanto a riguardo, da bambino. Del loro onore, della dedizione totale e cieca ai loro padroni, delle fini onorevoli, da veri eroi, che inseguivano per loro stessi.
Lui aveva scelto di servire la Legge in tempi talmente remoti che faticava a ricordarli. Non rivedeva tanto il suo voto nella massa terrorizzata alle sue spalle: era il primo a sapere che i Draghi e la giustizia c'entravano ben poco gli uni con gli altri. Difenderli era un effetto collaterale.
Ma anche se la sua vita fosse dovuta finire proteggendo quegli smidollati mocciosi, se fosse bastato per mettere un freno alla valanga di errori che rispondeva al nome di Artemis De La Rose, ne sarebbe comunque valsa la pena.
Poco dopo, anche quegli ultimi pensieri si spensero, mentre la sua mente si faceva fortezza e lui si preparava alla guerra di logoramento che sarebbe arrivata."Questa procedura non era nel programma."
Sabo rimasticava quella scusa tra i denti, mentre cercava di tenere il passo con la sua piccola squadra. O meglio, cercava di tenere il passo del povero diavolo a cui aveva rubato l'uniforme qualche giorno prima, all'imbarco, che era un fatto ben diverso. Per sua fortuna, l'improvvisazione era uno dei suoi molti talenti e, da una rapida analisi dei suoi vicini, la procedura incriminata non pareva essere un argomento troppo in voga nemmeno tra i marines.
Fu così che lui e una confusissima coppia di colleghi seguirono gli ordini del loro Capitano e presero, sostanzialmente, a girare a casaccio finché non avessero trovato qualcuno.
Certo, questo cambiava i piani, ma dato che almeno altre duecento squadre stavano facendo il loro stesso lavoro, si disse, la probabilità che qualcuno notasse l'assenza dei suoi compagni era molto bassa.
Stava ragionando su quando potesse essere il momento più opportuno per liberarsi di loro, quando una porta dell'anonimo corridoio che stavano attraversando esplose in una nube di polvere e schegge di legno.
Si sentirono degli spari, delle urla. Quei suoni gli crearono un vuoto nel petto e lo riempirono di adrenalina, riportandolo nel caos della battaglia, nel suo unico, vero ambiente naturale.
Un uomo con la divisa insanguinata corse scompostamente verso il trio pietrificato. Toccò terra un paio di volte, poi afferrò disperatamente il colletto di Sabo, implorando aiuto.
Risuonarono altri tre colpi, due clamorosamente lontani dal loro bersaglio e uno che dilaniò la schiena del poveretto.
L'obiettivo di recuperare Bartholomew, per il giovane rivoluzionario, perse subito di prospettiva. Aveva già teso i muscoli per darsi a una fuga vigliacca quanto colma di buonsenso, quando intercettò il viso dell'aggressore.
Sul volto sfregiato di Artemis, non c'erano tratti che Sabo potesse riconoscere, eppure non ebbe dubbi: le sue dita si plasmarono nella forma dell'artiglio del drago appena vide i due marines pronti a sparare.
Sentì la donna sbottare scocciata: "Quanta lealtà, per i due spicci che vi danno" e lo scrocchiare doloroso di un radio, sotto la presa ferrea della sua stessa mano.
L'urlo lancinante del soldato ferito distrasse l'altro, che spostò lo sguardo dalla linea di tiro pulita che aveva guadagnato sulla Senza Faccia. L'uomo schivò il proiettile di Artemis per pura fortuna, ma non l'assalto del secondo dell'Armata Rivoluzionaria: il palmo guantato del giovane lasciò il braccio che aveva appena spezzato e si parò esattamente al centro del suo campo visivo, saldo in una presa che pareva la morsa di un coccodrillo. Anch'egli urlò quando la cartilagine del naso si frantumò con un doloroso schiocco, accompagnata da un suono simile in corrispondenza degli zigomi.
Nonappena anche il secondo dei due corpi inermi scivolò a terra nello scroscio della sua uniforme, il freddo bacio di una canna di fucile solleticò le frange inferiori della cicatrice di Sabo.
Impietrito da quel contatto, non mosse neppure le pupille per rivolgerle ad Artemis, accontentandosi di vederla nella macchia di colore sformata che si era addensata nell'angolo del suo occhio. Con le mani ancora contratte nella forma del suo letale attacco e lo sguardo riempito per metà dalla bocca dell'arma, sentiva il respiro irregolare di lei far dondolare il punto di contatto del fucile.
"Se credi che vendermi i tuoi compagni ti salverà, non hai capito un cazzo del gioco." gorgogliò la donna, ansimando appena "Verrete tutti all'inferno con me."
"Io, al caldo, sto piuttosto bene" soffiò piano Sabo, restando perfettamente immobile "Ma ricordavo che tu preferissi i climi freddi, Senza Faccia."
Incerto su che reazione lei avrebbe avuto, il giovane si preparò a dissolversi in una nube di fuoco. La volata del fucile risalì piano la texture frastagliata della sua pelle, poi le ciglia e un ciuffo biondo, scostando con un movimento brusco il cappello dei Marines che aveva calato sul volto.
Le rivolse i grandi occhi chiari solo in quel momento, dritto per dritto. Tremavano appena, notò Artemis, ma non certo di paura. Quella che percepiva in Sabo era una riserva di determinazione a cui sperava chiaramente di non dover attingere. Era una preghiera e una minaccia al tempo stesso.
"Ti imploro, dì le parole giuste," le scandiva muto, "o solo uno di noi due potrà andarsene."
"Cosa ci fai qui?" Sibilò Artemis rivolgendogli un cenno col mento, la presa sull'arma che doveva essere rimarcata a forza ogni pochi secondi, come se l'istinto gliela levasse dalle mani.
"Cosa ci fai tu qui" rise nervosamente, nemmeno gli servissero quei convenevoli "Vestita in quel modo e... sai, no? Coperta di sangue."
La donna non gli rispose, abbassò l'arma e lasciò alla sua mente la cortesia di chiudere il cerchio da sé. Annuì solo quando l'espressione di lui si sintonizzò sull'ipotesi giusta: "Sei stata tu."
"Io devo andare, Sabo. Lo capisci, vero?"
"Andare dove?" le chiese, cercando di ridurre la distanza tra loro con la mano tesa "Che hai intenzione di fare?"
"A levarne di mezzo un po'. Vi farebbe comodo, no?"
"Hai delle brutte ferite" notò, tentando di avvicinarsi ancora, cercando di capire come trattenerla senza peggiorare la situazione "Non puoi andare avanti senza prendertene cura, ti uccideranno."
"Credi che non l'abbia previsto?" rise vuota, come se i suoi pensieri si fossero fatti di elio "Almeno qualcuno ne ricaverà qualcosa."
"Ma ti senti?" sbottò lui, mentre la rabbia e la preoccupazione per quelle parole gli macchiavano il volto di un rossore slavato "Qualcuno ne ricaverà qualcosa. E i tuoi, allora? E Law, a lui non ci pensi?"
"Non provarci, Sabo." tuonò Artemis, minacciandolo con la punta dell'indice rivolta al cielo e la faccia adirata a tratti attraversata da lievi spasmi di tristezza "Non mentirmi anche tu. Non me lo merito, da parte tua."
"Mentirti, perché dovrei?" insistette incredulo, chiudendole la mano tra le sue e sentendo lo scricchiolio della pelle sotto i polpastrelli "Su cosa l'avrei fatto?"
"Lo sai." respirò appena, mentre la furia la abbandonava "Law non... Non c'è più un Law a cui pensare."
I pensieri del giovane furono interrotti solo da un'enorme valanga umana lanciata a tutta velocità su di loro. Nonostante il trambusto, riconobbe Ivankov nella stretta attorno al suo torace e nell'aroma persistente e alcolico del suo profumo.
"Vi sembra il posto per una rimpatriata?!" li rimproverò la regina newkama, lanciando entrambi di peso dentro una delle numerose stanze del corridoio e serrando la porta dietro di sé "Siamo nel mezzo di un assedio! Ricomponetevi, tutti e due. E tu, Artemis: si può sapere come ti é saltato in mente di uccidere un Drago Celeste?"
"Emporio Ivankov, proprio tu, come puoi anche solo chiedermelo?" ruggì lei in risposta, con una rabbia che nessuno dei due aveva mai visto "I vostri uomini non sanno forse tutto? Non ti hanno detto che Law - mio figlio, Iva - é morto a centinaia di miglia da me, senza che potessi muovere un dito per impedirlo, solo per un capriccio di Ana?"
"Morto?" Bisbigliò Sabo, sconvolto "No, dev'esserci un errore, ero con lui fino a pochi giorni fa."
"La sua Vivre Card é bruciata," concluse mestamente Artemis, con quel suo fare metodico che, perlomeno, le risparmiava vane speranze e altro dolore "quelle non sbagliano mai."
Nessuno dei due rivoluzionari trovò parole da aggiungere, ancora increduli dinanzi a una serie di eventi che più venivano analizzati, più parevano uno scherzo di pessimo gusto. Solo la regina ebbe il coraggio di sciogliere il suo cordoglio, dopo qualche istante, in un silenzioso abbraccio.
"Mi fa paura, Iva." Le aveva confessato una notte, dopo aver recuperato Law dall'ennesima zuffa "Spero davvero che diventi un medico e gli passi questa dannata storia dei pirati. É un mondo brutto, cazzo, se gli succedesse qualcosa... Io non ce la faccio a perdere anche lui."
"Non immaginavo di aver coinvolto anche voi. Non preoccupatevi, distrarrò io i Marines" li rassicurò Artemis "cercate di andarvene più in fretta che potete."
"E tu?" chiese Sabo, incerto sul voler davvero sapere la risposta a quella domanda.
"Io ho delle cose da finire, ma me la caverò" garantì lei, ancora con quegli occhi vuoti "Farò in modo di aprire la finestra di opportunità che vi serve. Non voltatevi indietro."
"Ma la tua finestra, chi l'aprirà?" Mormorò Ivankov, facendo eco a ciò che si nascondeva tra gli spazi di quella frase.
"Per me non ce ne sarà bisogno" spiegò lei, con quel tono meccanico che non lasciava spazi a errori di interpretazione "Resterò qui. Proteggerò il Time Time e mi assicurerò di tenere i Marines lontani dalla ciurma finché non si sparpaglieranno e spariranno dai radar. Marijoa é l'unico luogo al mondo in cui potrei farlo."
"Sarebbe un ergastolo, Artemis." cercò di farla ragionare la sua vecchia amica.
"Tanto meglio. Più a lungo ci resterò, meno pericoli ci saranno per tutti. Fidati di me, fammi difendere almeno quel poco che resta. Ti prego."
La mano guantata della regina accarezzò piano la metà di viso ancora intatta.
"Non potrei farti tornare nemmeno portandoti via con la forza, vero?" chiese con una lieve rassegnazione, mentre l'altra scuoteva la testa.
"No, temo di no, ma lo aggiungerò alla lista di cose per cui non potrò mai ripagarti" Sorrise debolmente, accarezzando le dita sul suo volto con le proprie "Ora andate, non c'è tempo."
Con un breve cenno del capo, i Rivoluzionari accettarono il desiderio di Artemis. Li osservò raggiungere lentamente la porta del loro rifugio improvvisato, quasi volessero dilatare quell'ultimo istante il più possibile.
Richiusero le ante alle loro spalle, intravedendo le dita di lei sollevate in un ultimo cenno di saluto, poi i loro passi si fecero sempre più veloci, fino a sparire nell'intricata rete di corridoi.
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[One Piece OC] Faceless
FanfictionArtemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo. Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è so...