Parte 18 - Cieca fede

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"Buon pomeriggio Mjosgard" salutò Artemis distrattamente, dando le spalle alla porta per dedicarsi a un'ampia mappa sotto le sue dita. "Tamatoa é appena andata a preparare il té, ho pensato di farne fare una tazza anche per voi. E ho fatto quella passeggiata, ma ho ottenuto solo uno slittamento di 30 minuti sulla tabella di marcia. Per fortuna, li ho già ammortati a 20."
Che non fosse un buon pomeriggio, lo capì dal ritardo della risposta: quando il suo cervello realizzò quei decimi di secondo di troppo, era già tardi.
I polsi e il collo le pesavano, come se i tendini si fossero anchilosati. Poi una zaffata di profumo la investì, insieme a un respiro familiare.
Da soli, ricostruirono una torre di ricordi direttamente dalle sue ceneri. La riportarono in isole lontane, le fecero sentire il tocco ruvido del tulle e quello morbido delle piume: le stesse che ora le solleticavano le braccia, diffondendo orrore ovunque si spingessero i suoi nervi.
"Donquixote sbagliato" cantilenò appena la figura alle sue spalle, tracciando la linea del trapezio con i polpastrelli come fosse fatta di creta. "Ma accetto volentieri l'invito: non credere che io abbia meno voglia di vederti, colombina."
"Come puoi essere qui?" soffiò Artemis, attraverso dei polmoni che non collaboravano. Non poteva essere che un'allucinazione, era la sola spiegazione che riusciva a darsi. Eppure lo sentì così reale, quando si chinò verso il suo orecchio, senza far cedere di un millimetro i fili che le impedivano di reagire.
"Dovresti dirmelo tu, non credi?" Rise sardonico, mentre Artemis notava le dita di lui maneggiare l'Ito-Ito attraverso i suoi nervi. Dita sottili, raffinate, niente a che vedere con il sangue che le macchiava. Dei Donquixote aveva preso solo il meglio, la stessa benedizione che era toccata a Rocinante. Per il marcio, invece, ci aveva pensato da sé.
"Una maniaca del controllo come te non avrà certo lasciato al caso il progetto per la mia deposizione. Scommetto che conosci il piano di Law a menadito, sempre che sia davvero il suo." Bisbigliò sicuro, certo di avere il copione già in mano, le battute apprese. Dio, quante volte l'aveva vista provare? Quante volte le aveva visto costruire il suo personaggio, le sue macchiavelliche trame. Quante volte gliele aveva corrette, prima che le presentasse agli altri, ignaro che tra quegli stessi altri ci fosse anche lui? Con quale faccia tosta pensava di sorprenderlo, dopo tutti quegli anni?
E Artemis lo percepì, attraverso quell'osmosi forzata, inconscia, che l'aveva spinta per anni a leggergli nel pensiero.
"Non lo so" incespicò, pregando invano di essere stata convincente abbastanza.
"Bugiarda, sì che lo sai. Avanti, colombina, cosa c'era a questo punto?" prese a spronarla, come un tutore con un alunno poco ricettivo "Cosa avrebbe potuto spingermi fino a Marijoa?"
Lei aveva quel piano inciso nella memoria, lo ricontrollava ogni notte e ogni giorno. Mai una volta, mai, si era ritrovata a dimenticarne un passaggio.
"La tua rinuncia alla Flotta dei Sette" rispose controvoglia, reggendogli un gioco al quale non voleva più partecipare.
Lui sorrise a quella ammissione.
"Sempre la prima della classe." si congratulò. "Non immagini quanto mi sei mancata."
"Parole audaci, per qualcuno che ha ancora addosso il profumo di un'altra donna." riuscì a comporre lei, tutto d'un fiato, ottenendo solo un'altra, eloquente risata da Doflamingo. Percepì una fitta acuta all'altezza del petto, il cuore agitarsi in una rete e impigliarsi sempre di più tra i suoi fili. Le coronarie, doppiate da una trama impalpabile, riuscivano a stento a compiere il loro dovere.
"Parole audaci, per qualcuno con un battito così elevato" soffiò lui tra i suoi capelli, mentre la sua mano andava a sovrapporsi a quella di Artemis sulla scrivania. Se possibile, le sue pulsazioni aumentarono ancora, tagliandole il fiato. "Ti ho cercata in ogni donna che ho incontrato. La tua arguzia, la tua passione, la tua tenacia. Ma erano tutte pallide ombre, confronto a te."
"Non sarà Viola, vero? Era l'unica che usasse il garofano." riuscì ad azzardare, sarcastica "Non impari mai. Continuerai a portarti serpi in seno finché non ti troverai sgozzato. Se non sarò io, ci penserà qualcun'altra a liberarsi di te."
"Qui ti sbagli, colombina: ho ben conservato la lezione che mi hai lasciato. Separare affari e vita privata è essenziale per un buon equilibrio. È per questo che Violet ha un ruolo tanto limitato. Abbastanza vicina da essere controllata, ma non abbastanza da essere una minaccia. Dividi e conquista, non fosti tu a insegnarcelo? Ma la tua gelosia mi commuove." si avvicinò ulteriormente, abbastanza da percepirne la temperatura corporea, abbastanza da sentire il viso farsi strada tra i capelli per giungere alla pelle morbida del collo. "Potremmo riprovarci, quando questa fastidiosa faccenda di Law sarà finita."
"Non dovresti neppure sapere che esisto." ringhiò Artemis, sollevando la spalla per impedirgli di incunearsi, divertendolo con quel gioco all'inseguimento che suo malgrado aveva allestito.
"Posso rivelarti un mio segreto, se può bilanciare questa disparità." propose, avvolto in una facciata di buone intenzioni. "Per esempio, io non ho affatto rinunciato alla carica. Non lo farei per nulla al mondo, tantomeno per le minacce di quel moccioso. Ho solo fatto in modo di far circolare la notizia. A Law potrei perdonare un simile errore di valutazione, ma mi delude che tu non ci abbia pensato. Parlando di conti sbagliati, tu mi devi ancora un matrimonio, giusto?"
"Non ti devo un solo secondo, dopo quello che mi hai tolto." Ribatté, mentre una serie di spasmi prese ad attraversarle le dita nel disperato tentativo di liberarsi. Gli occhi di lei vagarono febbrilmente sulla superficie del grande tavolo. Cercava qualcosa, qualsiasi cosa potesse liberarla dal peso di quell'ingombrante avvoltoio sulle sue spalle.
"Ti avrei dato il mondo." replicò lui, ora con la voce macchiata di una dolorosa durezza "L'avrei cresciuto come un figlio e, se non credi che l'avrei fatto per mio fratello, sappi che l'avrei fatto per te. Avresti solo dovuto darmi una possibilità."
"Non osare parlare di lui!" Scandì Artemis in cinque colpi di pistola, trovando in quello slancio il coraggio di guardarlo in volto, così orribilmente vicino al suo "Come ti permetti? Credi che avrei mai potuto lasciare il sangue del mio sangue entro il tuo raggio d'azione, fottuto psicopatico?"
A quelle parole, lei avvertì i muscoli di Doflamingo contrarsi tutti d'un colpo, poi la tensione sfociò in una silenziosa risata.
Lei non ne capì la ragione finché non sentì la voce preoccupata di Tamatoa e il tintinnare lieve delle tazze sul suo vassoio.
"Perdonate, signorina. Non era mia intenzione interrompere."
"Non preoccuparti, non hai interrotto nulla." rispose Doflamingo con il suo tipico ghigno dipinto in volto. Lui si chinò appena verso Artemis, in un gesto che avrebbe potuto somigliare a un casto bacio sulla guancia, ma che fu accompagnato da un sussurro in grado di darle i brividi: "Sei stata tu a condannarlo, scegliendo Law anziché la tua Famiglia. Quando avrò la sua testa, farò del mio meglio per fartelo sapere."
Con il respiro completamente azzerato, Artemis sentì il volume di lui allontanarsi, un vago commiato rivolto alla nuova arrivata e, infine, l'ito-ito che le cedeva il controllo dei suoi tendini uno dopo l'altro. Nell'esatto istante in cui riuscì a muoversi, Tamatoa la vide scattare con un urlo disumano e una prontezza fisica assolutamente fuori portata, nonostante l'indebolimento dell'agalmatolite. Si fermò con un braccio a mezz'aria come bloccata nei contorni di un fotogramma. Chiusa nel pugno tremante c'era una stilografica, a pochi millimetri dalla pelle del collo di Doflamingo ormai giunto sull'uscio della biblioteca. Non c'era traccia di raziocinio nei suoi occhi, il suo respiro era un sibilo colmo di rabbia.
"Posa quella penna, Artemis." la invitò lui con fare pacato.
"Dammi una sola ragione per cui non dovrei aprirti la gola qui e ora!" Sbraitò la donna, ancora una volta bloccata dai suoi fili.
"Questi funzionari non sono abituati a una simile violenza, colombina mia. Cosa direbbero alla tua cara madre, vedendoti in questo stato?"
Artemis spostò l'attenzione dal suo obiettivo al resto del corridoio. Da dietro i vetri zigrinati delle porte degli uffici riusciva a scorgere decine di occhi terrorizzati, attratti da quell'orribile incontro con la stessa morbosa curiosità con cui si guardano gli esiti di un incidente stradale, senza poter distogliere lo sguardo.
Lei obbedì: Doflamingo aveva ragione.
Se quegli occhi avessero avuto delle bocche, e se quelle bocche avessero detto ad Ana cosa avevano visto, avrebbe potuto dire addio a quel brandello di libertà.
L'ennesimo sorriso con cui lui constatò quella resa le cavò il cuore dal petto.
"Brava, colombina." lo sentì sussurrare, mentre si allontanava.
L'ito-ito la liberò e, appena vide la sagoma sparire oltre il capo opposto del corridoio, Artemis sentì qualcosa, dentro di sé, spezzarsi.
Quando Tamatoa la raggiunse, la trovò di gesso, con gli occhi vitrei e i denti che mordevano la carne attorno alle unghie fino a farle sanguinare. Era talmente instabile che temeva sarebbe sparita sfiorandola, come una delle illusioni ottiche di cui le aveva parlato.

[One Piece OC] FacelessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora