Tamatoa perse un battito quando, al mattino seguente, trovò la stanza di Artemis assolutamente vuota e il letto ancora integro.
Il suo sguardo corse febbrile al balcone e fu presto seguito dai suoi passi. I tacchi risuonarono rumorosi, mentre attraversava la camera con così tanto slancio che quasi si sentì cadere oltre la balaustra, una volta fuori.
"Buongiorno Tamatoa" la salutò pacata una voce alle sue spalle.
Si voltò con ancora il cuore in gola, sentendo il suo ritmo rallentare e la nebbia dell'ansia dissolversi: la sua protetta era rannicchiata su una sedia del piccolo salotto esterno, già vestita per la giornata. I lunghi capelli corvini le ricadevano addosso quasi fondendosi con la coperta che aveva sulle spalle e le profonde occhiaie erano l'unico punto di colore su un volto molto più grigio del giorno precedente.
"Buongiorno signorina" sospirò, riportando dietro alle orecchie alcune ciocche scure che erano sfuggite dalla elegante coda bassa "Non avete dormito? Se mi aveste chiamata avrei potuto procurarvi della valeriana. O qualcosa di più forte, magari."
"Certo che ho dormito" rispose Artemis con voce stanca, stiracchiandosi appena "Poco e male, ma l'ho fatto."
"Avete dormito qui fuori?" domandò l'altra, chiaramente confusa.
"No, nel letto, ovviamente." ridacchiò la pirata, studiando l'espressione perplessa di lei.
Tamatoa rivolse di nuovo lo sguardo alla stanza, oltre le spalle di Artemis.
"Non avreste dovuto risistemare." dichiarò, quasi risentita "Né avreste dovuto prepararvi da voi: é compito della servitù. Dovete imparare a vivere come i nobili."
L'altra scosse le spalle, tornando a fissare la nebbia che si sollevava dal mare, nella luce pallida del mattino.
"Cosa posso portarvi per colazione, signorina?"
"Non faccio mai colazione" rivelò, alzandosi dalla sedia ma trascinandosi la coperta sulle spalle a mo' di mantello, rientrando. "Sant'Ana mi ha detto che avresti avuto qualcosa per me."
"Certamente" confermò la dama, "é tutto sul tavolino all'ingresso."
Artemis non l'aveva quasi notato. Era più una sorta di piedistallo che un vero e proprio tavolino, tatticamente collocato dietro alla porta della stanza, accanto a una sedia su cui erano adagiati gli abiti con cui era arrivata e pochi dei suoi effetti personali. Sopra di esso, c'era un vassoio argentato, più probabilmente di vero argento, che radunava una copia ripiegata del giornale e una chiave d'ottone.
Artemis controllò rapidamente la data e si strinse il quotidiano al petto, accettando il braccio che la sua aiutante le porgeva."Dobbiamo uscire?" chiese incuriosita la pirata, mentre Tamatoa la guidava verso una delle porte vetrate che conducevano ai giardini. Minuscoli dipinti verdi e bianchi si affacciavano sul telaio chiaro dell'enorme infisso inondato di luce.
"Certamente, la Biblioteca si trova nel castello Pangea." spiegò la donna con il rigore che ormai la distingueva "Ma non dovete preoccuparvi, il collegamento è diretto."
Dopo aver sceso con fatica una manciata di gradini, che ad Artemis parvero molti più di tre, il sentiero in pietrisco conduceva verso un delicato tunnel di rose rampicanti. Fiori grandi come un palmo adornavano i grandi archi in ferro, perdendosi in quel mare di foglie sottili.
Il percorso si apriva in un altro cortile non troppo diverso da quello da cui partiva, con larghe pozze di erba impeccabile separate da sentieri di selciato talmente perfetto che sembrava ognuno di quei ciottoli fosse stato scelto individualmente.
Oltre di esso, il castello Pangea si stagliava in tutta la sua terrificante imponenza. Sembrava troppo ampio per entrare tutto in un singolo sguardo e probabilmente era quello lo scopo con cui era stato progettato: dare a un qualsiasi visitatore la consapevolezza che l'estensione di quell'istituzione non conosceva confini.
Ad Artemis fece uno strano effetto, accedere dal portone principale anzichè da quello riservato agli ospiti. Ebbe quasi l'impressione non fosse lo stesso posto in cui era già stata tante volte, come se si stesse affacciando su di un quadro astratto o una strana dimensione specchio. Dopotutto, non si sarebbe stupita se la tremenda emicrania che le provocava l'agalmatolite stesse giocando brutti scherzi al suo senso della realtà.
La sua guida era premurosa e comprensiva, attendeva i suoi tempi con più pazienza di quanta non riuscisse ad avere lei stessa. Avanzavano come in processione, attirando brevi sguardi dei funzionari attraverso gli usci socchiusi.
All'improvviso, di fronte ad una delle molte porte incontrate sul loro cammino, Artemis sentì i capelli rizzarsi sulla nuca. Si fermò di colpo, come fosse stata attirata dal canto delle sirene.
"Signorina, si sente male?" chiese Tamatoa, mentre lei lasciava lentamente la presa sul suo braccio, avvicinandosi ai battenti come ipnotizzata.
"Che posto é questo?" domandò sottovoce, con un tono grave. La mano di Artemis esitò prima di sfiorare il legno scuro, come se temesse di bruciarsi.
"É la sala del Trono Vuoto, signorina." Rispose, con la sua pragmatica precisione incrinata da quello che alla pirata parve un reverenziale timore.
Artemis aveva letto molto di quell'antico monumento, talmente tanto che sarebbe stata in grado lei stessa di descrivere l'alta seduta e i simboli del Governo Mondiale incisi nell'oro. Due rampe di scale conducevano allo scranno del mondo, di fronte a cui venti re di venti famiglie avevano gettato le armi in nome di un mondo più giusto e mai più devastato da fame, guerra o malattia. Un'utopia che non era mai riuscita a vedere la luce.
"É accessibile?" domandò con voce vuota.
"La porta é sempre aperta" spiegò Tamatoa, senza comprendere a pieno il motivo di quell'accanimento "ma nessuno vi entra mai. É solo una stanza vuota con una grande sedia. Il suo valore é solo simbolico."
Senza neppure ascoltare quelle ultime parole, Artemis ruotò la maniglia ed entrò nel salone deserto, mentre una sensazione indecifrabile le stringeva lo stomaco.
Dava l'idea di un posto sospeso nel tempo, una sorta di non-luogo. La penombra era tagliata solo da lame di luce solare che fendevano attraverso le finestre ai lati del trono. Minuscole particelle di polvere fluttuavano davanti ai suoi occhi, mentre tentava di riconoscere i gradini. Il perfetto, religioso silenzio fu rotto solo quando la pirata riuscì a dare un nome a quello strano sentimento, che risuonò attraverso le colonne scanalate ai lati del corridoio che stava percorrendo: "Trompe-l'œil"
"Come dice, signorina?"
"Me ne ha parlato l'uomo che mi ha cresciuta." Spiegò, mentre la sua voce riverberava nella sala vuota "Si traduce letteralmente come inganna l'occhio, è una tecnica pittorica."
Tamatoa guardò confusa le pareti immacolate della stanza, senza superare l'uscio "Temo di non comprendervi."
"Riguarda il dipingere su due dimensioni qualcosa di talmente realistico che pare si trovi su tre. È una simulazione, un effetto ottico. In alcune ville antiche veniva usato per dare alle stanze un aspetto più ampio. Ma il trompe-l'oeil funziona solo da una certa distanza. Da vicino, tutto diventa confuso e l'inganno cade."
La dama faticava a identificare quello che vedeva la sua protetta. Era come fosse in grado di leggere una lingua straniera o di vedere attraverso un filtro. "Ma, Signorina, qui dentro non c'è nulla di simile." azzardò, quasi sovrappensiero.
Artemis fece vagare un'ultima volta lo sguardo sulla stanza, camminando all'indietro verso l'uscita fino a circa metà strada, come se temesse che un nemico invisibile dovesse piombare dall'alto. Non riusciva a darsi una spiegazione, ma quel terribile senso di inganno non si spense del tutto. "Lo so" mormorò, chiudendosi la porta alle spalle "Eppure ti assicuro che la sensazione è la stessa."
STAI LEGGENDO
[One Piece OC] Faceless
FanfictionArtemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo. Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è so...