17. Di Bambole E Poesie

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Sebastiano si stava vestendo per uscire.
Era sabato pomeriggio e, essendo dicembre, i bambini del catechismo iniziavano a darsi da fare per la tradizionale recita natalizia che veniva fatta ogni anno.
Chiara gli aveva chiesto di andare in parrocchia per aiutarla ad allestire le scenografie e lui -di malavoglia- aveva accettato.

In fondo sarebbe stato un modo come un altro per passare qualche ora insieme, dato che ultimamente riuscivano raramente a vedersi.

Il suo cellulare iniziò a squillare, e lui rimase sorpreso quando vide il nome di Léon lampeggiare sullo schermo.

Nonostante il loro rapporto fosse cambiato rispetto agli inizi e ora si potessero definire quasi amici, non era mai successo che il francese gli telefonasse.

Afferrò il cellulare e rispose.
«Ehi, dimmi...»

«Sebastiano, dovrei chiederti un enorme favore.»

Rimase piuttosto colpito dal fatto che il biondo lo avesse chiamato col suo vero nome, di solito si divertiva a storpiarlo, o a chiamarlo con degli stupidi nomignoli.

«Certo, se posso...»

«Puoi venire qui e stare un po' con Isabelle? Devo assolutamente uscire, non so per quanto di preciso, e mia zia non è a casa.»

Seba si meravigliò di quella richiesta: non poteva lasciare sua sorella dalla nonna? O chiamare Giada? Anche Alex lo avrebbe aiutato, ne era certo.

In più cos'era quel tono urgente che aveva nella voce? Sembrava quasi che stesse tentando di nascondere il suo essere disperato! Che fosse successo qualcosa di grave?
Rimase in silenzio a elaborare i suoi pensieri, quando la voce dall'altra parte lo riscosse.

«Scusami, se non puoi non fa niente, non-»

Seba non gli lasciò terminare la frase.
«No, non c'è problema. Il tempo di vestirmi e sono da voi, okay?»

«Sì, d'accordo. Grazie, davvero.»

«Figurati...» sorrise al nulla e chiuse la chiamata.
Finì di prepararsi e telefonò a Chiara per avvisarla del cambio di programma.

Arrivò a casa di Léon pensando che era un miracolo il fatto che non si fosse ibernato. Era freddissimo, quel giorno, e lui era ancora costretto a girare con quel cavolo di motorino anche in pieno inverno. Per fortuna l'esame di teoria per la patente l'aveva passato, e a breve avrebbe sostenuto quello di pratica.

Suonò al campanello ed entrò dal cancellino pedonale, ma non fece in tempo a fare molti passi prima che la porta d'ingresso si aprisse, mostrando un Léon già pronto per scappare via.

«Grazie, e scusami ancora. Cercherò di metterci il meno possibile, d'accordo?»

Seba si stupì di quanto l'altro sembrasse perso nei suoi pensieri mentre diceva quelle parole.
«Certo... Va tutto bene?»

«Sì, sì... Devo scappare, ora. Isabelle è nella sua camera, di fianco alla mia» gli diede una pacca amichevole sulla spalla e si avviò verso quel trabiccolo che aveva come auto.

Sebastiano entrò in casa chiedendo il permesso all'aria, si tolse giubbotto e felpa prima di iniziare a sudare e salì le scale per raggiungere la sorellina di Léon.

Bussò prima di entrare e trovò Isabelle seduta a terra, su un grande tappeto rosa, intenta a far giocare le sue bambole.

Appena lo vide gli occhi le si illuminarono, e mise in mostra quel bel sorriso sdentato che le faceva venire due adorabili fossette ai lati delle labbra.

«Sei venuto! Che bello!»

L'entusiasmo mostrato da Isabelle contagiò anche lui, che andò a sedersi al suo fianco e prese a scrutare la sua stanza.

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