56. Coraggio

1.9K 161 106
                                    

Sebastiano stava cercando di non perdere la presa sul volante; aveva le mani completamente sudate nonostante fuori ci fossero appena tredici gradi.

Era prestissimo, aveva passato la notte insonne nel letto di Léon e ora cercava di concentrarsi sulla strada.
Non era lì con la testa.

Pensava alla sera precedente, ai giochi fatti con Isabelle; a Léon che non riusciva a smaltire la sbornia e aveva quel sorrisetto malizioso perennemente stampato in volto; pensava al bacio che aveva cercato di dargli e a quanta fatica avesse fatto nel girarsi dall'altra parte.
Non era il tipo che si approfittava di una persona ubriaca, lui.

Eppure il viso del francese così vicino al suo, con quel profumo che gli invadeva le narici e quegli occhi grigi incastrati nei suoi, erano stati una tentazione davvero difficile a cui resistere.

Si era preoccupato di preparare la cena ai due fratelli, aveva mangiato insieme a loro e poi avevano guardato un cartone sul divano.
Aveva dato la buonanotte a Isabelle ed era pronto per tornare a casa, ma Léon l'aveva guardato con quell'espressione da cucciolo ferito che metteva su ogni tanto, e lui non ce l'aveva fatta a dirgli di no.

E così era rimasto a dormire da lui, nello stesso letto, con quel braccio ad avvolgerlo come se avesse avuto paura che potesse scappare da un momento all'altro.
Si era addormentato in fretta, il biondo, probabilmente annebbiato dai fumi dell'alcool, ma la mano che gli stringeva il fianco era rimasta lì, ferma su quel lembo pelle che sembrava essere diventato incandescente nei punti in cui era a contatto con quella dell'altro.

E Sebastiano era rimasto a guardare il soffitto per ore e ore, fermo a pensare a quello che avrebbe voluto fare nella sua vita, in netto contrasto con quello che, invece, avrebbe dovuto fare.

Poi si era alzato di scatto, aveva spostato in maniera gentile il braccio di Léon, si era rivestito e gli aveva lasciato un delicato bacio tra i capelli. Aveva scritto per lui un biglietto che aveva poi lasciato sul comodino ed era uscito da quella casa.

E ora stava andando spedito verso quella di Chiara.
Erano appena le 6:30, la città sembrava ancora addormentata e gli unici rumori che si sentivano fuori erano quelli della sua macchina che percorreva le strade ancora deserte, e il martellare incessante del suo cuore che pareva volergli esplodere nelle orecchie.

Parcheggiò in fretta e furia di fronte al palazzo in cui abitava lei e si attaccò al telefono per poterla rintracciare; non si preoccupò minimamente dell'orario: Chiara era sempre stata una ragazza molto mattiniera, era certo che fosse già sveglia da almeno un quarto d'ora.

Rispose al terzo squillo, con la sua voce allegra anche di prima mattina, e vide il portone aprirsi dopo pochi secondi.
Scese dalla macchina e cercò di asciugarsi le mani sui jeans alla bell'e meglio, poi salì al secondo piano e la vide, bella come sempre con quel sorriso perenne che la caratterizzava, ferma ad aspettarlo sulla soglia.

Chiara lo fece entrare e insieme andarono in camera sua, mentre Sebastiano si guardava intorno per verificare che nessun'altro membro della famiglia fosse sveglio.
Aveva bisogno di parlare con lei, solo ed esclusivamente con lei, senza che nessuno li interrompesse.
Sarebbe bastato anche il minimo rumore, ed ecco che tutto il coraggio che aveva raccolto in quella nottata passata in bianco sarebbe di colpo svanito come cenere al vento.

Prese posto accanto a lei, sul letto, e iniziò a torturarsi le mani senza riuscire a guardarla in faccia.

«Amore, cos'hai? Sei pallido» notò Chiara, la fronte corrugata dalla preoccupazione e gli occhi che scandagliavano la sua figura centimetro per centimetro.

«Sto bene, più o meno, ma avevo bisogno di parlarti.»

«D'accordo, dimmi.»

Sebastiano fissò gli occhi nei suoi, blu come il mare calmo, fece un respiro profondo e cercò di calmare i battiti accelerati del suo cuore.

Di Tutti Ma Non Di TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora