i demoni e le bestie

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Il voler giocare a nascondersi si sconta sempre nel modo più naturale,

col diventar misteriosi a se stessi.

- Søren Kierkegaard





Quasi ventiquattr'ore dopo, Draco Malfoy si sentiva come l'istante esatto in cui aveva stretto una Hermione in stato di shock a sé sussurrandole con dolcezza che tutto si sarebbe sistemato.

Bugiardo.

E quella sgradevole sensazione non lo aveva abbandonato nemmeno per un momento, nemmeno quando aveva raccontato a Daphne dell'apparizione di Astoria, del segreto di Scorpius – dandole finalmente ragione – o quando, a denti stretti, le aveva svelato la verità su Hermione, sulla clinica... e su Ronald Weasley.

Daphne, per parte sua, era stata premurosa nel non giudicarlo e aveva più che altro insistito per conoscere ogni dettaglio del suo insolito incontro con Astoria.

«Astoria ed io abbiamo sempre avuto un legame forte...» aveva sospirato infine, una volta conosciuta la verità, trattenendo un singhiozzo «Ecco il perché dei miei sogni. Lei voleva che tu sapessi. Che sapessi di Scorpius. E ha usato me, per farlo».

Aveva parlato con voce lontana, come improvvisamente gettata in pasto ai ricordi, ricordi destinati a rimanere taciuti. Ad ogni modo, Draco aveva annuito con aria pensosa, inghiottendo in un solo sorso le ultime due dita di whisky dal bicchiere che aveva già riempito tre volte prima dell'ultima bevuta, e aveva abbozzato un sorriso poco convinto quando Daphne si era allungata verso di lui per sfiorargli la mano.

«Hai sbagliato...» gli aveva sussurrato, il rimprovero tuttavia diluito da una voce gentile e quasi comprensiva «... ma hai cercato di porre rimedio. Varrà pur qualcosa per lei, no?»

«È complicato...» aveva sospirato lui, lanciandole un'occhiata in tralice.

«No» ribatté la cognata. «Non lo è. Ho visto come ti guarda. Come la guardi. C'è qualcosa fra voi due ormai. Ed è qualcosa molto più forte di una semplice infatuazione. Non gettare tutto al vento, Draco. Astoria...»

«Possiamo non includere Astoria proprio in questa conversazione?» Draco l'aveva interrotta strofinandosi stancamente gli occhi. Non aveva preventivato un tono così brusco, tuttavia non era riuscito a impedire che il macigno del pensiero di Astoria gli ostruisse la gola.

Era stato pronto ad accettare che suo figlio fosse un Dominus Umbrarum, che per un'assurda forma di lealtà verso la madre avesse smesso di parlargli e che lo spettro di sua moglie fosse stato con lui ogni singolo giorno da quando era morta, ma non riusciva ancora ad accettare l'idea di inserire Hermione e Astoria nella stessa conversazione, nella stessa vita... né, probabilmente, nello stesso contesto.

Hermione non era Astoria, Hermione era...

"Mia. Come Astoria. È comunque mia".

E nel momento stesso in cui l'aveva pensato, aveva capito di essere ormai perduto.

* * *

Appariva tranquilla, seduta composta accanto a lui, con le mani in grembo e la testa bassa, ma era apparenza, appunto, e Draco lo sapeva bene.

Il pallore sul viso di Hermione lo teneva in guardia, i tremori sommessi delle sue dita, che stringevano e rilasciavano ripetutamente il tessuto elastico dei jeans, gli facevano presagire la presenza di un'ira talmente dirompente, sotto la pelle, proprio intorno all'anima, da fargli temere per la propria incolumità; era quasi ridicolo, se si pensava che era Weasley, seduto di fronte a loro con l'espressione più seria che Draco ricordava di avergli mai visto assumere, quello che aveva molto da temere. Eppure, forse per una strana sorta di empatia fra demoni, il giovane Malfoy condivideva gran parte della sua tensione.

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