Capitolo 7

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Diario di Liliana Candida Savini

Venerdì 4 Dicembre 1942

Sono ormai trascorsi dieci giorni dal nostro arrivo a Montese e tutto pare essersi cristallizzato. Credo di poter definire un piccolo miracolo il fatto che questa nostra "fuga" abbia riportato, anche se solo in minima parte, il sorriso sul volto della mia dolce Sara, così sconvolta per gli avvenimenti che ci hanno costrette ad abbandonare in fretta e furia gli agi di Villa Martuzzi Ripandelli, la dimora Vignolese della amata zia Bianca. Spero, in cuor mio, che la lettera che le lasciai non la abbia turbata troppo e, non appena avrò raccolto tutto il coraggio necessario e che Nostro Signore mi vorrà concedere, mi sono ripromessa di scriverle ancora, per meglio spiegare le nostre ragioni.

Tuttavia, prendendo in esame questi ultimi tempi, devo confessare che larga parte delle mie attenzioni e cure si sono concentrate sulla giovane Enrica. Temo grandemente il suo silenzio. E, per quanto si ostini a non proferire parola sull'argomento, non credo sia all'oscuro di quanto è successo. Non del tutto almeno.

Per queste ragioni e, probabilmente, anche per una punta di egoismo, quest'oggi, mentre la madre era a riposo nel suo letto, ne ho approfittato per portare la bimba a fare merenda in salotto con un buon tè e dei dolcetti. Non vedo alcun motivo per cui, a dispetto dei suoi natali, la piccola non dovrebbe apprendere un poco di buone maniere e adottare delle sane abitudini.

Ah, se solo avesse potuto vederci la mia cara zietta... Mi auguro che, quando questo delirio sarà giunto al termine, avremo modo di ricostruire quanto andato perduto.

Ma oramai non mi ritengo più sicura di nulla, non so più in cosa sia giusto credere. Quale, tra le due parti, dovrei sostenere...

Come se non bastasse, per complicare ulteriormente la già intricata situazione, ho letto su Il Messaggero di ieri dei terribili bombardamenti sulla stupenda città di Napoli. A detta dei cronisti, la violenza dell'attacco degli aeromobili americani scatenata sulla popolazione, avrebbe potuto rivaleggiare solo con la terribile eruzione del Vesuvio descritta da Plinio il Giovane e così perversamente riprodotta dal genio maledetto di Brjullov. Non so per quale malsana ragione, appena ho letto le prime righe di quella cronaca mi sono rivista seduta a Leningrado (allora San Pietroburgo) mentre rimiravo il dipinto una manciata di anni prima della sanguinaria rivoluzione di Ottobre.

Non mi capacito di come ieri mi sia potuta sfuggire una notizia del genere, anche se è molto probabile che, visto il continuo mal tempo e le ormai incessanti nevicate, il giornale sia stato recapitato al Bellavista con un giorno di ritardo.

Ed in effetti, questo maltempo non pare volerci concedere un momento di tregua. Non sono sicura che si possa parlare di una vera e propria bufera eppure, la concitazione del personale della locanda in merito di provviste di cibo e legna, mi ha messa in lieve allarme. Credo possa definirsi saggio, osservare con discrezione l'evolversi della situazione...

Infine, a futura memoria, voglio riportare anche un ulteriore fatto avvenuto questa giornata, proprio durante il tè con la mia protetta! Mentre stavo spiegando alla ragazzina l'importanza di darsi un tono quando si sorseggia la nobile bevanda, cercando disperatamente di farle eliminare quel suo rumoroso vizio di risucchiare, è entrato il custode.

Si tratta di un uomo davvero rozzo, caratterizzato dai modi sgraziati di chi vive ai margini della società e perennemente inseguito da un olezzo mefitico, come se tutte le bestie della foresta avessero deciso di fondere in lui i loro odori selvatici.

Questo a dir poco originale individuo ha letteralmente fatto irruzione nella stanza e, senza nemmeno preoccuparsi di richiudere la porta dietro di sé, si è precipitato al cospetto del nostro ospite, il signor Attilio.

Nonostante questi abbia provato a far notare all'invasore la maleducazione perpetrata generando tanto trambusto in presenza di clienti, pareva che il vecchio non ne fosse minimamente preoccupato, anzi. Non oso nemmeno immaginare, cosa sarebbe potuto succedere se una scena del genere avesse avuto come spettatrice la zia Bianca o il compianto prozio Edoardo, che Nostro Signore lo abbia in gloria...

E' stato in quel preciso momento che credo di aver colto, come direbbe la dolce Signorina Agathe, un je ne sais quoi, una specie di incidente di conoscenza. Il custode -se non vado errata- signor Mazzi, doveva aver passato un qualche oggetto al suo interlocutore che, esaminandolo, ha dapprima cercato di mascherare un sussulto, per poi imprimere una espressione inorridita sul suo volto.

Non ho ben compreso di cosa potesse trattarsi, ma posso affermare con certezza che non era nulla di buono, dato che in men che non si dica, Attilio è corso a prendere il suo pesante cappotto per seguire Jacopo al di fuori del Bellavista verso la foresta.

Solo in quel momento notai che sul pavimento, dove i due parlavano, parzialmente nascosto alla vista, si trovava qualcosa che fino a pochi istanti prima non c'era.

Non riuscendo a resistere alla curiosità, ho vestito i panni dei protagonisti dei miei romanzi di spionaggio ed in men che non si dica, mi sono ritrovata come Mata Hari, impegnata a recuperare l'oggetto della mia attenzione.

Mi sono accertata in primo luogo che i precedenti possessori del mio obiettivo si fossero allontanati, ho quindi chiesto alla giovane Maria Giulia di gettare altra legna nel fuoco per compensare il freddo portato dal custode e, quando lei si è diretta al camino per esaudire la mia richiesta, dandomi le spalle, ho deciso di agire.

Mi sono alzata dalla sedia e ho fatto finta di andare alla finestra per scrutare la pineta, mentre passando mi sono chinata ed ho raccolto quello che, di lì a poco, ho scoperto essere un fazzoletto stropicciato.

Ricordo ancora la sensazione di quel cerchio alla testa, seguito da un forte conato, quando mi sono resa conto che, in diversi punti, mi è parso macchiato di sangue rappreso.

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