Diario di Annibale Innocenti
Sabato 5 Dicembre 1942Mio malgrado questo viaggio pare non terminare più. Solamente questa mattina, a seguito di un affannosa ricerca, ho finalmente scovato una guida disposta ad attraversare i boschi per raggiungere la locanda Bellavista. Non credevo potesse trattarsi di una richiesta così difficile da soddisfare, eppure ho più volte ricevuto un "cortese" rifiuto, tanto che avevo anche cominciato ad accarezzare l'idea di battere in ritirata nella mia bella Firenze.
Come se tutto questo non fosse stato sufficiente, giovedì ho incrociato una piccola unità di soldati del Reich, formata da tre soldati. A giudicare dalle loro uniformi, posso supporre che si trattasse di due fanti semplici accompagnati da un ufficialetto di bassa levatura. Tuttavia, ho colto in loro un alcunché di strano, una sensazione, che non saprei spiegare.
Senza dubbio, Vittorio sarebbe stato in grado di identificare meglio il corpo d'armi dei tre ed i rispettivi gradi. Ha sempre avuto più talento di me in questo; e non ha mai mancato occasione per farmelo notare!
Grazie al cielo, almeno il problema di quei bischeri di kraut sembra essersi risolto. A quanto pare hanno lasciato il borgo ieri mattina, alle prime luci dell'alba. Se Dio vuole, non li rivedrò più.
Per tornare al tema principale, ovvero come raggiungere questo fantomatico Bellavista, io ed il signor Quinto, partiremo a mezzogiorno e, da quanto ho capito, saremo a destinazione prima del tramonto. Non credo di aver bene inteso come pensi di trasportare i miei bagagli, ma temo che lo scoprirò presto...
Voglio soffermarmi un momento su questo simpatico ometto, fortunato -da quanto ho inteso- come un cane in chiesa, perfetta incarnazione delle genti che popolano queste alture.
Si tratta di un nonnetto arzillo, probabilmente sulla settantina. Al nostro incontro, nella piazza, dinnanzi la salumeria della nuora -la vedova Pini- il suo corpo esile mi sembrò incurvarsi sotto il peso degli anni. Portava vestiti logori, rattoppati, ed un paio di scarpe il cui cuoio pareva aver visto troppi inverni. Sul capo un cappello di feltro sformato che si tolse alla svelta, non appena gli rivolsi la parola. I ciuffi di capelli ormai bianchi che in precedenza spuntavano disordinati da tutt'intorno al copricapo, si rivelarono insufficienti per ricoprire una ampia porzione di cute, lucida come gli argenti di Casa Savoia e che andava a formare una kippah perfettamente circolare, quasi una luna piena. Ciononostante, quanto gli mancava a coprire il capo, pareva invece esser scivolato verso il basso: dalle orecchie e dalle narici facevano capolino rigogliosi ciuffi di candido pelo.
Gli occhi, parzialmente nascosti da due folte sopracciglia sale e pepe, erano di un colore azzurro intenso e sembravano colmi di una forza quasi inesauribile, come una fornace a piena potenza.
Diversa era invece la sua bocca, quasi del tutto priva di denti, se non fosse stato per qualche coraggioso ed irriducibile temerario, segnato comunque da decenni di incurie. Nonostante ciò, il Pini, si presentava con un sorriso vivace, che definirei quasi contagioso.
"Credete sia in grado di condurmi a destinazione?", chiesi al proprietario del Caffé Centrale, presso il quale solevo desinare in questi giorni.
Lui mi guardò per un breve istante mentre mi serviva una cioccolata con panna fresca, poi scoppiò in una fragorosa risata.
"Potete stare tranquillo, signor Annibale!", rispose il barista, "Quinto conosce i sentieri che circondano il paese meglio di chiunque altro, in particolare quelli più impervi che salgono sul Montello, dove volete arrivare voi."
Il pensiero mi fece quasi trasalire, chiaramente non poteva che piovere sul bagnato. Poi con la voce rotta, continuai: "I più impervi, dite?"
"Non avete scelto una locanda facile da raggiungere. D'altronde già il nome Bellavista la dice lunga sulla sua possibile ubicazione!", poi, probabilmente dopo avermi visto bianco come un cencio, cercò di rincuorarmi, "Ma il vecchio è un'esperto di quei passaggi: fate conto che almeno una volta al mese accompagna sua nipote -che lavora alla locanda come cameriera- a trovare la famiglia; per non parlare delle varie consegne richieste, spesso e volentieri, da donna Elvira, la moglie dell'oste. Se non fosse per il vecchio Quinto, col cavolo che la sua cucina verrebbe rifornita!"
Tutto sommato, quelle sue parole, aiutate da quella deliziosa cioccolata calda, mi hanno dato coraggio ed ho così deciso di continuare il mio viaggio.
Ora è giunto il momento e mi appresto a chiudere le mie borse per raggiungere questo strano Virgilio, che la sorte ha posto sul mio cammino.
Lascerò una lettera da inviare a Firenze, e spero che questa deviazione non insospettisca oltremodo Gilda. Se tutto va come programmato, da Carpi dovrebbero spedire le stoffe non prima di metà mese, e solo a seguito di mie precise istruzioni. Spero di essere stato sufficientemente chiaro...
STAI LEGGENDO
I diari del Dybbuk
Terror"Che cos'è un Dybbuk?" chiese la giovane, incuriosita da quella nuova parola. La donna sussultò, pungendosi con l'ago ed un coppia di macchioline vermiglie caddero sul candido ricamo. Ma non vi prestò attenzione: appoggiò frettolosamente gli attrezz...