Capitolo 14

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Diario di Liliana Candida Savini

Sabato 5 Dicembre 1942

"Heil Hitler!" fu questa improvvisa acclamazione che mi riportò con violenza agli orrori dai quali avevo da così poco, troppo poco tempo preso congedo.

Quell'assurdo saluto era stato preceduto da uno scalpitar di stivali e da un gran sbatter della porta di ingresso della locanda.

In quel preciso momento mi chiesi qual mai crimine potessi aver commesso in questa o in una delle mie passate esistenze per meritare quell'inaspettata visita. Se infatti il meccanismo derivato dal Saṃsāra, ovvero l'esistenza ciclica di cui mi narrava la dolce Kaur, una delle donne indiane che prestavano servizio in Villa quando ero piccolina, fosse stato realmente attendibile, era allora evidente che sulla mia anima stesse gravando il fardello di una qualche ignota colpa pregressa di enormi proporzioni.

Mentre la mia mente vagava nei meandri della mia adolescenza, strinsi con forza il pretenzioso tovagliolo ricamato che donna Elvira mi aveva portato dopo che la giovane Maria Giulia ci aveva servito il tè, sottraendomi con discrezione quello più semplice lasciato sul tavolo dall'inesperta ragazza. Già nei giorni passati, mi resi conto che tale trattamento era riservato solo alla sottoscritta ed a Mademoiselle Garnier. Che cosa patetica...

Fu una ancor più inattesa risposta al Deutscher Gruß che mi fece trasalire, riportandomi con violenza alla sala d'ingresso della locanda.

"Sieg Heil!" gracchiò il Vignali, battendo gli stivali e protendendo il braccio destro. L'odioso ometto, tirato a lucido in uniforme, aveva appena lasciato la sala dopo il suo consueto caffè mattutino.

Era quasi incredibile come l'insulso soldato fosse, con ogni probabilità, l'essere umano più abitudinario dell'intero creato. Ogni sacrosanta mattina, soleva sedersi tronfio ad una delle poltroncine situate vicino al focolare per leggere con tutta calma il giornale consegnato la sera precedente, ispezionandolo col suo ridicolo monocolo. Osservandolo in quel suo assurdo rituale, in cui si atteggiava a sosia del Re Vittorio Emanuele III, rimpiangevo di non aver portato la mia Exakta.

Oggi, il quinto giorno di Dicembre dell'anno del Signore MCMXLII, quella sua tediosa routine era stata spezzata: il Vignali era accorso ad accogliere i suoi alleati, per leccar loro la mano come un cane fa col padrone.

A non sembrare per nulla sorpreso mi parve invece il signor Attilio, che questa mattina ha preseduto il servizio della colazione con un'espressione talmente persa nel vuoto da essere canzonato dalla piccola Enrica come una statua di cera.

"Chi sono queste persone?", chiese la bimba innocentemente, indicando la porta.

"Abbassa subito quel dito e parla a bassa voce!", le risposi cercando di non dare troppo nell'occhio.

Cercai di pensare il più in fretta possibile. Che cosa potevamo fare? Decisi che non valeva la pena correre alcun rischio, o tutto quanto sarebbe stato vano.

"Enrica, ascoltami bene:", dissi sottovoce. Feci una breve pausa per accennare un sorriso e chinare il capo verso i tre soldati, in segno di saluto, poi presi il tovagliolo e lo portai ad un angolo della bocca, "ora dovrai far finta di essere una attrice, come quelle che abbiamo visto alla Villa l'anno scorso. Pulisciti in viso, alzati e salutami. Poi fai una piccola riverenza verso i tre soldati e vai in camera!"

"Ma...", attaccò la ragazzina, evidentemente troppo interessata a quell'inaspettato fuori programma.

"Niente ma, obbedisci!", la zittii, accennando poi un leggero colpo di tosse.

Enrica finalmente eseguì le mie istruzioni alla perfezione e si congedò dalla sala. Dentro di me trassi un lunghissimo sospiro di sollievo, perlomeno il peggio pareva scampato.

 Dentro di me trassi un lunghissimo sospiro di sollievo, perlomeno il peggio pareva scampato

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Lettera di Enrica al padre

Sabato 5 Dicembre 1942

Mio caro babbo,

Sono ormai settimane che sei partito e ci stiamo chiedendo tutti come stai. Anche la mamma, che ancora non sta bene, chiede sempre di te.

Io e la padrona stiamo facendo tutto il possibile per farla stare meglio. Speriamo che guarisca presto. Pensa che, proprio per questo, ci ha portate in montagna in una bellissima locanda in mezzo ai boschi. E subito dopo il nostro arrivo ci ha raggiunte la neve!

Passo tanto tempo con la padrona, mentre la mamma dorme. Mangiamo tantissime caldarroste e poi prendiamo il tè due volte al giorno, come facevamo con la Contessa a Vignola.

Oggi però, proprio quando bevevamo il tè, sono arrivati dei soldati e mi ha ordinato di andare in camera, anche se non ho capito il perché.

Tu quando tornerai? Mi manchi tanto.

Ti voglio bene.

Enrica

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