Capitolo diciassette

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                       MAGNUS

Quando ero bambino, mi sono sempre chiesto perché mio padre non veniva a trovarmi. Perché non viveva con noi come accadeva a tutti i miei compagni. Perché avevo il cognome di mia madre e non il suo. L'ho visto poche volte ma era sempre perché mia madre insisteva affinché lui conoscesse suo figlio, non era mai una sua iniziativa. Quando l'ho capito, ho vietato a mia madre di chiamare papà per me. Se voleva vedermi non doveva che chiedere ma obbligarlo era la cosa più brutta che potessero farmi.

"Non voglio un padre, se per lui sono un peso" dissi a mia madre.

Eravamo poveri, molto poveri. Mia madre faceva mille lavori per potermi far studiare ma appena mi diplomai decisi di trovare un lavoro e non proseguire gli studi. Avevo già lavorato in bar, supermercati, perfino al mercato della frutta la mattina presto prima di andare a scuola quindi trovai subito un lavoro in un bar.

Con lo stipendio che ricevevo riuscivamo a vivere un po' meglio, almeno finché mia madre non ha iniziato a dare i primi segni della sua dipendenza, probabilmente ne ha sempre fatto uso ma occuparsi di me probabilmente le dava un freno. Tornava a casa ubriaca e strafatta, si addormentava dove capitava ed era così tutte le sere. La situazione è peggiorata quando ha iniziato ad andare a lavoro in quello stato e, dopo l'ennesimo richiamo, è stata licenziata.

Non sapevo come fare, ero solo un ragazzo con una responsabilità troppo grande. Il lavoro al bar non mi bastava più, a malapena ci pagavo l'affitto e iniziai a cercare un secondo lavoro. Chiedevo a chiunque, anche ai clienti ma non arrivava nulla e le bollette aumentavano, il frigo era vuoto. Mangiavo gli avanzi del bar che il titolare mi permetteva di prendere.

Un giorno vidi un uomo molto elegante che non avevo mai visto, la clientela era piuttosto abitudinaria e quindi lo notai subito. Prese un caffè nero, lo bevve lentamente e poi andò via. Fu così per parecchi giorni, mi osservava, mi fissava, mi studiava.

Un giorno mi feci coraggio e mi avvicinai.

-" Forse è una sensazione sbagliata e, se è cosi, le chiedo scusa in anticipo. È dalla prima volta che è venuto che mi osserva, mi studia e non lo nasconde minimamente quando vede che me ne accorgo. Sbaglio?"- chiesi.

-" Non sbagli. Vengo qui apposta per te"- rispose senza timore.

-"Perche?"- risposi.

-" Ho un club molto esclusivo e voglio capire se sei la persona giusta da aggiungere ai miei ragazzi"- disse un po evasivo.

-" Di che club si tratta? Vuole offrirmi un lavoro? Perché se è così accetto tutto, qualsiasi cosa sia. Imparo in fretta"- risposi euforico.

-" Non così in fretta ragazzo, devo spiegarti di che si tratta e non posso farlo qui. Vieni stasera a questo indirizzo e ne parliamo"- disse, si alzò e sé ne andò.

Passai la giornata a pensare a quell'uomo, non vedevo l'ora di sapere di cosa si trattasse. Non volevo illudermi ma la sensazione che la mia vita stesse per cambiare non mi lasciò per tutto il giorno.

A fine turno andai a casa e mi feci una doccia, scelsi gli abiti più nuovi che avevo, passai al supermercato e mi spruzzai di nascosto un po' di profumo dal campione esposto e mi diressi all'appuntamento.

Quando entrai, rimasi di stucco davanti all'ambiente che mi circondava. Era tutto molto elegante, luci soffuse, musica di sottofondo, divanetti in pelle neri e rossi, il personale aveva una divisa che lasciava poco all'immaginazione. Intorno a me c'era gente che cenava ma avevo la sensazione che non fosse minimamente lo scopo del club.

Mi annunciai e andai alla porta che mi fu indicata, bussai.

-"Avanti!"- disse.

-" Buonasera!"- dissi.

Sam Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora