Capitolo uno.

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Lasciarsi le delusioni alle spalle era l'unico modo per non soffrire, ma non bastava, non era un ottimo modo per non pensarci. Erano quattro anni che cercavo costantemente di dimenticare gli errori che avevo commesso, le cose nelle quali avevo sbagliato, i fatti accaduti nel modo più ingiusto possibile, ma niente era bastato a far cessare tutto il male. Era inutile, non avrei mai smesso di starci male. Era una cosa che sapevo mi sarei portata dietro nel susseguirsi degli anni, e non c'era modo per evitare tutto questo.

Lo specchio del nuovo appartamento non era un granché, mi ero appena trasferita e mi veniva subito voglia di tornare da dove ero venuta. I miei capelli erano strani quel giorno, le punte verdi non risplendevano come gli altri giorni, ed ero quasi certa che i miei capelli seguivano gli andamenti del mio umore. Presi la prima spazzola che mi capitò e cominciai a spazzolarmi i capelli con molta, molta calma. Benché fosse una cosa che odiassi - perché ovviamente, nessuno me compresa poteva toccarmi i capelli - continuavo incessantemente a spazzolarmeli come se nella vita non ci fosse stato nulla di meglio da fare.

"Mamma, cosa stai facendo?" Una voce acuta e infantile richiamò la mia attenzione. Una massa di capelli castani avanzò nella stessa stanza nella quale mi trovavo anch'io, e sentivo un paio di occhi verdi osservarmi. Scannerizzai per intero la figura della bambina che stava in piedi di fronte a me. Sorrisi istintivamente, riconoscendo nel suo sorriso quasi metà della mia felicità.

"Niente, piccola. Mamma si stava solamente sistemando i capelli." Ammisi, accovacciandosi così da trovarmi alla sua altezza. Le accarezzai una ciocca di capelli, attorcigliandomela attorno alle dita. I suoi capelli erano così soffici che mi era sempre piaciuto accarezzarglieli, fin da quando era una neonata. Mia figlia sembrava proprio un dono del cielo, la bambina più bella del mondo.

"Sei bella lo stesso." Sorrise leggermente. "Andiamo a fare una passeggiata? Questa casa non mi piace in questo stato, quando ci saremo rilassate la sistemeremo." Ridacchiai, mia figlia non aveva mai voglia di avere complicazioni che nuocessero ai suoi interessi personali. Mio malgrado - perché ero estremamente in ritardo con i lavori per il trasloco - annuii, presi la mano a mia figlia, e infilandomi gli occhiali da sole uscimmo entrambe dal nuovo appartamento che ci aspettava a Detroit, una delle grandi capitali americane.

Detroit non era come le altre città, l'appartamento che avevamo appena comprato io e mia figlia era immerso in una prospettiva diversa della grande città, per come viene definita quest'ultima, abitavo proprio in un vero paradiso, nel vero senso della definizione. Gli alberi contornavano il viale, e sospirai di sollievo nel trovare le cose nello stesso posto dove stavano quattro anni fa. Mia figlia adorava gli alberi. Tenevo mia figlia per la mano, per essere sicura che non mi scappasse, le volevo un bene che non si descriveva facilmente, era l'ultima cosa che mi era rimasta dopo essermene andata via da qui quattro anni fa. Tornare a Detroit faceva dannatamente male, ma non potevo fare altrimenti, avevo bisogno di riprendere l'aria che avevo lasciato qui. Mi mancava questa città, e se fossi stata via ancora per qualche mese non avrei di certo resistito.
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Io e mia figlia camminammo fino a che non raggiungemmo un parco. Me lo ricordavo bene, ci passavo la maggior parte del tempo, quando stavo ancora con lui. Non mi mancava affatto, e non potevo nemmeno confessargli tutto. C'erano moltissime cose: uno scivolo, un'altalena e qualche piccola giostra. Sulla sinistra c'era ancora la panchina, la mia panchina. Chissà se ci fosse stata ancora la mia scritta, quella che avevo inciso con lui. Mia figlia si precipitò sullo scivolo, e facevo perfino fatica a starle dietro.

"Summer, stai attenta. Non oso immaginare cosa succederà se ti fai male proprio ora che siamo appena arrivate a Detroit." Ridacchiai, alla fine mia figlia era esperta di parchi giochi, li frequentava come un'adolescente frequenta una discoteca, o un locale.

Approfittai della distrazione di mia figlia per andare a controllare se ci fosse ancora la mia scritta sullo schienale della panchina. Non che mi interessasse, era solo una cospicua curiosità, in fondo erano passati quattro anni e vedere Detroit che non era affatto cambiata faceva comunque un certo effetto. Mi avvicinai alla panchina, e con le dita tastai la superficie. Mi soffermai quando sentii un punto in cui c'era un'incavatura. Forse un residuo, ma non ne ero sicura. Guardai meglio, e sussultai quando notai la scritta «Jack + Mikey». Era ancora lì, niente era stato cancellato. I ricordi, tutto, era rimasto tutto nella vecchia ma saggia Detroit.

"Jackie Miller?" Sussurrarono tre voci maschili dietro di me. Mi girai all'istante, e trovai le uniche persone che mi mancavano in questa città: Luke, Calum e Ashton. I miei amici più importanti.

"Luke! Cal! Ash! Che gioia vedervi!" Gli corso incontro, abbracciandoli tutti e tre. Loro mi strinsero altrettanto, facendomi sentire come se anche io fossi mancata a loro proprio come loro erano mancati a me. Proprio in quel momento, mia figlia decise di scendere dallo scivolo.

"Mamma! Mamma! Dove sei?" Continuò ad urlare, quasi tendendo al tono spaventato. Mi feci vedere agitando le mani.

"Sono qua, amore. Sono qui. È qua la mamma." Urlai, al che lei mi corse incontro. La presi al volo, prendendola in braccio.

"Tu.." Cominciò Luke, poi annuii. Sapevo che mi avrebbero fatto questa domanda.

"Sì, ragazzi. Sono diventata mamma." Affermai, guardando negli occhi tutti e tre. Ashton si abbassò, così da arrivare faccia a faccia con mia figlia.

"Come ti chiami piccoletta?" Le domandò, e sorrisi perché quella scena era tenerissima. La mano grandissima di Ashton era mille volte più grande della manina di mia figlia, eppure lui la avvolgeva comunque.

"Summer." Mormorò la piccola, arrossendo davanti a Ashton. "La mia mamma mi ha chiamato così perché dice che sono bella come l'estate." Anche Calum si abbassò, erano tutti innamorati di mia figlia. Tranne il padre.

"Sei carina, Summer." Disse Calum. "Io sono Calum." Poi anche Luke si abbassò. "Io sono Luke." Continuò. "Io invece mi chiamo Ashton." La bambina sorrise a tutti e tre, per poi tornare attaccata alle mie gambe.

"Amore, mi aspetti li all'altalena? Arrivo subito." Lei annuì e corse verso il gioco il più velocemente possibile. Avevo un'ottima occasione per dire tutto ai ragazzi. Anche se non volevo.

"È quello che penso io, vero Jack?" Mi domandò Calum perplesso.

"Lei è figlia di Michael?" Mi domando anche Ashton. Indugiai un istante. Poi annuii sconfitta.

"Lui dov'è ora?" Mi domando Luke, portandosi una mano in tasca.

"Lui non lo sa." Dissi. "Lui non sa di essere padre, non sa dell'esistenza di Summer e non sa nemmeno che sono qui a Detroit." Borbottai, rimuginando sul passato.

"Non hai i poteri magici. Prima o poi lo scoprirà." Sospirò Ashton. "Soprattutto ora che sei a Detroit." Abbassai la testa, stavo firmando un contratto con il demonio.

"Quanto ti fermi?" Mi domandò Calum incuriosito. Mi girai verso mia figlia, cominciando a camminare verso di lei.

"Quel che basterà a far tornare le cose come stavano scritte su quella panchina quattro anni fa."

E poi me ne andai, senza nemmeno salutarli.

La scuola è una vera merda,scusate per il ritardo.
Comuuunque andare a leggere "||crazy love||" di xxhoodx .
Ciao bellezze,un kisso
hemmovoice&kissmeuntilmoon.

daddy || m.c.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora