Stanze vuote nella penombra:
filtra appena da una finestra
un crepuscolare chiarore,
ciò che resta della luce di Dio.
Accarezzo le ruvide pareti
intrise di trascorsi;
adagio respirano,
bisbigliano antiche parole
che non voglio più ascoltare:
fanno troppo male.
Sulla poltrona ove tu sedevi
a lungo mi è sembrato
di scorgere la tua immagine,
quasi impercettibile.
Nessuno ha più indossato
i tuoi vestiti, ora impolverati,
e quella tazzina solitaria
non si è più riempita di caffè.
Nei momenti più difficili
ti ho sentito al mio fianco
e soltanto qualcuno talvolta
mi ha preso per mano,
come tu hai sempre fatto,
condividendo breve tratto
di un tortuoso sentiero.
Una parte di me
è lentamente annegata
in un torbido fiume
e ciò che resta è il tuo sangue
che scorre nelle mie vene:
sarà per queste ragioni
che io ancora sopravvivo.
In quella silenziosa melodia
un rimbombo di passi
improvvisi mi fa trasalire:
sono forse i miei?
No, non c'è più nulla
che mi appartiene qui,
nemmeno le lacrime
che non riesco a versare.
Alle mie spalle
una porta si chiude:
un ultimo sguardo,
poi mi allontano
verso l'ignoto.