Chapter 11

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L’appartamento è tranquillo al nostro ritorno. Passiamo da Mrs. Hudson, che mantiene un contegno forzato. Abbraccia di nuovo Sherlock, poi me.

Saliamo al piano di sopra. Chiudo la porta alle mie spalle. È calata la notte ormai, e io mi sento alla deriva. Non so cosa fare, o se c’è un piano preciso. Lui va a sedersi sulla sua poltrona. Io mi aggiro inquieto per la stanza. Poi alza il capo e mi guarda. “Prenderesti le pillole, John?”

Mi si gela il cuore, lo stomaco si chiude. “Adesso? Ma, insomma…adesso?”

Il suo tono è gentile. “Qual è il punto nel rimandare?”

“Il punto? Non lo so, ma io – dev’essere per forza adesso?”

“Prendiamo le pillole e basta per ora. Solo per essere pronti.”

Mi dirigo in cucina, non sento le gambe. Riempio un bicchiere d’acqua. Le pillole sono nella mia tasca. Le sistemo su un piattino e torno in salotto. Lui mi sta guardando. Mi lascio cadere sul pavimento, inginocchiandomi di fronte alla sua poltrona, tra i suoi piedi. Stringo nelle mani il bicchiere e il piatto, ma non accenno a darglieli. Lui si allunga e li sfila dalle mie dita, e li ripone sul tavolino accanto. Poi si sporge di nuovo in avanti, le mani giunte. “No, non mi dovrebbe dispiacere di morire, John. È un debito che prima o poi tutti dobbiamo pagare. E sono contento di poterlo almeno fare alle mie condizioni.” Fa una pausa e aspetta finchè non alzo lo sguardo. “Non mi dispiace, eccetto…” deglutisce a fatica. “Eccetto che per te. Mi rammarico della sofferenza che questo ti causerà. Non pretendo di conoscerne esattamente l’entità. So solo che ho provato a immaginare come mi sentirei se i nostri ruoli fossero invertiti.”

Sto tentando di imprimere ogni singolo dettaglio del suo volto nella mia mente. Non so cosa sto per dire finchè non ascolto la mia voce pronunciare le parole. “Pensavo davvero che avrei passato il resto della mia vita con te.”

Lui accenna un sorriso. “Tutto qui? Piuttosto modesto, non credi?”

“No, intendo – non importa cosa sarebbe successo, chi avrei incontrato, o cos’altro sarei stato, prima di tutto sarei stato – questo,” tento di spiegarmi, gesticolando dell’aria fra me e lui.

Lui annuisce. “In un certo senso, suppongo di essere fortunato allora.”

“Fortunato? Perché?”

“Io passerò davvero il resto della mia vita con te.”

È il colpo di grazia. Sono distrutto.

Sento la sua mano fra i miei capelli mentre piango e mi sgretolo di fronte a lui, la mia fronte poggiata sul suo ginocchio. Sono del tutto impotente. Ho fallito. “Avrei dovuto tenerti al sicuro”, mormoro, fra le lacrime. “Non posso fermarlo, non posso impedirlo. Mi dispiace, mi dispiace, non posso sistemare le cose.”

“Lo hai già fatto John, hai già sistemato le cose. È solo grazie a te che posso uscire di scena in questo modo, come voglio io.” La sua mano scivola sotto il mio mento e mi solleva il capo. Mi stringe il volto fra le dita e appoggia la sua fronte alla mia. Mi aggrappo ai suoi polsi perché devo, devo aggrapparmi a qualcosa. “Non sono un uomo che fa dichiarazioni o confessioni,” mi sussurra.

“Non ne ho bisogno.”

“Bene. Confido che le mie azioni parlino a sufficienza.”

Annuisco. Mi lascia andare, e si ritrae. Prende il piatto e il bicchiere. Io tiro fuori il cellulare dalla tasca e mando due messaggi. Uno a Lestrade, uno a Sarah. È questo l’accordo. Io invio i messaggi quando lui manda giù le pillole. Verranno entrambi nel giro di un’ora. Lestrade verrà per Sherlock. Sarah verrà per me. Sherlock incrocia il mio sguardo ancora una volta, poi ingoia le pillole e beve l’acqua. Mette via il piatto con aria definitiva.

Alone on the water [ITA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora