Chi non muore si rivede

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Dopo il test sono tornato a casa, stranamente la signora Davis era là. Mi stava aspettando mentre sfogliava una rivista.

“Ecco la fine che fa una bella rivista se entra nelle mani sbagliate, diventa dozzinale, scadente”.

“Buongiorno anche te, io sto bene grazie” rispondo buttandomi sul divano.

“Ti sei deciso a tornare a casa finalmente?” chiede appoggiando la rivista sul prezioso tavolino di vetro.

“Sì”.

“Sei di molte parole”.

“Tanto quanto tu sembri realmente interessata” commento con un sorrisetto da sberle.

“Sai cosa m’interessa”.

“Vedo che non perdi tempo”.

“E allora?” domanda incrociando le braccia al petto.

“Allora andiamo subito alla questione. Ti chiedo di non interrompermi e di ascoltarmi davvero. Ci sono delle cose da chiarire”.

“Va bene, ti ascolto”.

“Mi sono presentato al test. Non ti illudere però che io l’abbia fatto perché temo le tue minacce, non mi fanno paura. L’ho fatto per il semplice motivo che penso di essere bravo, anzi molto bravo. Ho un talento fuori dal comune, lo dici anche tu. E azzarderei a dire che sono anche più bravo di te” mentre lo dico, vedo che scuote la testa in segno di approvazione “Non so se in futuro vorrò dirigere la tua rivista, ma so che l’ho fatto per me. Non pensare di aver vinto o di avere la possibilità di muovermi come la tua marionetta. Tutto qui”.

“Hai fatto la scelta giusta. Vuoi sapere cosa penso?”.

“Si” rispondo in tono di sfida.

“Penso che tu sia eccezionale, potresti fare molta strada ma non capisco cosa ti stia frenando dal capirlo tu per primo. So che per te sono una persona egoista e arrivista, ma lo faccio per il tuo bene, perché hai mille possibilità vista la tua posizione sociale e non voglio che ti accontenti”.

“Hai mai pensato che forse io la vedo in modo diverso da te? Mi spiego meglio. Sono giovane, sono bello e ho una vita davanti a me per diventare qualcuno, anzi sono già qualcuno e ti ho dimostrato più volte quanto poco mi ci vuole per raggiungere certi obbiettivi a prescindere dal cognome che porto. Non sono pronto per occupare il tuo posto, così come te non sei pronta a cedermelo. Siamo una famiglia, e fuori dal lavoro dovresti imparare a trattarmi come figlio, invece tu mi tratti sempre come dipendente, pretendendo così che io faccia ciò che tu ti aspetti per me. Non ti prendi cura di te stessa, perché anche fuori dall’ufficio continui a comportarti come la dirigente della rivista. Sei giovane e bella mamma, perché per una volta non provi tu a capire che non esiste solo il lavoro?”.

Non mi risponde, anzi se ne va quasi correndo. Ma giurerei di aver visto una lacrima bagnarle il volto.

Per quella sera io e i ragazzi abbiamo prenotato al ristorante giapponese. Ovviamente abbiamo prenotato nella saletta riservata. Stranamente non si ripete la solita scena per cui Matteo ed io siamo fuori dall’auto ad aspettare nervosamente Francesco, il ritardatario per eccellenza.

Appena arriviamo di fronte alla casa di Francesco, nemmeno il tempo di mettere in folle e lo vediamo uscire dalla porta d’ingresso.

Teo ed io ci guardiamo stupiti, poi appena sale in auto, ci giriamo verso di lui. Fra con aria noncurante commenta “Beh che sono quelle facce? Sembra abbiate visto un fantasma! Vogliamo andare che ho fame?”.

E scoppiamo a ridere “Ma ci sei o ci fai Fra?” domando schietto.

“Sei già ubriaco?” domanda. In sottofondo Matteo scoppia a ridere, e io con lui. Francesco sembra sempre più sbigottito.

“No Fra tranquillo” lo rassicuro voltandomi verso di lui “Non so se ti sei reso conto, ma è la prima volta che non ci fai aspettare! È un vero e proprio miracolo!”.

“Già già” conferma Matteo.

“Aaaaaaaahn!” commenta con un gesto della mano “In effetti, ora che me l’avete fatto notare! Il merito va a Silvia, quella furbetta mi ha ricordato l’orario in cui dovevate passare a prendermi, ma visto che sa molto bene i miei ritardi ha anticipato di mezz’ora e..”.

“E tu stordito come sei dall’amore non ti sei reso conto della bugia” termina Matteo.

“Esatto” risponde imbarazzato.

“Quindi un festeggiamento speciale va a Silvia, amico mio” intervengo “ Perché anche noi abbiamo provato questo trucchetto, ma non siamo ancora riusciti a sapere perché non abbia funzionato” concludo ironico.

“Se avessi avuto due belle tette, avresti visto!” risponde provocatorio, e poi scoppiamo tutti a ridere. Ci sono delle ottime basi per questa serata, si spera.

La cena inizia bene, con un bel brindisi a Silvia, perché ha compiuto il miracolo con Francesco; e di conseguenza anche a lui per la stessa motivazione, poi un brindisi a Matteo, che finalmente libero dal pensiero e dalla presenza della sorella (che è andata a convivere) si sente un ragazzo libero, e ovviamente a noi, a noi tre moschettieri, sempre uniti.

Arriva il momento di ordinare, e il cameriere rimane stupito dalla quantità di cibo che richiediamo: dal dobinmushi al okonomiyaki, passando per gli onigiri ripieni di tsunamaio ed ebimaio, senza tralasciare i classici sashimi, sushi, shabushabu, il tutto contornato da birra tipica, hoppy per Matteo che deve guidare, tanto sake e umeshu.

Una cena succulenta, saporita. Stiamo finendo di godere delle nostre prelibatezze quando dalla sala principale sento delle voci farsi largo tra il chiacchiericcio sommesso dei clienti. È la voce di un ragazzo, non capisco cosa stia dicendo perché le parole sono biascicate, e scommetterei che è già abbastanza ubriaco. Istintivamente ci alziamo per andare a vedere chi sia questo concentrato di educazione.

Matteo e Francesco rimangono sbalorditi, così attoniti che non riescono a pronunciare nemmeno una parola. Si voltano a guardarmi, e sinceramente sono stupito quanto loro della persona che è appena entrata.

“Ditemi che non è vero” riesco a dire tutto d’un fiato sommessamente.

“Vorrei lo dicessi tu a me” risponde Francesco.

“Che diavolo ci fa qua?” si chiede Matteo.

“Piuttosto vorrei sapere perché è tornato” domando io.

Si volta, e allora i suoi freddi occhi azzurri non lasciano scampo a nessun scambio d’identità. La cicatrice vicino alla tempia nemmeno. Ci guarda e sorride.

Alexander “corruzione, arroganza, falsità, pezzo di merda” Tromi è tornato.

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