Capitolo 8

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Occhi rossi, denti affilati? Cos’era.. quella cosa?

Mi sentivo così spaventata. E perennemente il pensiero che tutti quegli strani eventi che erano accaduti fossero collegati, mi provocò un senso di inquietudine. Non riuscivo a capire quale mistero potesse aleggiare tra questi. Quando avevo incontrato il fantasma di quell’uomo –  in seguito orribilmente trucidato – erano successe delle cose inaspettate, orribili.

L’incontro in metropolitana con lo spettro, il licenziamento e ora questo.

  Rientrai in casa col fiatone. Avevo percorso di corsa due isolati a piedi da quando ero uscita dal Filligan, ed ora mi sentivo a pezzi come se un macigno mi stesse schiacciando a terra. Sospirai già più serena di vedere le famigliari pareti gialle del corridoio di casa, e i soliti mobili economici dell’Ikea.

  «Mamma?» la voce arrivò al mio orecchio dal piano di sopra, insieme al suono di passi sulla scala. Ginevra spuntò infine sullo stipite della porta della cucina che si trovava in linea retta con il corridoio d’entrata.

«Ah, sei tu. Non dovevi essere al lavoro?» borbottò.

«Come mai questo interesse nei miei riguardi?» replicai facendo scivolare la borsa sul vecchio comodino al mio fianco. Tolsi le scarpe fradice e le riposi in un angolino accanto alla porta. Ginevra mi squadrò perplessa.

«La mamma?» domandai allora.

«Penso non sia ancora rientrata. Ad ogni modo io sto uscendo. Diglielo tu» rispose mentre con la mano si allungava verso il barattolo dove solitamente lasciavamo il resto dei soldi. Ginevra indossava un vestito corto color argento, aveva i capelli legati in una coda che le ricadeva a boccoli sulla schiena nuda, e ai piedi un paio di stivali bassi in cuoio scamosciato firmati Dolce&Gabbana.

«Ferma un attimo dove stai andando?».

«Esco con Daniela».

«Vestita in quel modo?».

Camminai verso la lavanderia. Lanciai il giubbotto bagnato e sporco nel lavabo, e in seguito mi tolsi i pantaloni.

Ginevra sbuffò e s’infilò il giacchino qualche minuto prima di uscire.

«Te l’ho detto ieri. Al Metropolitan!» esclamò infastidita.

«Ti ho detto che non è un posto per te. E comunque domani hai scuola, a che ora penseresti di rientrare?» contestai a tono, «Potresti per una sera rimandare a sabato e rimanere in casa».

«Assolutamente no. Mi stanno aspettando. Io vado!» e dicendo questo prese e se ne andò. «Ginevra!» la chiamai, ma era già uscita dalla porta d’ingresso.

«Santo cielo!» mormorai rassegnata. Strinsi i capelli tra le mani, facendoli sgocciolare, e infine sfilai la maglietta.

Mi ritornò all’improvviso in mente l’immagine raccapricciante del mostro. Non ero sicura che tutto ciò fosse frutto della mia immaginazione, e il pensiero che anche Ginevra avrebbe potuto incontrarlo mi gettò in un mare di ansia. In più ci si metteva anche il fatto che la mamma non fosse ancora rientrata e questo mi rese più pensierosa.

  Purtroppo era accaduto qualche tempo fa una cosa veramente brutta. La mamma sfiancata dai debiti e dalla morte di papà, cercò di togliersi la vita avvelenandosi con del detersivo. Fortunatamente il vicino aveva sentito degli strani rumori ed era intervenuto in tempo. Non glielo dicemmo mai a Ginevra, credeva solamente che le sedute dal terapista servissero per la depressione. Una verità svelata in parte.

Per questo motivo, ogni volta, avevo paura di tornare a casa e non trovarla.

   Salii le scale fino al piano di sopra e accesi la doccia nel bagno.

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