Capitolo 10

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Mi ritrovavo come in una paralisi mentale. Una di quelle che non ti fanno più capire niente e gli occhi non vogliono connettersi col cervello per trasmetterti le informazioni necessarie a mettere insieme i pezzi del puzzle, o semplicemente per comprendere cosa sta succedendo in quell’istante. Il suono del vento mi otturava le orecchie rendendo ovattati tutti gli altri rumori. Lontano, dentro me, udivo un campanello d’allarme, troppo distante perché ci facessi caso.

I miei lunghi capelli ramati furono scossi violentemente e in un baleno si ritrovarono bagnati dalle raffiche che la poca tettoia dell’attico non riusciva a riparare.

  Quella sera venni a conoscenza di un inquietante segreto.
La mia mente non riusciva ancora a focalizzare la scena, seppure mi trovassi di fronte ad un’inequivocabile situazione, e per tanto non riuscivo a comprendere la gravità di tutto questo. Il corpo dell’uomo esanime giaceva come un pupazzo a terra sul terrazzo del palazzo, privo di ogni vitalità, con la pelle tumefatta e raggrinzita.

Gli occhi di Sebastian, come due tizzoni ardenti, di un bagliore scioccante, quasi riflettessero le fiamme dell’inferno.

E poi tutto quel sangue. La sua bocca sporca, intrisa di quel liquido.

  Sebastian fu sorpreso di vedermi, non si aspettava che lo raggiungessi.

Poi la sua espressione mutò. Ero sempre stata meravigliata da lui, dalla sua cordialità, dalla sua simpatia. Non so cosa pensavo, in fondo lo stavo ancora conoscendo.

Non sapevo niente di quell’uomo. Nulla.

E d’improvviso tutto quel fascino che lo distingueva scomparve nel giro di qualche secondo, scaraventato lontano insieme alla tempesta.

Sorrise e le sue labbra si allargarono in una mezzaluna distorta.

Nella penombra il brillare dei suoi denti non venne annerito dal sangue che si stava riversando a fiumi sul collo. Erano come quelli di uno squalo bianco, affilati come lame e mostruosamente grandi. Ma soprattutto, quel sorriso, non aveva più niente di umano.

«Samanta» mormorò. Udire la sua voce fu come ricevere una scossa. Una voce profonda e gracchiante, che ricordava quasi uno sfregamento tra due rocce.  Deglutii.

«Che piacere averti qui. Non mi aspettavo che mi avresti raggiunto così presto».

Scrutai le crepe che pigramente si stavano facendo largo tra la pelle dell’uomo, come serpenti striscianti, sempre più scure e larghe.

Gli occhi divennero neri poco dopo, spegnendosi di quell’aura rossastra, e si fecero grandi come due palle da bigliardo incastrate nell’orbita. Ora le splendide sfumature dorate dei suoi occhi non erano più visibili. Quegli occhi sottili e rassicuranti avevano perso totalmente ogni colore, ogni vivacità e splendore, erano divenute come pozzi bui, vuoti, nei quali solo una piccola luce maligna luccicava. E questo era spaventoso.

«Co... Cosa...» balbettai a fatica, il fiato spezzato. Sebastian sogghignò divertito.

«Samanta, sei così ingenua. Cosa credevi di concludere?» mi scrutò con gli occhi di un predatore. Estremamente calmo e risoluto.

«Cosa intendi?» domandai.

«Il vestito, il mondo dello spettacolo, la bella compagnia...» soppesò le ultime parole con una feroce ironia. Mi ero illusa, solamente illusa. Le sue buone maniere non erano altro che una maschera per nascondere una verità ben maggiore: Sebastian era un mostro, un assassino.

Non potevo crederci.

L’innaturale forma delle labbra, il corpo insolitamente scomposto, la pelle cinerea attraversata da venature violacee. Non era più lui, il Sebastian che avevo conosciuto, che mi aveva aiutata fino ad ora.

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