Capitolo 9

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Fu il profumo dei fiori all’entrata la prima cosa che sentii. Freschi, cosparsi da una punta di dolcezza. Erano tante composizioni di Gelsomino e rose rosse, forse i pochi colori che vidi quella sera, e questo mi rallegrò in un certo senso.

Luci soffuse armoniosamente legate alle forme moderne dell’arredamento, creavano una cornice sofisticata e un posto fin troppo gradevole.

I pavimenti in parquet, le pareti vistosamente decorate da un modello scuro di carta da parati, i tavoli bianchi e luminosi. Ma più di tutto fu la vista dalle ampie vetrate a conquistare il mio cuore. La città risplendeva sotto di noi creando un contrasto travolgente tra terra e cielo, blu e aranci, e in fondo i pinnacoli del Duomo di Milano si mostravano in tutta la loro imponenza: affascinanti, rigogliosi, magnifici.

Ci trovavamo al sesto piano dell’hotel in via Montenapoleone, un edificio storico che da breve era stato rimodernato e ancora adesso vi erano in atto dei piccoli restauri nell’attico all’ultimo piano. Fuori aveva ricominciato a piovere, ma l’acqua scrosciante non interferiva con il panorama, anzi, amplificava i bagliori esterni trasformandoli in cerchi di luce e moltiplicando così la bellezza esplosiva del luogo.

   Osservando la gente si notava da subito come questi fossero abituati a frequentare certi ambienti. Mentre io rimanevo incantata da tutto ciò che vedevo, gli altri non sembravano far caso a niente, se non a loro stessi o alle persone affianco. Ero entrata in un mondo a parte. Le chiacchiere, le risate e il tintinnio dei bicchieri. La musica di sottofondo si espandeva per la stanza diffondendo un ritmo delicato e non troppo invadente. Capii immediatamente cosa intendesse dire Sebastian per “abito adeguato alla serata”. Ovunque mi voltassi si poteva percepire un’atmosfera piuttosto rarefatta, quasi irrespirabile per chi, come me, non era abituato. Come un pesce fuor d’acqua, sarebbe stata l’espressione esatta. Fortunatamente nessuno fece caso al mio evidente nervosismo. Dovetti ringraziare più che altro il mio accompagnatore che di tanto in tanto si soffermava a conversare con qualcuno, alleviando le mie pene.

Sebastian ci sapeva fare. Era giovane ma dai suoi modi carismatici si comprendeva come avesse raffinato una certa esperienza. Riusciva ad unire il lavoro e il tempo libero senza difficoltà, e non poneva differenze tra questi. Una passione che era divenuta a far parte della sua vita. Però mi resi conto che non lo conoscevo poi così a fondo. Un uomo dal fascino misterioso. Un principe.

O un angelo, come già lo avevo soprannominato.

Ci conoscevamo da poco tempo, ma sembrava che le nostre vite fossero, in un qual modo, connesse. Averlo incontrato mi stava ridando quella speranza che mi mancava.

Come una boccata d’ossigeno dopo esser stata per molto tempo soffocata dalle profondità di un oceano e in balia delle correnti. La sua simpatia, la sua voce ch’era esattamente come ricevere una carezza, mi donavano ciò di cui in quel momento avevo bisogno. Il sorriso. Il suo sorriso.

   Sospirai e subito distolsi lo sguardo dal suo volto.

Sebastian terminò di parlare e si rivolse a me.

«Occhi aperti Samanta. Guarda chi è appena entrato» indicò con un gesto svelto della mano. Un uomo a qualche metro da noi stava sorseggiando del vino in un flute mentre comodamente si adagiava su uno dei divanetti in seta. I lineamenti genuini mi ricordarono quelli di un famoso attore, ma non ne riconobbi le simmetrie.

«Chi è?» chiesi.

«Leonardo D’Augusto. E’ un produttore cinematografico in pensione».

Trattenni il respiro «Caspita!».

«Non agitarti. Torno subito».

«Aspetta dove vai?» domandai afferrandolo per una mano.

Sebastian abbassò lo sguardo ad ammirare le nostre dita intrecciate. Solo per un istante mi sembrò strano. Sentii una scossa percuoterci, come un fastidio. Poi sorrise.

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