Capitolo 10

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Alzarsi il giorno successivo fu un massacro. Il suo corpo era dolorante per gli sforzi, anche più di quanto Aleksander si fosse aspettato, e l’idea di dover ripetere quella giornata lo faceva rabbrividire.

Fu ciò che però accadde. Ripetè quel tipo di giornata ogni giorno: esercizio con Baghra al mattino, studio della teoria Grisha, allenamento con Botkin. Ogni sera tornava distrutto sia fisicamente che emotivamente e sfogava il dolore come aveva fatto il primo giorno, pur sapendo che era una mossa ben poco saggia.

Gli allenamenti con Baghra non riusciva a tollerarli. Ci fu un unico miglioramento: nei giorni dove si alzava non totalmente male, con il tocco di Baghra riusciva a far muovere le ombre, ma erano più i giorni dove non riusciva a fare neanche quello. A nulla servivano posizioni di meditazione, tè, insulti e bastonate: non riusciva mai ad andare oltre a quello. Ogni volta che usciva dalla sua casa, Aleksander sentiva come se gli avesse ficcato degli spilli nel cuore.

Gli allenamenti con Botkin erano, se possibile, anche peggiori. La colpa era un po’ della sua costituzione e un po’ sua, ne era consapevole: la maggior parte delle volte Botkin si lamentava che non mangiava abbastanza e che aveva le braccia deboli, e lui continuava a saltare i pranzi e a ferirsi le braccia prima di cena.

Marie, Nadia e gli altri evocatori i primi tempi cercarono di invitarlo a uscire con loro fino al lago, ma lui rifiutò ogni volta, finché non smisero di chiederglielo. Non voleva scoprissero che non riusciva più ad evocare nulla.

L’Evocaluce dopo la loro chiacchierata quasi scomparve. La vide un solo giorno di sfuggita, di ritorno da chissà che missione, ed era indaffarata: non era il caso di disturbarla, pensò Aleksander nonostante desiderasse un po’ di conforto dall’unica persona che effettivamente gliene aveva dato.

La prima variazione della sua fissa routine la ebbe una mattina, mentre era occupato a studiare su dei libri che aveva fatto fatica a mettere sul tavolo per quando pesavano.

«Aleksander Kirigan.»

Aleksander fece un salto sulla sedia quando udì quella voce. Si girò di scatto verso la fonte, un angolo buio tra due scaffali. Da lì uscì l’Apparat, il volto deformato in un sorriso che trovò assolutamente inquietante.

«Scusami, ti ho spaventato?» chiese a piano, avvicinandosi come fosse un fantasma.

«Un po’...» disse Aleksander fissandolo, poi aggiunse: «Ero assorto nella lettura.»

«È sempre un bene apprendere nuove nozioni, non trovi?»

Aleksander annuì mentre l’uomo si sedeva accanto a lui, senza togliergli gli occhi di dosso. Il ragazzo si sentì a disagio.

«Come credo ti abbiano già spiegato, io sono il consulente spirituale della coppia regnante e di tutti i suoi sottoposti.» disse, scandendo bene il suo ruolo. «Sono quindi il tuo consulente spirituale, e ho qualcosa per te.»

Aleksander si accorse che aveva tirato fuori e aveva teso il braccio solo quando sentì qualcosa toccargli il petto. Abbassò lo sguardo e prese l’oggetto che gli stava tendendo.

Era un libro e lesse il titolo: «Istorii Sankt’ya

«Tutti ne devono possedere almeno una copia.» osservò l’Apparat mentre lui lo apriva e iniziava a sfogliarne le pagine. C’erano i nomi dei vari Sankti e molte illustrazioni anche troppo accurate dei loro martiri.

«Se tu facessi passare tutti i santi presenti lì dentro, non ne troveresti di Grisha. Ti sei mai chiesto il motivo?»

Aleksander ci pensò. Non ricordava molto dei santi, aveva quasi rimosso tutti i ricordi di Keramzin inclusi quelli, ma non ricordava dei Grisha tra loro.

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