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Esco dalla mia stanza per recarmi in sala comune, mentre cerco di domare un ricciolo ribelle.
Il sole di prima mattina inonda i locali, accompagnando il mio passaggio nel lungo corridoio.
Passo davanti a due porte chiuse a chiave, da cui provengono silenzio e urla, alternate. Subito oltre ne trovo una socchiusa, quella della cella di Chase.
Guardo all'interno senza però riuscire a scorgerlo, perciò entro.
Vedo il minuscolo letto, più simile ad una brandina in un campo militare, sporco di rosso su un lato. Faccio un altro passo, e poi un altro, finchè non mi trovo davanti il corpo, accasciato sul pavimento di cemento e muffa, con solo la camicia da notte addosso, impregnata di sangue rappreso per la metà inferiore delle maniche.
Il suo viso dal pallore evidente sembra quasi divertito. In volto ha una smorfia di una particolare intensità: è come un sorriso distorto, una specie di ultima risata che però non differisce in nulla dalla sua abituale espressione.
Non è una vera novità, un suicidio; ma il ragazzo era simpatico, mi pare.
Schizofrenico, lo chiamavano. Il suo braccialetto identificativo non mente e non fa sconti.
Il suo numero, il sei. Era un veterano, ormai.
Io ho il quindici, ereditato dopo un suicidio.
Esco dalla stanza e proseguo verso la mia meta, avvertendo le urla di alcuni ragazzi a me seguiti nel ritrovamento.
Nella sala tutti sono seduti composti sulle panche di legno scuro, mentre alcuni addetti li controllano.
Senza seguire il loro esempio mi appoggio al muro vicino alla porta, restando in piedi.
Dopo qualche avviso che io ovviamente evito di ascoltare vedo entrare un'infermiera, due energumeni la seguono sostenendo una ragazza minuta dalla pelle pallida. I suoi capelli lunghi e lisci sono tinti di blu, tendenti ormai all'azzurro.
I suoi occhi grigi paiono quasi bianchi sotto la luce intensa dei neon. Quando le pupille si ingrandiscono occupano gran parte dell'iride, e quelli sembrano diventare neri.
Non si guarda attorno, non scalcia, né urla o si lamenta. La spingono tenendola per le braccia, mentre lei cammina a passo sicuro.

Tra le notizie che seguono colgo soltanto il suo nome, Deika Weiβ, probabilmente inventato.
Quando mi passa di fronte cerco di non guardarla, ma non ci riesco.
Noto però che non porta alcun braccialetto, e questo è certamente un dettaglio insolito.
Inoltre, è davvero magra: magari è una del reparto disturbi alimentari. Quelli chiusi lì dentro in realtà hanno altri problemi, e ben più grandi. Sono tutti schizofrenici, schizotipici, dipendenti o depressi. Nel mio reparto invece abbiamo tre settori, che ospitano i disturbi della personalità, e un buon numero di schizofrenici e bipolari.
Sono abituato ad essere circondato di matti, anche se molti di loro neanche lo sembrano, almeno finché non ci vivi.
Paranoidi, schizoidi e schizotipici sono spesso scambiati per degli schizofrenici, ma vi posso assicurare che non sono la stessa cosa. Non che io sia molto attento alle persone, ovviamente.
Antisociali, borderline, istrionici e narcisisti per tutti qui sono una poltiglia di esseri umani irritanti e infantili, mentre il resto sono dei gran rompiscatole con il cervello frullato.
Tutti gli altri restano sotto l'asticella al confine tra sani e malati di mente, eccetto alcuni affetti da DOC in maniera grave, comunque segregati in questa specie di labirinto in cemento armato, insieme ai fobici e agli ansiosi in generale.
Qui siamo nel reparto bambini, che ospita ragazzi da zero a sedici anni.
Separati da noi si trovano i settori degli adulti, divisi in femminili e maschili. Lì sono chiusi tutti quelli considerati degradati o anormali dalla società, persone che non hanno colpa, molto spesso.

Mi alzo nel bel mezzo dell'appello, vengo rimproverato, e sorridendo soddisfatto mi allontano. Esco dalla stanza e vado verso lo sportello dove mi faccio consegnare le sigarette del mese.
In realtà non sono destinate a me, ma solo ai maggiorenni, però rubare bigliettini non è difficile.
Esco all'esterno e mi faccio accendere la sigaretta da un addetto che sto ricattando perché mi porti certe cose e notizie dall'esterno.
Torno nella mia cella e cerco di isolarmi dal resto della popolazione del manicomio. Chiudo la porta come faccio sempre, con la sedia, poi mi lancio sul letto, coprendomi le orecchie col guanciale smilzo, di una sfumatura giallastra di bianco.
Siamo in pochi ormai ad avere il lusso di una stanza singola, data la carenza di posti nella struttura stracolma, ma il braccialetto rosso è un sufficiente incentivo per convincere la direzione a concedere a me e ad altri pochi fortunati una parvenza di solitudine.
Quando sento gli altri muoversi e gridare mi vien voglia di uscire e sbatterli tutti contro il muro, ma cerco di controllarmi, stritolando il bracciale scarlatto al mio polso.
Il rosso è il colore peggiore da avere: è quello che danno quando hai più di un problema. Averlo significa essere pericoloso, molto spesso.
All'inizio avevo un normale bracciale bianco, quello che identifica i depressi e gli autolesionisti in genere.
Ad un certo punto poi è diventato giallo, perché non sapevano esattamente quale fosse il mio problema, dato che alle ''sedute'' facevo scena muta. Ed ora, be', sono due anni che la diagnosi si arricchisce. Prima solo disturbi della personalità di livello medio, come la personalità antisociale, narcisista, evitante, borderline. Poi questi sono diventati di livello grave, e si sono aggiunte fobie e manie varie, più che altro periodiche. Cleptomania, aritmomania, dermatillomania, dromomania, ecc...
Gli ultimi due li ho dovuti cercare sulla guida medica: nel primo caso il problema è visibile grazie alle ferite superficiali che ci si producono stuzzicando in maniera nevrotica la propria pelle, mentre nel secondo abbiamo i tentativi di fuga involontari, inconsci.
Il periodo che passai nel settore dei disturbi maniacali fu il peggiore della mia permanenza qui. Vivere tra megalomani, ninfomani, piromani, dacnomani, tricotillomani e simili è davvero dura, soprattutto per uno come me.
C'era sempre da temere di essere presi di mira, o di vedere gente che si mordeva o si strappava i capelli; che incendiava il proprio letto ghignando.
Per un periodo sono stato anche tra i fobici, i borderline e i bipolari, nell'ala adiacente alla nostra, ma quella è stata la parte divertente.

Ora ho sedici anni e candidature infinite per una lobotomia. Sono riuscito ad evitare molte delle pratiche più degradanti che qui vengono fatte passare per terapie, ma ho provato elettroshock e shock da insulina.
Nella maggior parte dei casi da qui non si esce più, neanche in una bara. Nessuno migliora, tutti peggiorano. Gli schizofrenici ormai sono disposti su tutti i piani, perché uno non bastava più. Non tutti lo sono, molti sono affetti da psicosi che possono presentare lo stesso tipo di sintomi, o solo alcuni. Un esempio era Chase, affetto da psicosi depressiva. Prima di oggi si era tagliato numerose volte, ma non aveva mai avuto abbastanza coraggio da farla finita, immagino.
Io in realtà non credo di avere problemi particolari, ma non ho altro da fare che assecondare i loro tentativi di costruire una mia diagnosi.

Prima ho detto che sono qui da anni, e, be', diciamo che è una verità approssimativa. Sono nato qui, e mia madre si è suicidata pochi giorni dopo. Mio padre non mi hanno mai detto chi fosse, ma non mi è mai importato granchè.
Ero un bambino strano, uno di quelli che sta giorni interi senza aprire bocca, capace di scomparire e andarsene dove nessuno lo può rimproverare. Rubavo, vandalizzavo, quando mi prendeva diventavo irrequieto almeno quanto un leone in gabbia.
Posso essere il fantasma, la presenza fredda e costante; posso essere un poltergeist, un incubo, qualunque cosa. Sono pazzo, infondo.
Le pareti della mia stanza sono ricoperte di disegni e fantasie.                                                                                          Incubi. Idee. Sogni. Reazioni. E' tutto immortalato lì, come fosse l'interno della mia testa.

Quando chiudo le palpebre continuano a comparirmi di fronte quegli occhi, di freddo platino.
E ogni volta li riapro, cercando di capire come una persona si sia insinuata con tanta facilità tra i miei pensieri.
Mi sconvolge davvero, riuscire a pensare a qualcuno in questo modo, senza disprezzo, rimorso, rabbia, rifiuto, e tutte quelle sensazioni che affiorano ogni volta che qualcuno mi sta di fronte.
Fisso il soffitto, ora, mentre mi accorgo di aver disegnato il suo viso, abbozzato ad inchiostro nero, la pelle bianca e gli occhi vuoti.

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