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Sento il freddo di cui sono impregnate le lastre di marmo e cemento penetrare la mia pelle, sento la brina che ricopre ogni pianta cadermi addosso quando urto foglie o rami.
Vedo statue e rilievi osservare la nostra avanzata, chi desolato, chi terrorizzato, disperato, triste o sollevato.
Leggo ogni tanto le date incise nella pietra, quelle che rappresentano la durata di quello che per noi è tutto, la vita. Quel lasso di tempo all'interno del quale iniziano e finiscono le nostre azioni, le nostre emozioni; quella scadenza che ci impone di sfruttare quel poco tempo che abbiamo in modo da creare un ricordo, l'unica cosa che resterà di noi appena i vermi cominceranno a cibarsi dei nostri organi interni e la nostra pelle diventerà tale e quale a quella che una volta ci si staccava solo dalle palme dei piedi. La morte è l'unica certezza, l'unica via di fuga, l'unico scopo delle nostre vite.
I primi uomini che hanno avuto la capacità di pensare con coscienza alle proprie azioni si sono accorti di quello che li aspettava solo quando ormai era troppo tardi. La consapevolezza di dover morire è nata dopo, e credo sia stata al tempo stesso la nostra rovina e la nostra salvezza. Ci ha costretti a crescere, cercare, scoprire.
Immagino ogni bara, ogni buca nella terra e ogni mucchio d'ossa presente sottoterra.
-Se ti suicidi cosa vuoi che facciano del tuo corpo, dopo?-
-Non che mi importi molto, ma non amo l'idea di decompormi poco alla volta ed essere cibo per gli insetti. Preferirei essere... incenerito, o qualcosa così. -
-Io vorrei essere sepolta sul fondo del mare. Lontano da tutto-
Continuiamo a camminare, fino a raggiungere la parte più antica del terreno, dove le lapidi sono ricoperte d'edera ed erbacce, scurite dal tempo e dalle intemperie.
Le incisioni si leggono a malapena, ma le statue sono ancora perfettamente decifrabili.
Alcune sono di animali, corvi, cavalli, cani; altre sono di persone, donne, uomini e bambini sorridenti. Sono angeli, arcangeli, demoni e mostri.
-Quante volte... ci hai provato?-
Quante volte ti sei fermato? Quante volte hai visto la lama luccicare, toccare la tua pelle, sprofondare nella carne e sporcarsi di rosso? Quante volte il dolore ti ha travolto, ricordandoti di essere vivo, nonostante non ti sentissi tale?
Nessuno parla di quella sensazione. Di quel rifiuto della vita che per alcuni avviene in maniera quasi inconscia. Di quella volontà che pensavi ormai sopita, che d'un tratto viene a sussurrarti all'orecchio, continuando poi incessante nel ricordarti chi sei e chi non sarai mai.
-Non lo so-
Continuiamo a camminare, facendoci largo tra cespugli ed erba troppo cresciuta.
Stiamo in silenzio, mentre il rumore dei nostri passi ci tiene compagnia.
-Funzionava, però?-
Un sussurro capace di perforare quel silenzio quasi completo.
-No-
Tengo una mano in tasca, mentre con l'altra ogni tanto strappo qualche filo d'erba, con violenza non necessaria.
-La realtà è troppo merdosa per venire scalfita dal buio e dal silenzio. Morire non è la mia soluzione-
-Realtà... Io non penso esista una cosa simile-
Parla piano, quasi borbottando.
-Non pensi che... La realtà sia un concetto relativo? Niente è vero e basta, niente è abbastanza certo da poter essere definito reale-
Mi accorgo che tiene gli occhi socchiusi, bassi. Le sue labbra formano una smorfia, concentrazione e fastidio, come se stesse cercando di comprendere le sue stesse parole.

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