È sabato. Mi alzo dal letto frastornata! La nonna non c'è... sarà al mercato. Sento delle voci arrivare dallo studio della mamma. Ma chi c'è di là? E che ore sono? Sta parlando con qualcuno alle sette di mattina?! Ma possibile che non si dia mai tregua con questo lavoro?!
<Proverò a parlarci già da domani.. giusto per capire un po' e conoscerlo, vedere in che modo poterlo aiutare>
<Gliene sarei davvero grata! Dottoressa mi creda, è un bravo ragazzo ma la vita con lui non è stata generosa> la donna è in difficoltà <io davvero non so più come fare... > sento la mamma interrompere il discorso <Non si deve preoccupare, lo faccio con immenso piacere. Cercherò di mediare il più possibile ma ho necessità di passarci del tempo insieme!>
<Non so davvero come ringraziarla!>
Mi precipito nella stanza e mi fiondo nel letto prima che si accorgano della mia presenza. Sento la mamma accompagnare la signora alla soglia di casa e salutarla. Poi i suoi passi dirigersi verso la mia camera. Silenziosamente sento aprire la porta, fingo di dormire ancora. La richiude dietro di sè. Qualche minuto dopo la raggiungo in cucina. Lei è seduta al tavolo mentre sorseggia del caffè amaro e spalma della marmellata di albicocca sulle fette integrali. È una contraddizione continua, la marmellata sono zuccheri e lei non prende mai quella al 90/100 per cento frutta. Io leggo sempre le etichette.
<Buongiorno! Vuoi?> porgendomene una. Ma perché tutti vogliono sempre vedermi mangiare?
<No grazie. Prendo del caffè>
Mi siedo di fronte a lei e mi verso del caffè nella tazza.
<Ma con chi parlavi stamattina?>
<Eri sveglia?>
<No, cioè si. Sentivo delle voci ma ho continuato a dormire... ero in dormiveglia... mi passeresti dell'acqua?> allungo il caffè che diventa americano.
<Povera Signora Fontana> abbassa lo sguardo verso il colore nero della tazza ancora piena <non ha più il marito e suo figlio...> si interrompe <suo figlio?> insisto incuriosita <suo figlio ha fatto un po' di cavolate che sta pagando care> ritorna a noi <Ma Martina! Tu oggi non hai scuola? E poi non ti devo raccontare le cose personali dei miei pazienti! Dai sù! Vatti a preparare che ti accompagno!>
<No, non c'è bisogno! Prendo il pullman>
Mi alzo e vado a farmi la doccia.
Accendo lo scaldino del bagno e mi tolgo il pigiama. Lo butto nel cesto della biancheria sporca. Faccio scorrere l'acqua. Mentre si scalda io vado a parlare col mio nemico specchio. Si vedono gli addominali uno per uno insieme alle mie costole.... ma ancora mai abbastanza magra. Mi butto sotto l'acqua bollente. Mi sento bene. Scorre e scivola tutto via, anche i pensieri. Mi aspetta un'altra giornata di latino e di interrogazioni a manetta.
Mentre mi cingo i capelli con un turbante infilo i miei jeans slim fit neri, i miei anfibi e un maglione di lana lungo a collo alto. Passata di phon, i capelli sono ancora umidi accidenti... fa nulla. È già tardi, metterò il cappello. Lavo velocemente i denti, rossetto rosso e via. Afferro lo zaino e il borsone e il borsalino del nonno.
<Ciao mamma! Ci vediamo stasera!> mi vede attraversare il corridoio <Ma come? Non torni a pranzo?>
<No, vado diretta a danza. Non mi aspettate tu e nonna>
<Farò tardi Marti!>
<non avevo ombra di dubbio> ma questo non lo dico, lo penso tra me e me. Mentre sto per andare vedo aprire la porta. È nonna Bice <Vai già via?>
<Sì nonna!>
<E che fretta! Ti ho preso il panino!>
<Grazie nonna!> afferro la busta e le dò un bacio sulla guancia <Menomale che ci sei tu che ti ricordi!> alzo la voce facendomi sentire ironicamente da Emma <Amore di nonna è da anni che il sabato pomeriggio vai a danza, va bene che sono anziana, ma la memoria mi funziona ancora!> Le sorrido e chiudo la porta dietro le mie spalle ma percepisco uno scambio di sguardi tra le due, certe cose non c'è bisogno che si vedano per capirle: mia nonna cerca di aiutare sua figlia a ricucire il nostro rapporto ma inutilmente. Credo che l'amore vada coltivato e, se questo non accade, allora non bisogna forzare l'andamento naturale delle conseguenze.<Brrrr, che freddo che fa!> Sono alla fermata del pullman e mannaggia a me e ai miei capelli umidi. Cerco di scaldarmi tra le braccia <Quando diamine arriva il 35?!> Dopo un quarto d'ora che aspetto, ecco che lo vedo in lontananza, è stracolmo! Immagino di non essere l'unica in ritardo e ad entrare alla seconda ora! Sarei andata volentieri a piedi ma questo freddo mi penetra nelle ossa, perlopiù che ho anche il borsone di danza. Salgo e mi infilo tra la gente districandomi tra una persona e l'altra.
<Ehi! Fai attenzione bellezza che se mi stai così vicina posso pensare male!> un bullo fa lo spaccone con i suoi amici che si mettono a ridere e lo spalleggiano; mi guarda con occhi di sfida. È Francesco. Lo odio.
<Puoi pensare male quanto vuoi, una testa come la tua non credo riesca a fare di meglio!> mi scanso brutalmente e mi allontano. Sento che si infastidisce e dice qualcosa in mia offesa mentre i suoi amici lo prendono in giro. So per certo che tornerà all'attacco. Afferro il poggiamano sopra la mia testa e mi sorreggo in piedi.
<Ben detto!> sento sussurrarmi all'orecchio. Mi volto. Accanto a me un ragazzo mi sorride mentre cerca di reggersi in equilibrio sul pullman in movimento. Giusto un'occhiata veloce e poi mi rigiro verso il finestrino. So già che sarà una giornata di emme. Sento l'umidità dei capelli gelarmi il collo fino alla schiena e i brividi addosso. Quasi sicuramente non sfuggerò all'interrogazione di latino della Ranieri! Quella quando ci si mette è una strega!
<Comunque bel cappello!>
<Ma sto qui che vuole?> non dico neanche questo, lo penso tra me e me. Fingo di non averlo sentito.
L'Istituto Juvarra non è distante. Scendo alla fermata del mio liceo classico. Con me la gran parte del pullman che si svuota. Anche Francesco e i suoi compagni imbecilli del quarto anno. Devo attendere la seconda ora per entrare. Mi siedo nella scalinata e ne approfitto per ripassare. Non ho intenzione di rovinarmi la media. Ci tengo ad essere pronta e preparata. Non voglio essere una sufficienza, voglio essere la prima. Quando avevo 6 anni avevo una cotta per un ragazzino più grande che frequentava il corso avanzato di danza. Un giorno mi vide ballare a un'esibizione e conscia di questo, cercai in tutti modi di farmi notare e dare il meglio. Il suo giudizio fu "normale", niente di eclatante insomma. Per me fu una tragedia. La vissi così male che ancora oggi la porto come una gigante ics rossa tracciata sulla mia schiena con un pennarello indelebile.
"Normale" è il più brutto non-complimento che si possa sentire, anche se forse è ciò di cui avrei bisogno nella mia quotidianità.
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Mettevo il rossetto rosso
General FictionMartina è una ragazzina che ha appena compiuto diciott'anni e ha perso il suo punto di riferimento più caro. Il suo dolore la porta ad inseguire la perfezione a scuola, nello sport e nella danza. Un compromesso segreto con il suo amico Wa-l-ter che...