1. Scatoloni e sorrisi

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Il paesaggio dal finestrino dell’auto era triste. Era quasi il tramonto, non c’era molto traffico sulla strada. Gli alberi avevano già perso la maggior parte delle foglie, segno che ormai l’inverno stava facendo il suo ingresso.

Izuku Midoriya non era mai stato amante di quella stagione per due motivi. Il primo era perchè non amava particolarmente il freddo, preferiva di gran lunga l’estate, anche se le lentiggini sul suo viso esplodevano come fuochi d’artificio, decisamente le preferiva al naso e alle mani congelate in modalità polaretti. Il secondo era perchè di solito quella era la stagione in cui lui abbandonava tutto per ricominciarne da zero. Era il periodo dell’anno in cui con la madre traslocavano, di solito succedeva in percentuale due volte su tre.

Ormai era diventato bravo ad impilare le sue cose e sistemarle come tetris negli scatoloni quando gli veniva imposto, così come era diventato bravo a non piangere più pensando che non avrebbe più rivisto un amico piuttosto che un altro, quei pochi che aveva. Ed era diventato bravo ad essere sempre e solo il nuovo e ultimo arrivato nella vita degli altri. Le costanti erano sempre state queste: i sorrisi cortesi da buona prima impressione e gli scatoloni da saper chiudere perfettamente.

Aveva imparato a fingere quanto la sua vita per gli altri fosse perfetta, ma per lui non era altro che una prigione con annesso di catene.
“Manca poco, signorino, siamo quasi arrivati. Desidera qualcosa?”
“Si, sparire”
La voce dell’autista che proveniva dall’altoparlante della limousine si spense e chiuse il microfono. Forse fece finta di non capire. Forse anche a lui faceva pena quel povero ragazzo, costretto a seguire tutti gli spostamenti di lavoro dei suoi genitori, senza una possibilità di scelta.

Izuku poggiò il viso sul finestrino che piano piano cominciava ad appannarsi e chiuse gli occhi. Desiderava davvero sparire. Che tutto quello che c’era intorno a lui sparisse. Avrebbe dato con tutto il cuore qualsiasi cosa anche solo per un briciolo di quella vita normale che avrebbe dovuto essere la sua, quella di un adolescente di 16 anni. Quasi sperando che ci fosse un banco dei pegni con cui scambiarla, con cui scambiare le case lussuose in cui si trasferiva, piene di stanze fredde come la pietra, con una semplice cameretta piena di poster e disegni attaccati alle pareti.

Sospirò invano. Riaprì gli occhi solo quando sentì la macchina rallentare. Davanti un immenso cancello bianco si apriva con lentezza. 
Ecco, si ricominciava, pensò.

Scese dalla limousine e subito guardò quella che sarebbe stata la sua nuova casa, per quanto ovviamente non lo sapeva. Alte pareti bianche con finestroni, un porticato in stile greco con annesso di scalinata d’ingresso. Ormai ci aveva fatto l’abitudine e non gli suscitavano neanche stupore, solo tanto vuoto. Quelle case non erano altro che vuote e lo sarebbero rimaste fino a quando non le avrebbe svuotate di nuovo lui, rimettendo la sue cose negli scatolini. Era una cosa che non voleva far fare ai suoi camerieri, voleva essere lui stesso a sistemare tutto. Era l’unico modo che aveva per arrabbiarsi, con chi però, non sapeva neanche questo. In generale a lui non piaceva essere “servito”: a colazione, a pranzo, per uscire, a volte per prepararsi a fare una semplice doccia. Quando vedeva qualcuno, uno dei tanti domestici che popolavano quei corridoi, diceva sempre “non c’è bisogno”, di solito scappava o si nascondeva e faceva tutto da solo, prendendo rimproveri dalla madre. Così si sentiva quasi costretto a non dover fare nulla, se non recitare e vivere come figlio ereditario di tutta quella fortuna.

“Izuku mio, sei arrivato! Mi sei mancato tanto!”
La madre di Izuku scese quasi correndo la grande scalinata e andò ad abbracciare il figlio. Inko Midoriya era una donna bassina e molto dolce, questo Izuku lo sapeva bene. Lei era l’unica che poteva capire, anche se solo in parte, quello che provasse lui. Anche se lei quella vita l’aveva scelta, sposando il suo patrigno, dopo la morte di suo padre.
“Ti ho fatto preparare qualcosa da mangiare, sarai affamato”
“Non ho molta fame, mamma, ma grazie” le sorrise staccandosi dall’abbraccio “Vorrei solo riposare un pò”
“Hai ragione, faccio portare le tue cose in camera”

Entrando, Inko cominciò a parlare entusiasta di quella nuova casa, più bella dell’altra, più grande di quella ancora prima, ma Izuku non ascoltava, si limitava ad osservarla così felice, sorridendole e ridendo quando gli faceva vedere qualche quadro o vaso strano.

Lo accompagnò nella sua stanza, al piano superiore. Una grandissima stanza con al centro un enorme finestrone che si affiacciava nel giardino interno. Una cosa che amava di tutte quelle case però c’era. I giardini. Ne rimaneva sempre incantato, erano il suo posto sicuro ormai. Il posto dove si sentiva un pò più sereno, meno estraneo a quello che lo circondava. E la madre di Izuku lo sapeva, si assicurava che avessi la stanza con la vista più bella verso di essi.

“Ti piace?” chiese Inko, sperando che fosse quanto più si avvicinasse a qualcosa che facesse stare bene il figlio. Ma sapeva anche questo, sapeva quanto fosse davvero infelice Izuku. Anche se cercava di nasconderlo a lei, lo sentiva come madre, ma non poteva fare molto. Aveva sposato Toshinori Yagi quando suo marito era morto lasciandoli in un mare di debiti. Lui era il suo amico più caro e l’amava, era certa si sarebbe preso cura di lei e del piccolo Izuku, ancora di pochi anni. Lo aveva fatto per amore, per la sua famiglia. Toshinori, però, essendo uno dei più grandi agenti immobiliari del paese, si spostava facilmente per lavoro. Anzi troppo facilmente e purtroppo non avevano mai avuto una vita stabile.

Izuku si girò verso la madre dopo esserci affacciato alla finestra aperta e le sorrise sperando che le credesse.
“Si, mamma, grazie!”
“Allora ti lascio riposare, se hai bisogno di qualsiasi cosa..”
“Si, lo so, basta suonare il campanello..”
Quando la madre uscì dalla stanza, Izuku si allentò la cravatta che portava da troppe ore e si buttò con un tonfo sull’immenso letto a baldacchino e quasi in un istante si addormentò. Si svegliò per ora di cena, quando sentì bussare piano alla porta della sua stanza. Nell’immenso salone cenarono solo lui e la madre e subito dopo si andò a fare un bagno caldo.

Tornato nella sua stanza si rifugiò sotto le coperte, aspettando che il sonno arrivasse di nuovo ma senza successo. Osservava quegli scatoli sul pavimento, probabilmente i domestici li avevano portati mentre era a fare il bagno e come gli era stato detto li avevano lasciati chiusi così come li aveva sistemati Izuku. Non aveva notato che nella stanza c’era anche una bellissima libreria di legno. Pensò che lì avrebbe potuto sistemare le sue cose. Con calma. Il pensiero che, però, dopo un anno c’era il rischio che avesse dovuto rimettere tutto a posto lo riempiva di angoscia, ma sorrise, sperando in cuor suo come tutte le volte che questa fosse l’ultima, che non ci sarebbero state altre scatole, nè altre scuole, nè altri nuovi amici. Con quel pensiero, finalmente si addormentò.

SlamDunk ~ BakuDekuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora